Joe Biden

Nei giorni scorsi Joe Biden, vice-Presidente USA si è recato in Georgia. Per assicurare il sostegno americano ad un anno dal conflitto che oppose Tbilisi a Mosca

29/07/2009 -  Tengiz Ablotia Tbilisi

La visita del vice Presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Georgia si è conclusa evidenziando quello che era già chiaro prima del suo arrivo: Biden ha infatti tenuto a precisare che la nuova fase che caratterizza le relazioni russo-americane non andrà a discapito degli interessi georgiani.

I timori georgiani a questo proposito esistono da anni. Tbilisi ha sempre temuto che gli Stati Uniti potessero mutare la loro posizione filo-georgiana in cambio di favori russi in Afghanistan, Iran o Iraq. Timori sino ad ora infondati dato che gli Stati Uniti non sembra vogliano mutare la loro strategia geopolitica in Caucaso.

Biden si è mostrato molto pragmatico: "Un anno fa feci visita alla Georgia e molti lo definirono inopportuno. Ma ritenevo che la vostra indipendenza fosse essenziale sia per il mio paese che per il mondo intero. In quell'occasione ho promesso, nelle vesti di senatore, e oggi lo faccio in quelle di vice-Presidente, che noi continueremo a sostenere la Georgia. Questa promessa è fatta anche a nome del Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama".

L'appoggio degli Stati Uniti nei confronti della Georgia rimane quindi intatto, anche se allo stadio attuale non è sufficiente per risolvere i conflitti che affliggono il territorio georgiano. Gli americani infatti non sono pronti ad affrontare un ulteriore peggioramento delle loro relazioni con la Federazione Russa.

La visita di Joe Biden evidenzia che ciò che l'opposizione georgiana continua a ripetere, cioè il fatto che Saakashvili avrebbe perso il supporto dei suoi alleati occidentali, non corrisponde pienamente alla realtà dei fatti. La reputazione del Presidente georgiano in carica Saakashvili non è certo più ai livelli del 2003 al momento della Rivoluzione delle Rose. La guerra in agosto e le tendenze autoritarie hanno contribuito a far scemare l'entusiasmo della Comunità internazionale nei confronti del Presidente Saakashvili. Arrivare ad affermare però che l'Occidente sia totalmente deluso dal leader georgiano sarebbe, come emerge dalle parole di Joe Biden, piuttosto esagerato.

Biden ha inoltre tenuto a precisare che gli Stati Uniti continueranno a sostenere il processo di democratizzazione in Georgia ben consapevoli che un periodo di 5-10 anni di transizione non sia sufficiente per costruire una democrazia a tutti gli effetti aggiungendo che "la Rivoluzione delle Rose si può ritenere conclusa solo nel momento in cui in Georgia si raggiungerà un equilibrio pieno tra i poteri, un sistema giudiziario indipendente e una piena libertà di stampa." Washington non ambisce ad una destituzione anticipata del Presidente Saakashvili; pretende invece da quest'ultimo una attuazione concreta delle riforme.
USA o federazione russa?
Sino al 1995-1996 la Georgia era uno stato orientato verso la Russia. Dopo la perdita dell'Abkhazia e dell'Ossetia del Sud, l'allora Presidente Eduard Shevardnadze ha optato per un orientamento di politica estera verso la Russia, con la speranza che in cambio il Cremlino lo avrebbe aiutato a riacquistare l'integrità territoriale dello stato georgiano. Queste aspettative andarono deluse.

Dal 1996-97 la Georgia ha iniziato a rivolgersi piano piano verso l'Occidente. Un evento molto importante che ha segnato questi anni è rappresentato dalla conclusione dell'accordo per la costruzione dell'oleodotto Baku-Tbilisi Ceyhan. La Repubblica di Georgia ha allora assunto una rilevanza notevole sulle cartine geopolitiche mondiali: il suo ruolo è stato innalzato a quello di porta verso l'Occidente.

Nel 1999 Shevardnadze arrivò a dichiarare che nel 2005 la Georgia avrebbe bussato alle porte della NATO. Successivamente, nel 2001, grazie all'appoggio degli Stati Uniti, vennero avviati programmi di riforma e ammodernamento dell'esercito georgiano, visti naturalmente con ostilità da parte russa.

Alla fine del suo mandato presidenziale però, Shevardnadze, in piena crisi politica interna, tornò a rivolgersi gradualmente verso Mosca. Questa inversione di rotta verso il Cremlino fu breve. La rivoluzione delle Rose del 2003 ha dato fine ad una apertura verso Mosca e si è rivolta a Occidente.

Durante il mandato di Saakashvili le relazioni tra la Georgia e gli Stati Uniti si sono intensificate costantemente. Nel 2004 il governo di Tbilisi ha provato nuovamente a rivolgersi alla Russia per restaurare la propria integrità territoriale, mettendo sul piatto l'impegno a non integrarsi nel Patto atlantico. Non ottenendo una risposta concreta, la Georgia ha aperto completamente agli Stati Uniti.
Gli Usa e l'opinione pubblica georgiana
A metà degli anni '90 l'atteggiamento dell'opinione pubblica georgiana nei confronti degli Stati Uniti era simile a quello nei confronti della Russia, ed era fondato sulla base di considerazioni di puro mercantilismo: abbiamo bisogno di denaro, stiamo dalla parte di chi ci fornisce più fondi.

Con l'andare del tempo, l'opinione pubblica sembra aver sviluppato un approccio più complesso, individuando nel modello occidentale uno scopo da raggiungere anche per il proprio paese. L'Occidente inoltre viene sempre più individuato come garante di standard democratici nella competizione politica interna. Esistono comunque timori di essere un piccolo stato che potrebbe affondare nel processo di globalizzazione, oppure che aperture eccessive agli Stati Uniti potrebbero andare a discapito dei rapporti con la Russia, pur sempre un vicino molto potente. Ma l'opinione più condivisa è che non vi siano percorsi alternativi ad un totale apertura nei confronti degli Stati Uniti.


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