Rumena Bužarovska (screenshot da Youtube)

Rumena Bužarovska (screenshot da Youtube)

E' scrittrice e promotrice del movimento #MeToo in Macedonia. La forma letteraria che predilige è quella dei racconti brevi. Abbiamo incontrato, al festival Pordenonelegge, Rumena Bužarovska

09/10/2019 -  Martina Napolitano

«“Hai mai notato che tutti i grandi artisti sono maschi? […] Le donne non possono essere artiste – non fa parte della loro natura. […] Andiamo. Citami una grande scrittrice. A livello di Dostoevskij, di Čechov, di Hemingway, ad esempio” mi disse. “Ecco, Marguerite Yourcenar” dissi, perché solo lei mi venne in mente in quel momento. “Non vale. Era lesbica” mi rispose ed entrò nel bagno […] e non finimmo mai quella conversazione, nella quale gli avrei citato centinaia di artisti maschi che erano gay, come il suo compositore preferito, Čajkovskij, per dire»

(da Mio marito, Bottega Errante Edizioni, traduzione di Ljiljana Uzunović, 2019, pp.76-77)

Rumena Bužarovska è una giovane scrittrice macedone (1981), autrice di quattro libri: "Sono raccolte di racconti brevi perché è questa la forma che mi viene più naturale quando scrivo", spiega mentre beve un cappuccino molto zuccherato a margine della presentazione di Mio marito al festival Pordenonelegge; quest'ultimo è il suo primo libro tradotto in italiano. "Il racconto mi permette di dare voce a più personaggi, di intrecciare più soggetti e motivi, di seguire la velocità del quotidiano. Inoltre, usare un narratore in prima persona consente di giocare sull’inaffidabilità di quanto viene raccontato, sulla distanza ironica che sdrammatizza la tragicità di alcune situazioni".

Rumena insegna letteratura americana all’università di Skopje e ha tradotto in macedone grandi scrittori, da Lewis Carroll a J.M. Coetzee. Figlia di accademici, conosce la realtà statunitense da anni, ma nonostante il suo perfetto inglese è contraria a scrivere in un’altra lingua che non sia il suo macedone: "Semplicemente non penso in inglese. Conoscerlo mi aiuta nella scrittura: faccio un grande lavoro sulla lingua e per rendermi conto della scorrevolezza di ciò che scrivo provo a tradurmi; se funziona tutto anche in inglese, allora ciò che ho scritto va bene". Della sua passione per la letteratura americana è testimone lo stile dei suoi testi – diretto, asciutto, ironico con tinte tragicomiche: richiama molto la scrittura di Raymond Carver. Pur trattando tematiche complesse e spesso drammatiche, Mio marito è infatti una lettura scorrevole, leggera e addirittura divertente: al centro vi è la situazione femminile nella società patriarcale, descritta per mezzo delle voci di diversissime protagoniste. Sono storie macedoni per sapori, musicalità, gusti, come quello dell’ajvar, protagonista tragico di una delle storie più forti della raccolta, Lile; eppure, sono microcosmi che riflettono situazioni universali.

Dalla sua prospettiva apertamente femminista Rumena Bužarovska ha lanciato in Macedonia il movimento #MeToo (#СегаКажувам, Ora parlo io) e, insieme a Ana Vasileva, organizza il festival Peach Preach dedicato a storie al femminile: l’obiettivo è mettere in discussione la narrazione maschio-centrica tradizionale e proporre nuove prospettive. Un progetto non banale, certamente in Macedonia, ma anche altrove: "Dei problemi della società patriarcale non sono vittime solo le donne macedoni o balcaniche, ma sono questioni che riguardano tutte le società occidentali. Prendiamo gli Stati Uniti, ad esempio, dove le donne non hanno a disposizione una rete di servizi e assistenza sociale", afferma. "Purtroppo cresciamo in una società nella quale fin dalle fiabe, dai film, dalle pubblicità ci convincono che la realizzazione della donna si ha con la famiglia, il matrimonio, i figli. Per l’uomo non è così: lo status dell’uomo è determinato dalla sua professione, quello della donna unicamente dal suo ruolo di madre, moglie, figlia".

Nella raccolta di racconti Mio marito, tradotta in italiano da Bottega Errante (la prima autrice macedone per questa casa editrice), Rumena mette ben in luce questa sua riflessione: ogni storia, raccontata in prima persona da una donna, si apre in primo luogo con la descrizione della professione del marito. Si tratta di uomini che vengono dipinti con crudezza dalle compagne, che ne sottolineano senza remore i difetti, il carattere debole, le meschinità, le idee discutibili (un certo sciovinismo macedone in primo luogo), l’egocentrismo. "L’uomo è abituato a nutrire una propria autostima e quindi gli è più facile rispetto a una donna convincersi di qualità e doti che in realtà non ha", spiega la scrittrice. Come nel caso del “poeta” protagonista del primo racconto del libro, Mio marito, poeta: "Quanti ce ne sono di poeti così ai festival di poesia! – afferma Rumena – la loro non è poesia, ma quella che definirei pura masturbazione poetica".

Rumena Bužarovska con Mio marito costruisce, per dirla con Virginia Woolf, una stanza tutta per le donne, protagoniste per nulla idealizzate nei suoi racconti, ma imperfette, talvolta rancorose, incattivite: "Proprio per questo alcune femministe hanno criticato il mio libro", racconta la scrittrice. Sono donne vittime di una generale incomunicabilità, e non solo nei confronti dei mariti, ma anche delle madri, delle amiche, dei figli: "Sono circondate da rapporti disfunzionali. L’amore, per come la vedo io, nella società patriarcale si traduce in schiavitù per la donna".

Per la scrittrice è possibile cambiare le cose, ripartendo dall’educazione, dall’istruzione, dalla cultura, dalla letteratura. "Ogni testo dopotutto è politico, non esiste a mio avviso letteratura che non sia politica, semplicemente perché riflette un contesto storico e sociale, reale o di finzione che sia", afferma.

Un esempio di questa possibilità di cambiamento viene proprio dalla personale esperienza di Rumena con il movimento #MeToo in Macedonia: se inizialmente fu bersagliata da numerose critiche e messaggi di odio, già negli ultimi tempi, gli eventi, gli incontri, le manifestazioni da lei organizzati a Skopje si sono svolti senza problemi: "Ricevere critiche vuol dire che si sta andando nella direzione giusta, dopotutto – spiega – e sono rimasta stupita di quanto in fretta si possa instaurare un nuovo discorso, all’inizio rifiutato, nella società".


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