Bulgaria. Crocevia di culture

Nella rassegna bibliografica italiana dedicata alla Bulgaria si inserisce il nuovo libro di Richard J. Crampton. Tra i massimi esperti della storia dei Balcani, coniugando brillantemente taglio accademico e divulgativo, fa conoscere la Bulgaria a un pubblico potenzialmente più ampio della ristretta cerchia di accademici e specialisti

14/02/2011 -  Massimiliano Di Pasquale

Cuore dei Balcani, per secoli contesa da due grandi imperi, quello russo e quello ottomano, la Bulgaria, nonostante l’ingresso nell'Ue, quattro anni fa, è tuttora un Paese pressoché sconosciuto al lettore italiano. O nella migliore delle ipotesi, come sottolinea lo storico Francesco Guida nella post-fazione di questo libro, pubblicato recentemente dalla triestina Beit, ancorato alla visione stereotipata di un “regime politico serratamente plebiscitario e antidemocratico nelle sue decisioni (“elezioni bulgare”)”.

A vent’anni dal crollo del regime comunista di Todor Zhivkov, che governò il Paese per quasi trent’anni, dagli anni del disgelo chruscioviano (rimpiazzando Chervenkov, protetto di Stalin) fino al fatidico 1989, è opportuno lasciarsi alle spalle uno stereotipo e conoscere la storia di un Paese che, protagonista nell’ultima decade di una straordinaria transizione pacifica verso la democrazia, ha per la nuova Europa allargata una notevole importanza geopolitica.

Oggi infatti la collocazione tra Europa e Asia fa della Bulgaria, forse più della Turchia, il cui ingresso nell'Ue allo stato attuale appare ancora incerto, un ponte tra due mondi che dovranno sempre più dialogare alla ricerca di proficue vie di collaborazione e di integrazione.

Accademia e divulgazione

Il saggio di Richard J. Crampton, docente di Storia dell’Europa Orientale all’Università di Oxford, tra i massimi esperti della storia dei Balcani, coniugando brillantemente taglio accademico e divulgativo, ha l’indubbio merito di fare conoscere la Bulgaria a un pubblico potenzialmente più ampio della ristretta cerchia di accademici e specialisti.

Lo studioso inglese, che ha dedicato alla Bulgaria una monografia più poderosa, ma limitata al periodo 1848-1918, sceglie infatti in questo libro – presentato per la prima volta in traduzione al pubblico italiano – di raccontare gli eventi dal profondo Medioevo fino agli anni del post-comunismo tralasciando dettagli o risvolti che risulterebbero pesanti per i non addetti ai lavori e di concentrarsi sulla narrazione.

In linea con la migliore tradizione anglosassone Crampton introduce con notevole frequenza riflessioni, giudizi e talora testimonianze o citazioni. Scelta questa che si rivela vincente perché riduce il distacco tra autore e lettore rendendo più agevole e gradevole la fruizione dell’opera.

Anche la decisione di corredare il volume con alcuni cenni sulla pronuncia del bulgaro, cartine geografiche riferite a varie epoche storiche, cronologia degli eventi e ben due bibliografie, quella originaria e una italiana curata dal professore Guida, è funzionale all’obiettivo sopraccitato di avvicinare alla lettura anche i neofiti.

Diviso in nove capitoli, che passano in rassegna gli avvenimenti dalla preistoria fino all’era post-comunista, il libro di Crampton è inevitabilmente più orientato verso l’epoca moderna.

Va da sé che i secoli dal 7° al 18° vengano trattati in un numero di pagine di molto inferiore rispetto al periodo 1878-2007.

Tuttavia i principali problemi e snodi storico-culturali della Bulgaria dal Medioevo al ‘700 sono illustrati con chiarezza e puntualità dallo storico inglese.

Basti pensare alla questione macedone, che riemergerà anche nell’800 o a certe correnti filosofico culturali come il bogomilismo, un’eresia cristiana del 10° secolo che, predicando ascetismo, distacco totale dalla vita mondana ed esaltando povertà, celibato, sobrietà e vegetarianismo, ha finito per plasmare ed influenzare profondamente la mentalità del popolo bulgaro.

Dissidenza

Una delle ragioni addotte da Crampton per spiegare la debolezza, per non dire quasi l’inesistenza, di un movimento di dissidenti negli anni del regime comunista è proprio il senso di apatia che pervadeva la maggioranza dei bulgari.

Confrontando la situazione politico-sociale della Bulgaria con quella coeva della Polonia – siamo a metà degli anni ’70 – lo storico sottolinea come nel paese balcanico non esistesse un reale pericolo di rivolta da parte della società civile.

I casi di Georgi Markov – avvelenato con un dardo sparato da un ombrello sul Waterloo Bridge a Londra nel settembre 1977 per aver rivelato troppi dettagli sullo stile di vita dell’élite politica bulgara – e quello di Vladimir Kostov – che due settimane più tardi a Parigi fu oggetto di un tentativo analogo, ma senza successo, per aver denunciato l’operato della polizia segreta bulgara e i suoi stretti legami con il Cremlino – non sono che episodi isolati.

In patria la maggior parte degli abitanti era soddisfatta o indifferente. Nonostante alcuni sporadici segnali di malcontento, non c’era il pericolo che scoppiassero proteste del tipo di quelle polacche. In Bulgaria non esisteva una chiesa indipendente che potesse sfidare l’obbedienza al regime; e quando veniva messo di fronte a un sistema politico che non lo soddisfaceva, il cittadino bulgaro tendeva a manifestare rinuncia ed apatia: l’eredità bogomila si conservava ancora”.

Nazionalismo

Durante il periodo della Zhivkovshina (1965-1989), gli anni del dominio personale di Todor Zhivkov, l’uomo di Mosca, l’unico tentativo di affrancamento culturale dall’ortodossia comunista sovietica arrivò paradossalmente proprio dalla figlia di Zhivkov.

Ljudmila Zhivkova, grazie alla sua condizione di privilegiata, aveva potuto trascorrere un anno accademico ad Oxford. Tornata in patria nel 1971 fu nominata vicepresidente della commissione per la Cultura e le arti. Quattro anni più tardi ne divenne presidente.

Quando nel 1980 fu eletta a capo della commissione del politbjuro per la Scienza, la cultura e le arti, i suoi interessi poco marxisti per il misticismo e la cultura nazionale bulgara divennero di pubblico dominio.

A riprova del suo nazionalismo, guardato con sospetto e diffidenza a Mosca, la Zhivkova organizzò nel 1981 una grande celebrazione per l’anniversario dei 1300 anni dalla fondazione del primo Stato Bulgaro.

Il nazionalismo della Zhivkova – scrive Crampton – aveva avuto connotazioni culturali e non etniche e costituì, più che una discriminazione delle minoranze presenti all’interno dello Stato, un richiamo a celebrare le conquiste della civiltà bulgara”.

Purtroppo la sua morte prematura avvenuta nel luglio 1981 a soli 39 anni – si parlò subito di un omicidio ordito da Mosca, ma non furono trovate prove per smentire la dichiarazione ufficiale di decesso a seguito di emorragia cerebrale – rappresentò un simbolico punto di svolta, dopo il quale, all’interno della classe dirigente bulgara la speranza di un rinnovamento politico-sociale fu accompagnata da notevole sfiducia.

Otto anni più tardi il crollo del Muro di Berlino e la crescente insofferenza verso un regime sempre più corrotto ed inefficiente ormai privo anche del sostegno dell’agonizzante orso sovietico, porteranno i primi venti di cambiamento anche in Bulgaria.

Nonostante la caduta di Zhivkov sia stata una congiura di palazzo ordita dalle gerarchie del partito e non una rivoluzione dal basso, a partire dal novembre 1989 la Bulgaria, al pari di altri paesi del patto di Varsavia, inizierà il suo graduale processo di affrancamento dal comunismo sovietico e di avvicinamento all’Europa.

Processo che culminerà il 1° gennaio 2007 con l’ingresso di Sofia nell’Unione europea.


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