Il presidente serbo Aleksandar Vučić (SkyStudioRS/Shutterstock)

Il presidente serbo Aleksandar Vučić (SkyStudioRS/Shutterstock)

Vittoria annunciata del presidente Aleksandar Vučić alle elezioni parlamentari di ieri in Serbia, boicottate dall'opposizione: il suo Partito progressista oltrepassa il 60% e avrà una maggioranza schiacciante nel prossimo parlamento. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [22 giugno 2020]

Trionfo doveva essere e trionfo è stato. Con una vittoria schiacciante e oltre il 62% dei voti, il Partito progressista serbo del presidente Aleksandar Vučić ha stravinto le elezioni politiche tenute ieri in Serbia e si appresta a dominare il prossimo parlamento di Belgrado con circa 190 deputati su 250.

Solo altri due partiti superano la soglia di sbarramento, nonostante questa sia stata abbassata al 3%: il Partito socialista di Ivica Dačić, alleato di Vučić, con poco più del 10% e il nuovo movimento conservatore “Vittoria per la Serbia”, capeggiato dall'ex campione di pallanuoto Aleksandar Šapić.

Bassa l'affluenza, che si è fermata sotto il 50% degli aventi diritto: i partiti dell'opposizione, che hanno boicottato le consultazioni di ieri denunciando la mancanza di condizioni democratiche minime e l'allentamento prematuro delle misure anti-COVID19 da parte del governo, hanno rivendicato la propria scelta, sostenendo che i risultati di ieri non danno legittimità al prossimo parlamento.

Incurante delle crescenti preoccupazioni sullo stato di salute della democrazia in Serbia, il presidente Vučić ieri sera ha rivendicato la “sua” vittoria, e ha parlato di “momento storico” e di “enorme fiducia ricevuta dai cittadini serbi, la più alta mai registrata nel paese”.

Vučić si appresta quindi ad affrontare con un sostegno senza precedenti i negoziati sul Kosovo previsti a fine settimana a Washington e fortemente voluti dall'amministrazione Trump, che ha rilanciato la sua azione diplomatica per portare a casa un accordo tra Belgrado e Pristina, anche a costo - temono molti nell'UE – di avallare rischiosi scambi di territori.

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