Batterie anti-missile NATO installate su territorio turco e rivolte verso la Siria (Wikipedia)

La Turchia ha avviato rilevanti operazioni militari di terra in territorio siriano. Implicazioni future in quest'analisi

01/09/2016 -  Dimitri Bettoni

Con l'operazione Scudo dell'Eufrate, che ha preso il via il 24 agosto, la Turchia è ufficialmente entrata nel conflitto siriano che imperversa dal 2012. Si tratta del primo intervento di terra messo in atto da un paese straniero. Sinora le forze internazionali in campo nel conflitto siriano, su tutte Russia e Stati Uniti ma anche i paesi del Golfo e l'Iran, erano impegnate a combattere per il prevalere dei propri interessi attraverso il supporto al governo di Assad o a varie fazioni armate, alcune sorte in modo spontaneo, altre create ad hoc.

L'operazione militare turca via terra, da tempo paventata, arriva a seguito delle carte sparigliate in tavola dall'inversione di marcia in politica estera della Turchia in relazione alla guerra siriana. Le alleanze consolidate da tempo, che avevano prodotto un sostanziale stallo, sono state rimesse in discussione dal nuovo approccio della Turchia alla questione: sì ad Assad per un periodo di transizione, in cambio un no secco ad un'ulteriore espansione del territorio sotto controllo delle Forze Siriane Democratiche (FSD), di cui le milizie curde dello YPG, che Ankara considera alla stregua del PKK, sono la spina dorsale.

Usa e Russia

Gli Stati Uniti hanno inizialmente approvato l'operazione congiunta dell'esercito turco e dell'Esercito Libero Siriano (ELS). Hanno anche invitato i curdi a ritirarsi ad est del fiume Eufrate, dopo che le FSD avevano impegnato e sconfitto l'ISIS a Manbij in uno scontro durato oltre due mesi. Washington ha espresso la sua preoccupazione quando però le attenzioni di Ankara si sono rivolte più verso i curdi che non allo Stato Islamico, cosa che di per sé non era difficile da prevedere, dal momento che la Turchia ha sempre considerato l'autonomia curda in Siria una minaccia all'interesse nazionale più grave dell'ISIS stesso.

La Russia si è limitata ad esprimere preoccupazione per il possibile inasprirsi del conflitto inter-etnico, ma a parte questo non ha reagito in alcun modo, segno che probabilmente l'operazione era stata tacitamente concordata durante i recenti colloqui di riavvicinamento tra i due paesi.

L'offensiva turca in Siria

Un'operazione come Euphrate Shield richiede mesi di preparativi, sia dal punto di vista militare che diplomatico. Ciò che mancava finora al governo era l'avvallo internazionale, ottenuto grazie al cambio di rotta di Ankara, e l'appoggio incondizionato delle gerarchie dell'esercito, in precedenza restio a farsi coinvolgere direttamente in Siria. Appare probabile che gli strascichi del tentato colpo di stato del 15 luglio scorso abbiano permesso di rompere gli indugi nelle fila degli ufficiali militari.

Gli obiettivi di Ankara

Ankara cercherà di raggiungere diversi obiettivi con questa operazione. Il primo è rinvigorire le sorti del ELS e riproporlo come struttura in grado di riunire sotto la sua bandiera le diverse fazioni della ribellione siriana, trasformandolo così nel principale interlocutore dei negoziati di un domani che, per quanto distante, dovrà prima o poi arrivare.

Il secondo è rimuovere dal proprio confine la presenza dell'ISIS, ingombrante almeno dal punto di vista diplomatico, perché essa giustifica la pressione della comunità internazionale su Ankara, da sempre accusata di fare poco contro il sedicente Stato Islamico, quando non di averlo appoggiato sottobanco in chiave anti-curda.

Il terzo e più importante obiettivo, dal punto di vista turco, è impedire ai curdi di scalzare l'ISIS dalla regione di Jarablus, unire i cantoni di Kobane ed Afrin e realizzare un'integrità territoriale a cui i curdi aspirano sin dalla dichiarazione di autonomia federale della regione.

I combattimenti

Entrate a contatto, inevitabilmente le forze turche-ELS e SDF-YPG hanno iniziato a combattere. Il rifiuto da parte di Ankara del cessate il fuoco sponsorizzato dagli Stati Uniti e accettato da parte curda è sintomatico. La Turchia non è intenzionata a fermarsi, tanto che continuano i bombardamenti dell'artiglieria anche nel cantone occidentale di Afrin. Washington appare lacerata tra la fedeltà all'alleato turco nella Nato e l'appoggio al suo maggior partner militare sul campo, i curdi.

Se l'ELS dimostrerà di poter competere seriamente con l'ISIS sul terreno di scontro, questo potrebbe spingere gli americani ad allentare la loro difficile partnership con i curdi e virare verso una soluzione più comoda, che consentirebbe di coniugare lotta all'ISIS e relazioni diplomatiche con la Turchia. Si tratterebbe di un colpo fatale per il destino dell'autonomia curda nella Rojava, che ancora dipende essenzialmente dal sostegno logistico e militare americano.

In molti sono però coloro che dubitano del reale interesse della Turchia nella lotta all'ISIS. Il fatto che la cittadina di Jarablus sia stata presa dalla coalizione ELS-Turchia senza grossi scontri è stato interpretato da alcuni come il frutto di un accordo sottobanco. Ma è difficilmente dimostrabile, anche perché l'ISIS non appare in grado di mantenere il controllo di un territorio a portata dell'artiglieria dell'esercito turco schierato appena oltre confine. L'ISIS si è ora ritirato verso sud e la sua roccaforte di Al-Bab.

E proprio lì si vedrà la svolta che prenderà questa incursione turca in territorio siriano. Se Al-Bab verrà conquistata dall'ELS, la Turchia avrà raggiunto buona parte dei suoi obiettivi strategici prima citati. Se invece saranno le SDF-YPG a spingere ancora verso ovest e prendere il controllo di Al-Bab, il sogno di riunire i cantoni potrebbe restare in piedi, ma è difficile pensare che la Turchia resti a guardare di fronte ad un'evoluzione del genere. Il diktat americano per il ritiro ad est pesa come un macigno sulla strategia curda.

Questo scenario nel nord della Siria non può non influire sugli eventi nel sud-est turco a maggioranza curda, dove si trascinano da più di un anno gli scontri tra esercito turco e militanti autonomisti del PKK, con centinaia di migliaia di sfollati, migliaia di morti e interi quartieri distrutti. Con la Rojava e la resistenza di Kobane entrati potentemente nel mito e nell'immaginario collettivo dei curdi militanti, vedere frustrato o addirittura distrutto il sogno di autonomia siriano potrebbe portare ad un'ulteriore escalation di violenze anche in quell'area, con la guerra che di fatto annullerà l'esistenza di un confine, quello turco-siriano, che appare sempre più effimero. Ora che la Turchia è entrata in guerra in Siria, si avvicina la possibilità che la guerra entri ancora di più in Turchia.


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