Il premier dimissionario Kiril Petkov a Bruxelles lo scorso marzo © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Il premier dimissionario Kiril Petkov a Bruxelles lo scorso marzo © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Con la caduta del governo riformista di Kiril Petkov, la Bulgaria torna nell'instabilità politica che l'ha caratterizzata negli ultimi anni, e va verso ennesime elezioni anticipate in autunno. Nel frattempo resta da risolvere la questione del veto al percorso europeo della Macedonia del nord

24/06/2022 -  Francesco Martino Sofia

È durata appena sei mesi la parentesi di relativa stabilità politica in Bulgaria: mercoledì 22 giugno, un voto di sfiducia ha messo la parola fine al governo di Kiril Petkov, leader del movimento centrista e riformatore “Continuiamo il cambiamento”. L’esecutivo era nato lo scorso dicembre con l’obiettivo dichiarato di modernizzare il paese, combattere la corruzione e rilanciare la riforma del sistema giudiziario, ma è stato limitato nella sua azione dalla necessità di continui aggiustamenti e compromessi tra le forze politiche che formavano la variegata maggioranza parlamentare.

Ora spetta al presidente Rumen Radev affidare ai leader politici la missione di cercare una formula di governo nell’attuale parlamento, ma lo sforzo sembra destinato a scarso successo: la prospettiva più probabile è quindi quella di nuove, ennesime elezioni anticipate, che potrebbero essere convocate per il prossimo settembre.

A rendere ancora più confusa e imprevedibile la situazione, ci sono le forti tensioni interne sulla complessa partita del veto bulgaro al percorso di avvicinamento all’Ue della Macedonia del nord, veto che la presidenza francese ha provato a sbloccare con una proposta dell’ultim’ora: una proposta che, nonostante la crisi di governo, potrebbe essere alla fine approvata dal parlamento bulgaro, ma il cui destino finale sembra ancora tutt’altro che chiaro.

Che tenere insieme la maggioranza di governo sarebbe stata un’operazione di complesso equilibrismo era stato chiaro fin dall’inizio, anche e soprattutto al neo-premier Petkov. Insieme a “Continuiamo il cambiamento”, novità assoluta della politica bulgara e primo partito alle elezioni anticipate di novembre, le terze consecutive del 2021, c’erano infatti formazioni costrette a collaborare, ma senza molti obiettivi comuni, se non quello di mettere fine al decennale dominio politico dell’ex premier di centro-destra Boyko Borisov.

Insieme al partito dei “giovani di Harvard” (sia Petkov che Asen Vasilev, vicepremier e cofondatore del movimento, hanno studiato nella prestigiosa università americana) nella nuova maggioranza c’erano infatti sia i socialisti che i liberali di “Bulgaria democratica” e non da ultimo il movimento populista “C’è un popolo così” del noto e controverso showman e cantante Slavi Trifonov.

Tensioni importanti erano emerse dopo l’attacco russo all’Ucraina nel febbraio scorso: Petkov, che si è fatto interprete fin dall’inizio della crisi di una linea chiaramente filo-ucraina in un paese, la Bulgaria, dove le simpatie verso la Russia restano forti in larghe fasce della popolazione, si è scontrato a muso duro col suo ministro della Difesa, Stefan Yanev a causa delle dichiarazioni filo-Mosca di quest’ultimo, fino a chiederne ed a ottenerne le dimissioni.

La questione degli aiuti militari a Kiev ha messo più volte in fibrillazione l’esecutivo, con il Partito socialista a minacciare la crisi di governo in caso le armi venissero effettivamente inviate, e “Bulgaria democratica” a prospettare la fine della coalizione in caso di mancato supporto all’Ucraina.

Alla fine a staccare la spina al governo Petkov è stato invece Slavi Trifonov, con una mossa teatrale a sorpresa. Il leader di “C’è un popolo così”, che è entrato nella coalizione di governo come azionista di minoranza, dopo aver a lungo accarezzato il sogno di guidare personalmente il paese, due settimane fa ha infatti annunciato di voler abbandonare la coalizione di governo.

Secondo lo stesso Trifonov, due sarebbero i principali motivi della decisione: da una parte la gestione del budget e dei fondi europei “poco trasparente” che avrebbe portato la Bulgaria “sull’orlo del fallimento”, dall’altra l’intenzione di Petkov di sollevare il veto bulgaro all’apertura dei negoziati per l’adesione all’Ue della Macedonia del nord, a cui Trifonov si oppone con decisione.

“Basta, meglio mettere fine a quest’agonia”, ha concluso sibillinamente Trifonov, decretando così di fatto la rottamazione dell’esecutivo. In realtà, l’improvviso voltafaccia rischia seriamente di smantellare anche “C’è un popolo così”: alcuni deputati si sono infatti ribellati, denunciando che il partito si metteva così di fatto dalla parte dell’ex premier Borisov, che aveva giurato di combattere senza tregua.

Petkov ha tentato di utilizzare la spaccatura ed ha sondato il terreno con i deputati ribelli per assicurarsi i voti che avrebbero potuto tenere a galla il suo governo, ma alla fine l’operazione non è andata a buon fine, e la mozione di sfiducia messa all’ordine del giorno da GERB, il movimento di Borisov, è passata in parlamento mercoledì scorso.

Almeno in teoria una nuova maggioranza potrebbe emergere nell’attuale parlamento, ma tutto lascia pensare che si andrà a nuove consultazioni generali il prossimo autunno. Qualsiasi previsione sulla direzione che potrebbe prendere il paese è al momento estremamente difficile: nelle sue fasi più turbolente la politica bulgara ci ha abituato a colpi di scena e alla continua nascita di partiti-cometa, emersi apparentemente dal nulla ed in grado di vincere le elezioni, per poi gradualmente sparire dalla scena.

Di certo peserà la stanchezza dell’elettorato bulgaro: quelle che si prospettano sono le quarte elezioni anticipate dal 2021, con una crescente dose di disincanto verso le possibilità di sostanziale cambiamento e tassi di partecipazione in calo, col rischio che la cronica disaffezione nei confronti della politica possa raggiungere picchi ancora inesplorati.

Nel frattempo, nelle mani del parlamento bulgaro resta la patata bollente del destino della Macedonia del nord. Sofia blocca il percorso europeo di Skopje a causa di irrisolte questioni storiche e culturali, nonostante un trattato di buon vicinato sottoscritto nel 2017, che però ha lasciato tutti scontenti, soprattutto a Sofia.

I tentativi di sbloccare lo stallo finora si sono rivelati infruttuosi, ma la presidenza a rotazione francese dell’Ue ha deciso di fare un tentativo dell’ultimo minuto, in occasione del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno con una proposta di compromesso che – dai commenti di chi è riuscito a visionare i documenti – viene incontro a numerose delle richieste bulgare, prima fra tutti l’inclusione della comunità bulgara tra quelle costituzionalmente riconosciute in Macedonia del nord.

Da Bruxelles il premier Petkov, ormai senza maggioranza e in procinto di dimettersi, ha annunciato di voler lasciare la decisione nelle mani del parlamento, e ieri sera la commissione esteri ha approvato in prima lettura il piano di risoluzione della questione elaborato a Parigi. Oggi, la questione dovrebbe essere affrontata in aula, e ci sono buone possibilità che passi, visto che sul tema si è creata una maggioranza trasversale che include anche parte significativa dell’opposizione, GERB compresa.

Da parte sua, però, il governo macedone ha ripetuto più volte che la proposta è inaccettabile: anche un sofferto sì della litigiosa politica bulgara potrebbe quindi risultare – ancora una volta – in un nulla di fatto.


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