Shoah sui libri di testo, polemiche in Moldova

Un nuovo manuale scolastico in Moldova presenta l’Olocausto in modo problematico, minimizzando e relativizzando le responsabilità delle allora autorità romene. Uno sviluppo che riporta in superficie la rielaborazione controversa di quei fatti nel paese

02/09/2025, Francesco Brusa Chișinău

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La sinagoga nel cimitero ebraico di Chișinău - F.Brusa

A fine luglio i dintorni del palazzo presidenziale della capitale moldava si sono riempiti di tracce e segni di vario tipo, che riguardavano tanto la memoria del passato che le aspirazioni per il futuro del paese.

Sull’ampia distesa di asfalto che fronteggia l’edificio istituzionale, infatti, si possono notare due vagoni di treno parcheggiati: è un museo temporaneo dedicato alle vittime delle deportazioni di epoca sovietica, al “terrore di stato” che dopo la seconda guerra mondiale ha interessato decine di migliaia di abitanti delle Bessarabia forzatamente dislocati nelle steppe remote della Siberia oppure nelle zone desertiche dell’Asia centrale.

La Moldova di oggi, invece, guarda decisamente “più a ovest”, com’è testimoniato dal gigantesco stendardo dell’Unione Europea che è stato posto accanto a quello nazionale a coprire finestre e pareti della sede governativa (il paese ha ottenuto da due anni lo status di candidato per l’ingresso nell’Unione).

Eppure, giusto qualche metro più in là, si vede ancora il palco utilizzato per un concerto che ha destato non poco scalpore, perché tacciato di essere nient’altro che un episodio di “propaganda a favore di Vladimir Putin”.

A esibirsi, invitati dal politico d’opposizione Renato Usatîi, c’erano infatti i popolari rapper russi Macan e Basta (che non hanno mai condannato l’invasione dell’Ucraina; il secondo, in particolare, era stato dichiarato persona non grata dalle autorità di Kyiv dopo essersi esibito nella penisola occupata di Crimea).

Numerose persone, soprattutto giovani, sono state attirate dalla musica, mentre alcuni parlamentari hanno protestato la decisione del comune di Chișinău di concedere l’autorizzazione per l’evento, reputando oltraggioso il fatto che si svolgesse proprio di fianco alle testimonianze in onore dei deportati di epoca sovietica.

Contraddizioni e omissioni

Sono le “normali contraddizioni” di un territorio che negli ultimi 150 anni ha visto alternarsi diversi imperi, culture e occupazioni e che, come altri nell’area, si è di recente visto travolto anche dai dibattiti storici che accompagnano il vicino conflitto armato lanciato dal Cremlino.

Ma non tutto è riconducibile a influenze esterne o a cascami di un passato socialista che il paese starebbe cercando di superare, anche in vista dell’integrazione europea. Infatti, per quanto meno visibile nello spazio pubblico, in Moldova è in corso anche una delicata polemica che riguarda la memoria dell’Olocausto della popolazione ebraica e il suo insegnamento nelle scuole.

“Siamo oramai piuttosto frustrati, al punto da considerare la possibilità di citare in giudizio il ministero dell’educazione moldavo”, afferma Aliona Grossu, direttrice della comunità ebraica locale. Mentre parla, si sente in lontananza della musica folklorica: sta per iniziare un festival che anima il centro cittadino.

La sede della comunità è costruita nell’area dove un tempo sorgeva la vecchia sinagoga, area mai restituita dallo stato ma riacquisita per via finanziaria. “Abbiamo avuto incontri con rappresentanti parlamentari per settimane, ma si sono conclusi con un nulla di fatto. Ci sembra che le nostre esigenze non vengono prese in considerazione e anzi accolte con una certa resistenza”.

L’oggetto del contendere è la pubblicazione di un libro di testo per le scuole superiori in cui la tragedia dell’Olocausto viene trattata in modo problematico.

In particolare, stando alle critiche che sono state mosse al manuale da parte da vari istituti internazionali come l’ente israeliano per la memoria della Shoah Yad Vashem (interpellato proprio in seguito alla contestazione del libro), vengono distorti alcuni fatti e minimizzate le responsabilità di diversi criminali di guerra come l’allora capo di stato rumeno Ion Antoenscu.

Quest’ultimo collaborò attivamente con le forze naziste per portare a termine l’eliminazione della popolazione ebraica nell’area (circa 300mila persone, appartenenti anche ad altre comunità, vennero uccise durante i massacri avvenuti nelle diverse città della Bessarabia o attraverso la deportazioni nei ghetti e nei campi di concentramento stabiliti in Transnistria), ma nel manuale viene detto che mise in campo tali politiche semplicemente perché messo “sotto pressione” da parte del Reich tedesco.

Nel momento in cui vengono descritte deportazioni e istituzioni dei ghetti, non vengono menzionate le autorità incaricate di quel compito. Inoltre, pur caratterizzandole con accenti negativi, il testo glissa sulla popolarità e sul ruolo del gruppo paramilitare fascista e antisemita delle Guardie di Ferro verso la fine degli anni ‘30.

“È uno sviluppo per certi versi paradossale”, spiega ancora la direttrice della comunità ebraica Grossu, che sta chiedendo di ritirare il manuale e di riscriverlo. “Per anni abbiamo cercato di fare in modo che l’insegnamento dell’Olocausto diventasse materia obbligatoria nelle scuole, come nella vicina Romania. Sebbene ciò non sia ancora stato possibile, è stato compiuto qualche passo in avanti come l’introduzione di attività educative complementari”.

“Ma il libro di testo in questione”, conclude Grossu, “che finalmente amplia la sezione dedicata alle vittime dell’occupazione nazista e collaborazionista, rappresenta una clamorosa retromarcia: parla degli eventi in maniera sbagliata e, di fatto, illecita (secondo la legge nazionale sul negazionismo della Shoah)”.

Un nuovo clima sociale?

Oltre alla controversia in sé, il problema sono anche le reazioni da parte del governo e dell’ambiente accademico. Grossu denuncia la presa di posizione di molti studiosi a favore del manuale, così come l’atteggiamento dei rappresentanti parlamentari che, se da un lato aprono tavoli di discussione con la comunità ebraica, dall’altro si pongono spesso sulla difensiva strumentalizzando magari un’altra tragedia, quella già citata delle deportazioni sovietiche, come “giustificazione” per le reticenze riguardanti l’Olocausto.

“A essere onesto, non siamo rimasti troppo stupiti dalla vicenda e dalle sue evoluzioni”, racconta Petru Negură, ricercatore in storia e sociologia presso l’Università statale della Moldova e l’Università tedesca di Regensburg nonché firmatario, assieme ad altri colleghi e connazionali, di una lettera aperta di contestazione del libro di testo.

“Nel nostro paese il discorso sul passato è dominato da tendenze piuttosto conservatrici e nazionaliste. D’altronde, quel manuale è stato scritto e successivamente letto e approvato da persone impiegate nell’ambiente accademico, senza che le distorsioni relative all’Olocausto in Bessarabia e Transnistria destassero problemi”.

Non è un caso, forse, che l’iniziativa di prendere parola pubblicamente contro la visione presentata nel manuale sia stata portata avanti solo da studiosi moldavi impiegati però all’estero. Secondo Negură, in questi ultimi anni, il paradigma nazionale che prevale nelle interpretazioni storiche in Moldova è ulteriormente esacerbato dall’invasione russa.

“Il conflitto in Ucraina ha intensificato la tendenza a considerare la politiche della memoria al pari di una missione, che molto spesso viene portata avanti in funzione smaccatamente anti-russa e anti-sovietica (da cui, talvolta, la minore enfasi posta sui crimini avvenuti durante l’occupazione nazista, ndr). Ma quanto di sbagliato sta facendo oggi il Cremlino non dovrebbe giustificare la strumentalizzazione della storia del secolo scorso!”.

Anche Grossu non esita a ravvisare una pericolosa propensione al “revisionismo” nell’atteggiamento dimostrato dalle istituzioni moldave e, chissà, più in generale dalla maggioranza della società. “Da un lato non si vuole affrontare la questione del collaborazionismo, anche se poi presso la popolazione della Bessarabia c’è chi ha conservato la propria umanità e si è guadagnato il titolo di “giusto fra le nazioni”, dall’altro spesso mancano proprio ricerche e informazioni di base, c’è un problema con i dati e con le fonti”, conclude. “Il punto però è che dovrebbe essere una questione che non riguarda solo la componente ebraica, ma tutta la comunità moldava”.

A pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, tuttavia, non ci sono segni di un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni moldave. Con tutta probabilità, il manuale sarà nuovamente sui banchi degli istituti scolastici superiori del paese