Passeggeri di un autobus di Sarajevo fotografati attraverso i vetri opachi in una giornata invernale

Sarajevo - © Maurizio Gjivovich

Uno sguardo limpido sul presente e su un futuro della Bosnia Erzegovina che rischia di essere tragico. Ma Valery Perry, ricercatrice che vive dalla fine degli anni ’90 a Sarajevo, non perde la fiducia nella forza della cittadinanza e nelle potenzialità dell’Ue. Un’intervista

06/12/2021 -  Luisa Chiodi

Negli ultimi anni Milorad Dodik - attuale membro della Presidenza tripartita bosniaca -  ha minacciato più volte la secessione della Republika Srpska. Ritiene che le minacce delle ultime settimane siano diverse dal passato? C'è il rischio di un conflitto armato?

Le minacce che Dodik ha fatto nelle ultime settimane sono diverse dal passato per vari motivi. L’alleanza Dodik-Čović continua da diversi anni perché entrambi hanno un forte interesse nel disintegrare progressivamente la Bosnia Erzegovina. Dodik sta ultimamente rilasciando molte interviste alla stampa e afferma di essere pronto a portare la Republika Srpska fuori dalla Bosnia.

Tuttavia, sarebbe pericoloso dimenticare il ruolo di Dragan Čović [Segretario dell’HDZ, già membro croato della Presidenza tripartita] e in termini di cambiamento radicale della natura del paese e di come funziona la legge elettorale. Quest’ultima sta di fatto cambiando la struttura costituzionale del paese andando verso una terza entità de iure in termini di unità territoriali politiche. Il fatto che entrambi stiano lavorando insieme ora per apportare cambiamenti fondamentali alla natura della Bosnia Erzegovina è preoccupante.

Dodik ha imparato le lezioni degli ultimi 25 anni molto meglio di qualsiasi diplomatico occidentale coinvolto in Bosnia Erzegovina. Nel 2011 ha usato la minaccia della secessione della Republika Srpska per far sì che l’UE ripensasse il modo con cui affronta lo stato di diritto e la riforma del settore della giustizia in Bosnia Erzegovina. Dopo che Dodik ha aumentato le tensioni, sostenendo che si sarebbe ritirato dalle istituzioni statali, Catherine Ashton [ex Alta rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza] si è recata in Bosnia Erzegovina per mettere fine ad alcuni degli sforzi più rilevanti portati avanti dalla comunità internazionale per cercare di riformare il settore della giustizia.

La comunità internazionale si era impegnata per rendere il settore della giustizia meno politico e per migliorarne l’efficacia. Quegli sforzi sono stati sospesi e la situazione lasciata regredire. La prova di ciò emerge chiaramente da un report dell'UE del dicembre 2019. Il report ha studiato approfonditamente il settore della giustizia, lo stato di diritto, la mancanza di quest’ultimo in generale e in termini di lotta alla corruzione. Emerge che questi anni di mancato impegno da parte dell'UE – ma anche degli Stati Uniti e di altri attori – hanno influenzato sostanzialmente la qualità del sistema giudiziario bosniaco. E  Dodik ha capito che se intensifica la retorica, se minaccia di dichiarare guerra o minaccia la violenza politica, allora tutti corrono da lui per dargli qualcosa. Questo è quello che sta facendo ora.

Mentre molte persone si concentrano sulla riforma della legge elettorale e della costituzione, la discussione odierna riguarda anche il settore della difesa. Ci sono state molte discussioni su come convincere Dodik a distaccarsi sia dalla sua recente retorica che dalle sue ultime promesse di ritirare i funzionari giudiziari e l’intelligence dal livello statale. Si dice che Dodik sarebbe anche intenzionato a ricreare un esercito per la Republika Srpska, esterno alle strutture di difesa statali. Sta forse creando una situazione in cui dirà "cosa mi darai per smettere di intensificare la mia retorica?"

L’obiettivo di Dodik è di accaparrarsi circa il 40% delle proprietà immobili e di terreni della Bosnia Erzegovina riallocandole a livello di Entità ed eventualmente a livello dei Cantoni. In effetti la proprietà è denaro. Dodik sta cercando di sostenere dal punto di vista legale che lo stato della Bosnia Erzegovina non ha diritto di proprietà, contrariamente a quanto affermano più sentenze costituzionali. Quindi ignora lo stato di diritto e intende convincere la comunità internazionale a ratificare un trasferimento di proprietà dal livello statale alle Entità e ai Cantoni. Ciò annullerebbe l’esistenza stessa della Bosnia Erzegovina: se uno stato non ha né competenze, né bilancio, né istituzioni e nemmeno la terra, quello stato non esiste. Alcuni analisti hanno anche notato che ciò che Dodik vorrebbe legittimare è già stato preso. Sia il partito di Dodik, che altri partiti, stanno infatti già conducendo attività illecite utilizzando, illegalmente, terreni statali e distribuendoli ai propri sostenitori. Pertanto, Dodik sta cercando di legittimare un trasferimento di terra che è già in corso.

In questo contesto diplomatici americani ed europei se ne stanno allo stesso tavolo di questi partiti per trovare il modo di ridisegnare le mappe e le regole elettorali. Questo fornisce un quadro che raffigura la disintegrazione a lungo termine della Bosnia Erzegovina.

In tutto ciò si nasconde una latente, ma sorprendente, ironia. Durante elezioni del 2020 gli elettori hanno effettivamente votato per il cambiamento. Ci sono stati nuovi governi eletti a Sarajevo, Banja Luka e Tuzla. I cittadini hanno fatto il loro lavoro e hanno detto quello che volevano, ma questi nuovi cambiamenti che si prospettano a livello costituzionale renderanno più difficile per i cittadini cambiare le cose in futuro

Valery Perry - Il cambiamento mutilato

In questo momento la comunità internazionale - l'UE e l'ONU in particolare - sembrano essere pronte a placare questa retorica per ottenere accordi di transizione per mettere semplicemente il coperchio sulla pentola, anche se questo indebolirà ulteriormente a lungo termine il paese e i diritti dei cittadini.

Un’altra cosa frustrante è che al giorno d’oggi ci venga venduta una narrazione falsa della situazione in Bosnia Erzegovina. Non è vero che la Bosnia Erzegovina deve avere un governo centralizzato per essere funzionale. Ci sono diversi modi per avere una Bosnia Erzegovina funzionale. È tuttavia necessario che vi sia una discussione tra i cittadini e le istituzioni del paese sul tipo di contratto sociale che verrà messo in essere: i cittadini vogliono vivere in un paese in cui, a seconda di dove viaggiano, possono avere accesso agli ospedali o meno? Vogliono vivere in un paese in cui, a seconda di dove vanno, hanno meno diritti come elettori? Vogliono un paese in cui, a seconda di dove vanno, i loro figli possano andare a scuola e imparare una versione della storia rispetto ad un’altra?

La discussione sul contratto sociale deve avvenire prima che cambino le regole: purtroppo i partiti politici e gli attori internazionali che lavorano con loro si concentrano solo sulle strategie e formule di allocazione del potere senza considerare il contratto sociale. 

Il sostegno internazionale a favore di Dodik sta cambiando? 

Alcuni esponenti dell'UE, degli Stati Uniti e del Regno Unito stanno aiutando e favorendo Dodik nelle sue agende, contaminando in modo fondamentale il carattere della Bosnia Erzegovina e indebolendo le riforme che sono state adottate negli ultimi 20 anni. Tutto ciò va a svantaggio del paese perché le riforme attuate in passato miravano sia a migliorare la qualità della vita, ma anche a garantire che la Bosnia Erzegovina potesse iniziare un percorso di integrazione nell’UE. 

Non vi è alcun motivo per cui la comunità internazionale debba agevolare i politici che stanno cercando di fare passi indietro rispetto a queste riforme. Sfortunatamente quanto sta accadendo riflette la crescente politica di transazionalismo cinico, caratteristico della comunità internazionale negli ultimi anni.

La comunità internazionale ha perso di vista il motivo per il quale è stata coinvolta in Bosnia Erzegovina. Il piano originale prevedeva l’attuazione dell'Accordo di pace di Dayton per dimostrare che la guerra poteva finire e che si potevano gettare le basi per costruire un sistema progressivamente giusto, equo e funzionale. Per quasi dieci anni sono stati fatti progressi in questa direzione. Purtroppo, sembra che tutti in Occidente abbiano perso la fiducia in questo modello di sviluppo e progresso, sostenendo invece le agende polarizzanti dei politici locali.

Questa mancanza di fiducia in sé stessi accade in un momento in cui i regimi autoritari sono invece sempre più fiduciosi delle proprie possibilità: la Cina sta usando strumenti autoritari contro il proprio popolo; la Russia è passata dall'essere un guastatore passivo ad uno attivo nei Balcani occidentali; l'Ungheria sta cercando di coltivare in blocco illiberale all'interno dell'Unione europea, andando contro lo spirito stesso dell'UE.

I criteri di Copenaghen erano una dichiarazione di principi che sia gli stati membri dell'UE, che i candidati dovrebbero soddisfare. Se l’UE decidesse di cambiarli, essa cambierebbe radicalmente i valori fondamentali dell’origine. L’UE era più di un semplice blocco economico, essa riguardava i diritti umani, la tolleranza, i diritti delle donne, ecc. Sembra che tutti lo abbiano dimenticato.

E i paesi vicini? Quanto pesa l'influenza di Serbia e Croazia sull'attuale struttura della Bosnia Erzegovina?

Il ruolo di Serbia e Croazia in Bosnia Erzegovina è stato distruttivo per un bel po’ di tempo. È interessante esaminare il modo in cui il rapporto della Croazia con la Bosnia Erzegovina, nello specifico con i croati che vivono in Bosnia e con l’Unione Democratica Croata (HDZ), che è il principale partito nazionalista del paese, sia cambiato nel tempo.

Durante il conflitto vi fu una stretta armonizzazione di interessi e programmi, che continuò anche nel dopoguerra, sotto Franjo Tuđman. Dopodiché questo cambiò a causa della diminuita influenza dell’HDZ. Zagabria fu disposta a ricordare a tutte le minoranze croate in Bosnia Erzegovina che era Sarajevo la capitale, e che i croati che vivevano in Bosnia Erzegovina, sebbene conservassero un legame con la Croazia, restavano pur sempre cittadini bosniaci. Sfortunatamente, quando l’HDZ è tornata al potere si è visto un nuovo cambio di agenda sia a livello nazionale che nei confronti della Bosnia Erzegovina ed un conseguente calo del rispetto per la Bosnia Erzegovina come paese sovrano e un calo d’interesse ad aiutare e sostenere lo sviluppo del paese.

La relazione Bosnia-Serbia ha una dinamica diversa, ma con lo stesso risultato. È in atto un processo costante e strategico serbo e della Republika Srpska volto ad armonizzare regole, libri di testo e curricula in modo che ci sia più persistenza di idee e più movimenti tra l’Entità della Republika Srpska e lo stato della Serbia di quanto non ci sia all'interno della Bosnia Erzegovina stessa. Questo processo è intenzionale e fa parte di un piano che mira a sostenere l’indipendenza della Republika Srpska, assicurandosi che essa continui ad essere un elemento destabilizzante all'interno della Bosnia Erzegovina anziché un fattore positivo.

Sfortunatamente, questo va a scapito dei cittadini. Sono preoccupata di vedere la Bosnia Erzegovina frammentarsi sempre di più, e di vedere che i poteri decisionali vengono assegnati ai livelli più bassi, rendendo le istituzioni statali solo un imbuto per ingoiare il denaro inviato dalle istituzioni internazionali. Lo stato resterebbe responsabile di tutti i rischi, mentre tutto il processo decisionale riguardante la spesa del denaro resta in questo modo nelle mani dei livelli inferiori: nessuno stato può sopravvivere in una situazione del genere, ma è chiaro che alcuni attori coinvolti ne traggono beneficio.

L'UE non sembra essere in grado di avere un ruolo incisivo in Bosnia Erzegovina. È d'accordo? Come si è sviluppato il rapporto tra la Bosnia Erzegovina e l'UE nell'era post Dayton?

L'UE ha un potenziale molto alto sia in Bosnia Erzegovina che nel resto dei Balcani occidentali. Può garantire investimenti, fondi strutturali, e una destinazione per le persone che vogliono trasferirsi e lavorare all'estero.

Eppure al giorno d’oggi l’UE sembra essere l’attore che implora partnership dai leader di tutti i paesi della regione. Ciò si collega alla questione che l'Europa ha perso fiducia in se stessa. Questa crisi di fiducia deriva da un susseguirsi di eventi: la crisi finanziaria, la Brexit e l'ascesa di partiti di destra. Esiste sempre la tentazione di dire "dobbiamo fare questi accordi perché altrimenti lo faranno Cina e Russia", tuttavia, questo pensiero è basato su premesse false. Anche se la Cina e la Russia potrebbero farlo, nei fatti non stanno in alcun modo investendo tanto denaro quanto l'Europa. Nessuno può offrire ciò che l'UE può offrire, soprattutto nel breve termine. L'UE dovrebbe smettere di fingere di non avere alcuna influenza.

Tuttavia, se c’è l’intenzione di ricalibrare la relazione, ciò andrebbe fatto il prima possibile perché sono già state perse molte possibilità di cooperazione negli ultimi anni. Lo vediamo sia in Bosnia Erzegovina che nella Macedonia del Nord, dove la gente ha preso decisioni difficili per cercare di andare avanti nel suo percorso di adesione all'UE, eppure alla fine l'UE non è stata in grado di riunire la volontà degli stati membri per consentire alla Macedonia del Nord di proseguire nel percorso di adesione, fondamentalmente prendendo i cittadini a calci nello stomaco. Anche l'Albania sta soffrendo la stessa situazione.

In questo modo l'UE non ha fatto altro che dimostrare di essere un’inaffidabile attrice in bona fide. Penso che un allargamento dovrebbe esserci, ma l'Unione europea e i suoi stati membri devono volerlo, riconoscere che ne trarrebbero beneficio, riconoscere che questo non è solo un gesto umanitario ma anche una questione di sicurezza che li avvantaggia, fare un lavoro migliore nello spiegare alle persone perché questo sia importante e perché dovrebbe essere supportato per il bene di una visione a lungo termine e iniziare a comportarsi in modo adeguato a questa consapevolezza.

Come potrebbero essere riformate queste istituzioni, derivanti dall'Accordo di Dayton, per consentire alla Bosnia Erzegovina di uscire dall'attuale impasse?

Vivo a Sarajevo da molto tempo, ma non sono né una cittadina né un’elettrice. Tuttavia, ritengo che un futuro assetto istituzionale debba fondarsi sulla questione fondamentale di come i cittadini possano vivere in una società avente un governo che li ascolta.

Penso che sia molto ragionevole da parte delle persone chiedersi perché un paese con tre milioni di abitanti abbia bisogno di così tanti livelli di governo e burocrazia. Sono a conoscenza del fatto che nel dibattito internazionale vi siano proposte di assetto statale che concentrano il potere decisionale, la responsabilità, le competenze e i mezzi di bilancio principalmente a livello del comune, riunendoli poi a livello dello stato. I sondaggi d'opinione hanno dimostrato per anni che i cittadini bosniaci hanno poca fiducia nel governo o nelle istituzioni. Tuttavia, essi hanno anche dimostrato che i cittadini hanno fiducia nel livello locale di governo, nei comuni, perché è il livello di governo più vicino a loro e in cui sanno chi stanno votando.

Questo è ciò che dovrebbe essere sostenuto. Ci deve essere una vera discussione su come rendere il livello municipale dei governi più razionale ed efficace in termini di cooperazione con altri comuni della regione per sviluppare la società in generale. Un paese piccolo come la Bosnia Erzegovina dovrebbe essere in grado di risolvere questi problemi in modo più ragionevole, mettendo al primo posto gli interessi dei cittadini.

L'anno scorso ha realizzato il documentario "Alla ricerca di Dayton". Può dirci da cosa è nata la necessità di realizzare un documentario con quel nome?

È stato un ottimo modo per raccontare una storia e cercare di raggiungere persone che normalmente non penserebbero alla Bosnia Erzegovina e alle conseguenze di Dayton. L'esperimento è iniziato con un gruppo di amici di Sarajevo che parlavano di quello che allora era il ventesimo anniversario dell’Accordo di Dayton. Quando hanno saputo che sarei stata coinvolta in alcune delle conferenze relative all’anniversario, hanno iniziato a dire "Perché tu? Dovremmo essere noi ad andare". Così, abbiamo deciso che sarebbe stato divertente prendere tre ragazzi normali a Sarajevo – non persone che vanno a conferenze, tavole rotonde e workshop – e portarli alle principali conferenze che si sarebbero tenute a Washington e New York e filmarli per vedere la reazione della gente.

È stata una grande esperienza. Il documentario narra la storia della Bosnia Erzegovina in un modo comprensibile e piacevole; i ragazzi sono simpatici e fanno brillare in maniera positiva il senso dell'umorismo bosniaco. Il film è stato presentato al Festival del cinema di Sarajevo durante la pandemia. Purtroppo il tutto si è svolto solo online. È stato poi mostrato su una delle principali stazioni televisive pubbliche bosniache. Ho voluto usarlo anche come strumento didattico poiché penso che possa essere un modo semplice per ricordare alla gente l’importanza della Bosnia Erzegovina.

Valery Perry è una consulente indipendente e Senior Associate presso il Democratization Policy Council (DPC). Ha lavorato nei Balcani occidentali dalla fine degli anni '90, conducendo ricerche e lavorando per organizzazioni tra cui DPC, Centro europeo per le questioni relative alle minoranze, Public International Law and Policy Group, NATO Stabilization Force e diverse ONG.


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