Polizia in tenuta antisommossa, sfondo immagine bandiera del Kosovo © Anton_Medvedev/Shutterstock

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Di nuovo tensioni al confine tra Kosovo e Serbia. Il vero motivo risiede nella polemica sulle targhe automobilistiche e una questione di reciprocità tra Belgrado e Pristina. Ciò a cui non si bada è la possibilità che da una piccola scintilla divampi un drammatico incendio

23/09/2021 -  Vukašin Obradović Belgrado

Nonostante i cittadini della Serbia e del Kosovo siano ormai abituati ad assistere a “piccole guerre mediatiche”, che da una decina di anni vengono orchestrate e portate avanti dalle autorità di Belgrado e Pristina, lo scorso lunedì nessuno è rimasto indifferente di fronte alle immagini delle barricate nel nord del Kosovo e degli agenti dell’unità speciale della polizia kosovara che, armati fino ai denti, si dirigevano verso Jarinje e Brnjak, due valichi di confine con la Serbia. A surriscaldare ulteriormente l’atmosfera sono stati i media serbi e kosovari, parlando, con toni drammatici, di “conquista” e “occupazione” del nord del Kosovo.

Quella mattina l’unico ad essere completamente calmo, se non addirittura di buon umore, è stato il presidente serbo Aleksandar Vučić. E aveva buoni motivi per esserlo. Lunedì mattina Vučić si è infatti recato a Svilajnac, nella Serbia occidentale, dove ha inaugurato un nuovo stabilimento dell’azienda svizzera Regent Lightning, produttrice di impianti elettrici di illuminazione, promettendo ai cittadini radunati – così en passant, com’è suo solito fare – di voler costruire in quell’area una nuova strada di circonvallazione e persino due ponti.

Alcuni hanno commentato quella situazione assurda affermando ironicamente che “il Kosovo si difende a Svilajnac”. Tali commenti non hanno però scoraggiato il presidente serbo dal proseguire, in pompa magna, con la cerimonia di inaugurazione dello stabilimento. Solo in un secondo momento Vučić ha rivolto l’attenzione al Kosovo e a quanto stava accadendo a Brnjak e Jarinje. Ma non perché inizialmente non ne sapeva nulla.

Il presidente serbo è sempre ben informato su tutto. Del resto, è stato lui stesso a dichiarare che le autorità di Belgrado sapevano esattamente cosa sarebbe accaduto al confine con il Kosovo ma, come abbiamo già detto, questa non è la prima, e probabilmente non sarà nemmeno l’ultima volta che le questioni irrisolte tra Belgrado e Pristina vengono affrontate ricorrendo ad una strategia di marketing politico imperniata sullo slogan “Siamo ad un passo da una nuova guerra”.

Ed effettivamente, nella serata di lunedì 20 settembre, Vučić si è rivolto ai cittadini serbi pronunciando un discorso – trasmesso in diretta da quasi tutte le emittenti televisive a copertura nazionale – in cui, come c’era da aspettarsi, non sono mancati toni drammatici.

Commentando la decisione delle “istituzioni provvisorie di autogoverno del Kosovo” di inviare le forze speciali nel nord del paese, Vučić ha dichiarato che quel giorno è stato “uno dei più difficili per il popolo serbo del Kosovo e Metohija”, per poi aggiungere che ”non è il caso di drammatizzare, ma la situazione è seria e difficile”.

“Ieri sera abbiamo saputo che Pristina aveva intenzione di inviare le forze speciali nel nord”, ha affermato Vučić, ricordando che quella era la sesta volta che le forze speciali della polizia kosovara venivano dispiegate nel nord del Kosovo, con tanto di carri armati e cecchini, definendo l’intera vicenda come “un brutale attacco senza precedenti”. Il presidente ha poi precisato che circa 350 membri delle forze speciali della polizia kosovara, armati di fucili, sono stati inviati nel nord del paese per svolgere compiti che normalmente spettano alla polizia stradale, senza aver ottenuto alcuna autorizzazione da parte dei sindaci dei quattro comuni a maggioranza serba.

Per mettere in evidenza la drammaticità della situazione, Vučić ha convocato d’urgenza, per martedì 21 settembre, il Consiglio di sicurezza nazionale, ed è una mossa che si inscrive nell’ormai consolidato repertorio di strategie – comprese le barricate e le proteste dei serbi del Kosovo – a cui le autorità di Belgrado ricorrono in simili situazioni.

Anche la parte kosovara ha reagito con l’ormai consueta retorica, ulteriormente infiammata dalla campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative. Così l’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj ha dichiarato che “ormai non si torna più indietro”, mentre Duda Balje, deputata del parlamento kosovaro di nazionalità bosgnacca, ha affermato di essere orgogliosa degli agenti di polizia kosovara dispiegati nel nord del Kosovo che, stando alle sue parole, non si lasciano provocare dai serbi.

Il motivo che ha scatenato le tensioni

Una volta calmati gli animi, è emerso che il vero motivo delle tensioni risiede nella polemica sulle targhe automobilistiche che risale al 2011 quando Belgrado e Pristina hanno sottoscritto un accordo di libera circolazione, secondo cui tutti i veicoli che dal Kosovo entravano i Serbia dovevano sostituire le targhe kosovare con targhe serbe provvisorie pagando una tassa di 400 dinari (circa 3,4 euro).

Questo accordo doveva scadere nel 2016, ma siccome nel frattempo non è stata trovata alcuna soluzione più soddisfacente, l’accordo è stato rinnovato per altri cinque anni, ed è definitivamente scaduto qualche giorno fa, senza che si sia arrivati ad alcuna intesa. Ed è per questo che le autorità di Pristina hanno deciso di introdurre una misura di reciprocità, introducendo l’obbligo per tutti i veicoli in entrata dalla Serbia di sostituire le targhe serbe con targhe temporanee kosovare e di sottoscrivere una polizza assicurativa.

Le autorità kosovare hanno inoltre deciso di abolire le targhe kosovare con la dicitura KS (le uniche finora accettate dalla Serbia) con quelle con la dicitura RKS (che sta per Repubblica del Kosovo) che d’ora in poi dovrebbero essere le uniche valide per la circolazione in Kosovo.

“Il governo kosovaro ha deciso di introdurre una misura di reciprocità nei confronti della Serbia per quanto riguarda le targhe di immatricolazione degli autoveicoli perché sono scaduti gli accordi del 2011 e del 2016 sulla libera circolazione tra i due paesi. La decisione del governo garantisce ai cittadini di entrambi i paesi un trattamento uguale, nonché la libertà di circolazione. La decisione è stata implementata su tutti i valichi di frontiera [con la Serbia], tranne su due valichi al nord del Kosovo, dove il governo di Belgrado e le strutture illegali strumentalizzano la popolazione locale serba”, ha affermato la presidente del Kosovo Vjosa Osmani.

Al termine della seduta del Consiglio nazionale di sicurezza, tenutasi martedì 21 settembre, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha esposto il suo punto di vista sulla questione, senza però nemmeno menzionare le targhe, limitandosi a criticare la comunità internazionale che, secondo Vučić, tende a “mettere sullo stesso piano le responsabilità di Belgrado e Pristina”. Il presidente ha inoltre espresso il suo sostegno ai serbi del nord del Kosovo che lunedì 20 settembre hanno bloccato il valico di Jarinje in segno di protesta per la decisione delle autorità kosovare di modificare il sistema delle targhe.

“Un grande saluto ai nostri eroi in Kosovo. Quegli uomini sono l’orgoglio della Serbia e del nostro popolo. Li ringrazio per difendere le loro case”, ha dichiarato Vučić. Il presidente ha anche aggiunto di aver respinto una “presunta soluzione di compromesso” proposta dalla Nato e dall’UE, senza però fornire ulteriori dettagli al riguardo.

Milovan Drecun, presidente della Commissione del parlamento serbo per il Kosovo e Metohija, ha dichiarato che “il problema non risiede nelle targhe, bensì nel comportamento del premier kosovaro Albin Kurti che ha bisogno di incidenti per giustificare l’introduzione delle misure di reciprocità”.

Stando alla ultime notizie, la situazione ai valichi di Jarinje e Brnjak è tranquilla, finora non si è verificato alcun incidente, nonostante le barricate erette dai serbi e una forte presenza della polizia kosovara. C’è da auspicare che la situazione rimanga calma e che anche questa crisi venga risolta in modo da non compromettere la pace in Kosovo.

Quello che però sembra sfuggire ai fautori di simili crisi è il fatto che basta una piccola scintilla, una manciata di persone innervosite o una circostanza improvvisa per scatenare un incendio con conseguenze drammatiche. Uno scenario ben noto ai cittadini dell’ex Jugoslavia. È per questo che le autorità serbe e kosovare dovrebbero pensarci due volte prima di decidere di alimentare le tensioni etniche. Purtroppo, le esperienze del passato dimostrano che le autorità tendono a ignorare i pericoli insiti in tale comportamento, ed è questo che preoccupa le persone benintenzionate di tutta la regione post-jugoslava.


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