La Bosnia Erzegovina potrebbe perdere la metà dei propri abitanti entro i prossimi 50 anni. È ciò che emerge dai report statistici. Uno Stato che si svuota lentamente, soprattutto dei giovani, fino a rischiare di diventare un agglomerato di città fantasma

25/05/2023 -  Sara Varcounig Balbi

Il  “World Population Prospect” stilato dalle Nazioni Unite nel 2022 parla chiaro. Nonostante si assista ad un calo demografico all’interno di tutta l’area balcanica, in Bosnia Erzegovina la situazione è fra le più allarmanti. Secondo i dati diffusi dal rapporto ONU, ogni anno lo stato perde circa l’1,5% dei propri abitanti. Osservando solo i dati relativi all’emigrazione, si profila una vera emergenza demografica. Negli ultimi 10 anni infatti si è assistito ad un forte incremento di coloro che lasciano la BIH: solo dal 2013 sono partite quasi mezzo milione di persone. Per fare un confronto, questa cifra equivale a più di tutta la popolazione del cantone di Sarajevo (413.593 abitanti secondo il censimento 2013 ).

Oltre ad una forte emigrazione, il paese ha anche uno dei tassi di natalità più bassi al mondo, rendendo difficile il rinnovamento naturale della popolazione. Difatti, il report segnala il progressivo invecchiamento della società. Osservando il grafico che pone a confronto lo sviluppo demografico delle diverse fasce d’età della popolazione, si può notare un netto incremento della curva dei cittadini di età superiore ai 65 anni e un forte calo di quelle riguardanti le fasce 0-15 e 15-24. Dati confermati anche dall’Agenzia di statistica della Bosnia Erzegovina (BHAS), che prevede nel 2070 una maggioranza relativa nella popolazione da parte dei cittadini più anziani (circa il 40% degli abitanti).

Si prospetta quindi un quadro tetro: da una parte una popolazione sempre più anziana, dall’altra una società gravata da un esodo di massa. 

La fuga dei giovani

Kerim è uno studente di Sarajevo di 23 anni ed è un attivista per i diritti umani. Ha deciso di andare a studiare a Berlino perché il sistema educativo bosniaco non gli offre gli strumenti necessari per ciò che vorrebbe fare, come riporta ISPI: “La più grande ragione per cui me ne vado è acquisire le conoscenze e le capacità per imparare a lottare per i diritti della nostra gente qui”. Kerim è tra coloro che sono costretti ad andarsene, ma vorrebbero invece poter restare.

Secondo l’Istituto per lo sviluppo giovanile (KULT) di Sarajevo, la condizione di Kerim è condivisa da molti giovani. Dal rapporto del 2021 emerge che circa il 50% dei giovani bosniaci ha intenzione di andarsene in maniera temporanea o permanente. Dato condiviso anche dall’Agenzia dell’Onu per la salute sessuale e riproduttiva (UNFPA) che nel 2021 riporta come ogni anno siano circa 23 mila i giovani tra i 18-29 anni che migrano dalla Bosnia Erzegovina, per lo più studenti universitari o lavoratori altamente qualificati.

La causa è legata alla mancanza di prospettive future nel paese. In entrambi i report emerge che i giovani lamentano la situazione interna, caratterizzata da un alto livello di corruzione e criminalità endemica, e da una situazione economica precaria. Gli intervistati hanno dichiarato che la BIH non è un ambiente adatto per costruire una famiglia o crescere professionalmente. Lasciare il proprio paese non è facile, ma diventa necessario quando non si vedono speranze per il proprio futuro.

Le conseguenze di questa “fuga di cervelli” potrebbero ripercuotersi negativamente sulla società per anni. Da una parte viene perso l’investimento delle risorse impiegate nell’istruzione di coloro che poi decidono di emigrare e che sfruttano altrove le conoscenze acquisite. Dall’altra, il paese viene abbandonato per lo più da giovani laureati e/o professionalmente qualificati, perdendo così la parte della popolazione che stimola la crescita e l’imprenditorialità necessarie per lo sviluppo socio-economico.

Future città fantasma

Gli effetti più gravi si rilevano nei comuni dell'entroterra bosniaco, dove il calo di popolazione è più incisivo e mette a rischio la sopravvivenza delle città stesse. Ad esempio il caso di Glamoč , comune situato nella parte più occidentale della Federazione BiH. Ex centro turistico e regione industriale jugoslava, negli ultimi anni la cittadina ha perso il 75% degli abitanti e i locali temono che in futuro si svuoterà completamente.

Glamoč è già oggi una città vuota, con edifici abbandonati, serrande chiuse e attività che continuano a chiudere i battenti. L’età media dei residenti è di 60 anni e i pochi giovani rimasti scappano verso le città più grandi dopo aver finito le scuole. Blagoja Soldat, a capo di “Pučka kuhinja” (Mensa dei poveri), definisce la città come un “microcosmo di tutti i problemi che attanagliano la BIH”: mancanza di opportunità di lavoro, inquinamento, servizi pubblici carenti. Spera che i suoi figli una volta cresciuti se ne vadano altrove, ha raccontato a Balkan Insight.

Le cause di questo svuotamento progressivo sono multifattoriali, tra le quali una chiara responsabilità politica. Secondo Draško Marinković, professore di demografia presso l’Università di Banja Luka, un elemento del crollo demografico potrebbe essere legato all’impotenza politica creatasi con gli Accordi di Dayton del 1995. I principi di decentralizzazione e di bilanciamento tra i tre popoli costituenti avrebbero creato un sistema congelato, in cui risulta difficile creare una strategia comune e condivisa su questioni riguardanti lo sviluppo demografico.

Rispetto alle responsabilità politiche Željko Trkanjec, corrispondente di Euractiv per la Bosnia Erzegovina e la Croazia, è ancora più critico. Secondo Trkanjec i diversi governi non hanno mai spinto per il cambiamento, perché il loro interesse principale è restare ancorati al potere: “Le persone istruite se ne vanno e diventa quindi più facile per loro governare. E nei cittadini con livelli inferiori di istruzione, riescono a mantenere vive le retoriche nazionaliste”.

Per ora la situazione resta drammatica e l’instabilità politica bosniaca non sembra far sperare in una risoluzione nel breve periodo.


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