Giubotti di salvataggio abbandonati dai rifugiati sulle spiagge di Lesbo - immagine Pixabay

E' partito sull'isola di Lesbo, in Grecia, il processo contro ventiquattro volontari attivi nel salvataggio di migranti in mare, ma accusati dalle autorità di spionaggio, contrabbando e traffico di persone. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [20 novembre 2021]

E' iniziato giovedì scorso in Grecia il controverso processo contro un gruppo di volontari e attivisti dell'Emergency Response Center International, un'Ong attiva sull'isola di Lesbo nella ricerca e salvataggio in mare di rifugiati e migranti al picco della crisi umanitaria nell'Egeo, tra il 2016 e il 2018.

Gli imputati, sia cittadini greci che internazionali, sono accusati di aver costituito una rete illegale per il supporto dell'immigrazione nel paese, anche attraverso pratiche di spionaggio e contrabbando: se ritenuti colpevoli, rischiano pene cumulative fino a venticinque anni di reclusione.

Secondo le dichiarazioni degli imputati tutte le operazioni dell'Ong erano coordinate con le autorità, ed indirizzate all'unico scopo di salvare vite in mare. Tra le persone al banco degli imputati c'è anche Sarah Mardini, rifugiata siriana divenuta famosa nel 2015 per aver salvato a nuoto un gruppo di rifugiati in difficoltà durante la traversata verso Lesbo.

Le indagini prima e il processo poi hanno sollevato dure proteste e forte indignazione sia in Grecia che a livello internazionale: quarantanove organizzazioni, tra cui Oxfam e il Greek Council for Refugees, hanno firmato una lettera invitando le autorità elleniche ad abbandonare il caso, e accusando la Grecia di portare avanti una politica di criminalizzazione della solidarietà e militarizzazione dei confini.

Dopo la prima seduta, il processo è stato aggiornato, visto che la corte di Lesbo si è dichiarata non competente a giudicare il caso: non è quindi chiaro quando e come la procedura dovrebbe riprendere.

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