bandiera turca

(Flickr - album di brokodil)

Con la partecipazione del primo ministro turco Erdoğan a fianco del presidente bosniaco Silajdžić e di quello serbo Tadić alla commemorazione del genocidio di Srebrenica e la firma a Belgrado di sei accordi di cooperazione tra Serbia e Turchia, Ankara esporta la sua politica di “zero problemi coi vicini” anche nei Balcani

22/07/2010 -  Alberto Tetta Istanbul

“Non dimenticheremo e faremo sì che non si dimentichi. Non lasceremo che dalla nostra mente scompaia quello che è accaduto, perché non vogliamo che nessuna pulizia etnica si ripeta in nessuna parte del mondo. Ogni guerra è brutta. Tuttavia una guerra tra fratelli, una guerra tra parenti, amici che hanno in comune storia, cultura e persino una lingua è molto più che brutta” ha dichiarato Erdoğan intervenendo in turco davanti alle 50 mila persone che hanno partecipato a Potočari alla tumulazione delle spoglie di 775 vittime del massacro di Srebrenica. Oltre alle frasi di rito però Erdoğan ha anche sottolineato come l'approvazione della dichiarazione di condanna su Srebrenica votata dal parlamento di Belgrado lo scorso 31 marzo sia “una decisione storica per un futuro di pace e fratellanza nei Balcani” e che “anche la partecipazione di Tadić alla commemorazione della strage di Srebrenica è uno storico passo in avanti verso un futuro senza guerra.”

Una partecipazione, quella di Tadić, che rappresenta un successo per la diplomazia turca. Ankara infatti ha favorito l’inizio del dialogo tra Bosnia e Serbia avviato lo scorso ottobre con la visita del presidente turco Abdüllah Gül a Belgrado che ha avuto come risultato la firma ad Istanbul, il 23 aprile scorso, di una dichiarazione congiunta nella quale Turchia, Bosnia e Serbia si impegnavano a promuovere “una politica regionale basata sulla sicurezza, un dialogo politico permanente e la salvaguardia del carattere multietnico, multiculturale e multi religioso della regione”. Nella stessa occasione Tadić ed Erdoğan si impegnarono a visitare Srebrenica nel 15° anniversario della strage.

Anche secondo Hatidža Mehmedović, presidente dell’associazione "Madri di Srebrenica", la partecipazione del primo ministro Erdoğan alla commemorazione è stata importante: “Durante la cerimonia ho stretto la mano del primo ministro Erdoğan e sono molto contenta di questo. Se Erdoğan non avesse partecipato neanche Tadić sarebbe venuto” ha dichiarato all’agenzia turca Anadolu, aggiungendo: “Tadić è una persona ravveduta e sa che stare dalla parte della Turchia per lui non può essere che un vantaggio”.

Erdoğan dopo aver lasciato la Bosnia Erzegovina ha continuato la sua visita nei Balcani recandosi a Belgrado dove, il 12 giugno, ha incontrato l’omologo serbo Mirko Cvetković. In questa occasione i ministri degli Esteri dei due paesi hanno firmato sei accordi di cooperazione che prevedono tra l’altro la libera circolazione delle persone tra Turchia e Serbia.

Superate a quanto pare, grazie al dialogo iniziato ad ottobre, anche le incomprensioni tra i due paesi relative al riconoscimento tempestivo da parte di Ankara dell’indipendenza del Kosovo il 17 febbraio 2008: “il nostro punto di vista rispetto al Kosovo è legato alla decisione che la Corte Internazionale di Giustizia prenderà nei prossimi giorni. Sono convinto che le nostre prese di posizione rispetto al Kosovo non comprometteranno mai le relazioni tra noi e la Serbia” ha dichiarato Erdoğan.

Oltre al superamento del regime dei visti che era stato imposto unilateralmente dalla Serbia di Milošević ai cittadini turchi nel 1992, gli accordi firmati a Belgrado serviranno a creare condizioni favorevoli per una maggiore cooperazione commerciale tra i due paesi. Ulteriore tappa di questo processo la firma, prevista per settembre di un accordo in base al quale verrà istituita una zona di libero scambio tra Serbia e Turchia.

Altro importante tema di cui si è discusso a Belgrado è stata la cooperazione turco-serba nel settore trasporti. Partirà a breve un progetto grazie al quale diversi aeroporti militari dei due paesi verranno aperti al traffico civile, inoltre si parla da tempo dell’acquisizione da parte della Turkish Airlines della compagnia di bandiera serba Jat Airways. Erdoğan ha dichiarato a Belgrado che se le trattative andranno a buon fine: “il passaggio alla Turkish Airlines permetterà alla Serbia di aprirsi al mondo, visto che la nostra compagnia è tra le prime sette a livello internazionale”. Ma l’accordo forse più importante riguarda il trasporto su gomma. I due paesi stanzieranno circa 750 milioni di euro per finanziare la costruzione da parte di aziende turche e serbe di un’autostrada che collegherà Serbia e Montenegro passando per il Sangiaccato per poi scendere verso la costa adriatica.

E’ stato proprio il Sangiaccato, a maggioranza bosgnacca, l’ultima tappa del viaggio di Erdoğan nei Balcani. A Novi Pazar, Erdoğan ha inaugurato il nuovo centro culturale turco insieme al presidente serbo Tadić, al suo arrivo il primo ministro è stato accolto da un gruppo di persone che sventolavano bandiere turche e scandivano slogan a favore del paese anatolico. Il presidente serbo, intervenuto durante l’inaugurazione ha sottolineato come l’apertura di quel centro rappresenti una ulteriore dimostrazione dell’amicizia tra i due paesi e dell’importanza del ruolo che la Turchia sta giocando nei Balcani orientali.

Risulta sempre più evidente come la Turchia, stanca di aspettare un'Europa che guarda altrove, proponendosi come mediatrice tra Hamas e Fatah in Palestina, cercando un accordo con Brasile e Iran sul nucleare, lavorando alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con l’Armenia e la Siria o spingendo per una soluzione negoziata del conflitto in Nogorno Karabakh, stia cercando in tutti i modi di ritagliarsi un ruolo di rilievo a livello internazionale

Dopo la visita lo scorso 14 maggio di Erdoğan ad Atene e con gli accordi di cooperazione con la Serbia di questi giorni Ankara sta adottando nei Balcani la stessa semplice ricetta fatta di abolizione dei visti, accordi commerciali e discorsi ufficiali, usata da un anno a questa parte in ogni occasione dal sempre pacato e sorridente ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu. Avrà successo la politica di “multilateralismo neo-ottomano” teorizzata dall'ex-professore di relazioni internazionali nel suo libro più celebre Stratejik Derinlik (Profondità Strategica)? E’ ancora troppo presto per dirlo.


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