Una fase della finale olimpica a Tokyo tra Distria Krasniqi e Funa Tonaki - screenshot da Youtube

Una fase della finale olimpica a Tokyo tra Distria Krasniqi e Funa Tonaki - screenshot da Youtube

Dopo il successo nei Giochi Olimpici di Rio 2016, in cui il paese è riuscito a portare a casa un oro olimpico nel judo, a Tokyo il Kosovo fa il bis con due medaglie, sempre dal judo. Oltre al successo sportivo, il Kosovo ne giova anche in visibilità internazionale

18/08/2021 -  Ornaldo Gjergji

Durante i giochi olimpici di Tokyo il Kosovo ha stupito aggiudicandosi due medaglie d’oro nel judo. Prima quella di Distria Krasniqi nella categoria dei 48kg, poi qualche giorno dopo a vincere l’oro è stata Nora Gjakova, per la categoria 57kg. Le due atlete iridate sono tornate a Pristina accolte come vere e proprie eroine per aver portato la bandiera del Kosovo sul gradino più alto del podio olimpico. In occasione del loro ritorno nella capitale hanno ringraziato e dedicato la medaglia anche al popolo del Kosovo, in quello che è stato un vero e proprio incontro pubblico istituzionale, che ha visto assieme a loro sul palco anche il primo ministro kosovaro Albin Kurti.

Per qualche giorno infatti il Kosovo è stato nei primi dieci paesi in classifica nel medagliere di questa edizione, e resta fra i primi paesi nella classifica di ori conquistati per milione di abitanti, facendo sì che molte persone potessero accorgersi di una cosa che sembra piuttosto banale, ma che è fondamentale per i kosovari: far sapere che il loro paese esiste.

Un bagno di folla che ricorda quello del 2016 per Majlinda Kelmendi, che a Rio vinse la prima medaglia olimpica nella storia del paese balcanico. Sempre un oro nel judo, portando per la prima volta la bandiera del nuovo paese europeo, e il suo inno, in mondovisione.

Oltre il successo sportivo

Il successo di Kelmendi è stato ricordato anche quest’anno dalla Presidente del Kosovo Vjosa Osmani, che ha sottolineato come l’atleta abbia spianato la strada alle sportive e agli sportivi del paese, dando speranza e mostrando che, nonostante il Kosovo sia un piccolo paese con molti problemi ancora da risolvere, è in grado di esprimere delle eccellenze a livello internazionale.

Questo successo sportivo per il Kosovo alle olimpiadi è ancora più significativo visto i risvolti politici. Il Kosovo infatti non è ancora riconosciuto da decine di paesi al mondo.

C’è infatti molto più del successo sportivo dietro al calore con cui sono state accolte le atlete al ritorno dai giochi. Come ha scritto su twitter la Presidente del Kosovo Vjosa Osmani, ricordando la vittoria olimpica e prima medaglia d’oro per il Kosovo vinta da Kelmendi a Rio, questa è anche un’occasione per poter avere la loro bandiera issata sul podio ed il loro inno essere ascoltato da tutto il mondo. Una valenza simbolica molto forte, perché sancisce che il Kosovo esiste, e che è in grado di arrivare laddove altri paesi non riescono, nonostante tutto.

Tutto questo fino a poco fa non era nemmeno immaginabile, visto che il Comitato Olimpico Internazionale ha concesso solo nel 2014 agli atleti kosovari di poter gareggiare per la bandiera del loro paese. E nel 2012, ad esempio, Majlinda Kelmendi gareggiava alle olimpiadi di Londra per l’Albania, sostenendo comunque che albanesi e kosovari siano lo stesso popolo, e che quindi lei ha sempre rappresentato il suo popolo.

Kelmendi aveva in quegli anni rifiutato generose offerte da parte di altre nazioni, che avrebbero voluto averla come atleta nelle proprie federazioni.

Tutti questi successi si devono anche grazie a Driton Kuka, allenatore delle ragazze e selezionatore della rappresentanza del judo del Kosovo. Lo stesso Kuka ebbe una storia controversa per quanto riguarda le partecipazioni olimpiche. Nel 1991, appena ventenne, decise di smettere con le gare rifiutandosi di gareggiare come atleta della Jugoslavia visto il giro di vite che Belgrado stava dando alle politiche contro la comunità albanese in Kosovo, perdendo così l’occasione di andare ai giochi di Barcellona del 1992, e decidendo, dopo la guerra, di fermarsi nella sua città natale, a Peja, per aprire una palestra ed allenare giovani, fra cui tutte le ora campionesse olimpiche del suo paese.


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