Dopo il semaforo verde per il Montenegro e quello giallo per la Serbia, lungo la via dell'UE la Bosnia si ritrova da sola, bloccata dal semaforo rosso. I politici locali non hanno alcuna intenzione di portare il paese nell'UE e l'UE non sa come reagire a questa situazione

18/10/2007 -  Zlatko Dizdarević Sarajevo

All'importante bivio delle strade che dai Balcani conducono in Europa, il Montenegro si è trovato davanti al semaforo verde, la Serbia a quello giallo e la Bosnia Erzegovina a quello rosso! Appare questa la decisione scaturita dalla seduta del Consiglio dell'Unione europea per gli affari generali e le relazioni estere tenutasi a Lussemburgo lo scorso lunedì. La decisione è stata presa dopo le informazioni che Mirolasv Lajcak, Alto rappresentante della comunità internazionale per la BiH, ha comunicato ai ministri degli Esteri dei paesi membri dell'UE e agli ambasciatori del Gruppo di contatto per il sud est Europa.

Detto semplicemente, la Bosnia Erzegovina non ha rispettato tutte le condizioni per proseguire sul cammino europeo. La BiH rimane là dov'era fino ad oggi, mentre tutti gli altri fanno un passo avanti.

Il semaforo verde e il libero transito hanno reso possibile al Montenegro la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione (SAA) tra questo paese e l'UE. In breve, si sono aperte la porte per la candidatura a membro dell'UE.

Il semaforo giallo, cioè la temporanea attesa per il verde, garantisce la possibilità alla Serbia di togliersi di dosso l'ultimo ostacolo per la firma del SAA. Entro la fine dell'anno, o poco prima, il SAA sarà parafato e firmato infatti solo se il rapporto sulla collaborazione della Serbia col Tribunale internazionale dell'Aja sarà positivo.

La condizione potrebbe essere l'arresto del generale Ratko Mladic, accusato di crimini di guerra in Bosnia. Si nomina anche Radovan Karadzic e alcuni altri ma, per essere realisti, la loro presenza all'Aja da tempo non è più una condizione per il cammino europeo della Serbia. Da tempo questo paese per strane circostanze è il favorito dell'Europa e non c'è dubbio che i criteri per la Serbia non saranno così severi come per gli altri paesi.

Da tempo a Bruxelles è passata la teoria secondo la quale la Serbia, come lo Stato più grande dei Balcani, deve essere "pacificata" ad ogni costo. Per i politici dell'Unione questo Stato è una questione strategica, mentre gli altri paesi dei Balcani non godono di questa considerazione. Ed è del tutto certo che il semaforo giallo per Belgrado non durerà a lungo.

Invece il rosso per la Bosnia, per come stanno le cose adesso, rimarrà acceso molto più a lungo di qualsiasi altro. I politici di questo paese, prima di tutti gli altri, si sono preoccupati di fare in modo che lo stato rimanesse in fondo agli interessi dei politici europei e mondiali. Il suo rating non è mai stato così basso e le prospettive così scure. La via che porta dalla compassione per la tragedia del popolo della Bosnia e dalla grande prontezza nell'aiutarlo fino all'ira e alla delusione è breve e veloce. A questo proposito, eccetto una certa rassegnazione da parte di alcuni politici europei, nessuno si disturba più tanto.

Oggi in Bosnia si ha l'impressione che molti politici locali siano in modo scandaloso persino soddisfatti delle conclusioni che giungono da Lussemburgo. Come se avessero tirato un sospiro di sollievo perché queste "strane pressioni" che hanno subìto negli ultimi mesi e settimane da parte della comunità internazionale finalmente cesseranno. La furbizia perversa, i modi da imbroglioni, il disonore politico e una prontezza mai vista nell'ingannare, mentire e manipolare dei leader locali, hanno di nuovo superato la garbatezza diplomatica europea e le sue minacce inconcludenti.

Non dovrebbe sorprendere se si venisse a sapere che oggi, così come durante la guerra, i politici locali da qualche parte durante un ricco banchetto festeggiano il fatto che di nuovo hanno fregato "gli stranieri ingenui e noiosi". Durante i sanguinosi anni della guerra, i comandanti e i politici centinaia di volte hanno firmato di fronte agli stranieri svariati piani di pace, decisioni per sospendere il fuoco o hanno fatto varie promesse. Ma poco dopo i festeggiamenti per la firma di importanti accordi tutto ritornava come prima.

A tal proposito i ministri degli Esteri dell'UE hanno constatato un fatto incredibile. Hanno detto che i "leader locali non hanno rispettato le attese dei cittadini della BiH e i loro desideri di avvicinamento all'Unione europea?!". Ma dalla guerra ad oggi in nessuna delle loro azioni lo hanno mai fatto. Perché non vogliono farlo e non perché non posso farlo. L'ingresso nell'Europa o addirittura il solo avvicinamento significa vivere secondo quegli standard che loro non desiderano. Questi standard non gli consentirebbero di governare questo sfortunato stato con quell'arroganza e profitto che hanno impiegato fino ad ora.

Per la maggior parte dei politici locali il non-ingresso nell'Unione europea non è il frutto di incapacità. Si tratta piuttosto di un meditato progetto politico. Finché non si guarderà a tutta questa questione in questo modo, è poco serio e irresponsabile da parte degli organi importanti comunicare delle conclusioni come la precedente.

Il controllore internazionale per l'implementazione dell'Accordo di Dayton in BiH, Miroslav Lajcak, a seguito della seduta a Lussemburgo, ha dichiarato: "L'UE e la comunità internazionale non abbandoneranno il destino della Bosnia Erzegovina alle intenzioni dei politici locali...". Purtroppo, solo un uomo politicamente cieco non vede che ormai da tempo questo è già stato fatto.

L'Europa, di contro, non ha meccanismi sufficienti per contrastare le manipolazioni politiche dei leader locali, per la BiH non solo non ha una concezione né un piano che sia stabile, non ha nemmeno il desiderio e la comprensione per la mentalità e la specificità politica locale.

Infine, l'Europa in modo dottrinale non sa cosa fare con realtà multinazionali e multireligiose come la BiH, perché è solo un insieme di stati nazionali e di società. I manipolatori locali questo lo sanno bene, così come sanno bene che l'attuale minaccia di Bruxelles si perde nel vuoto. Almeno per quel che riguarda il loro status. Riguardo alla gente da tempo a loro non importa più nulla.

La comunità internazionale, con l'intenzione di aiutare la Bosnia nel dopoguerra, ha introdotto dei meccanismi in cui nessuno è più responsabile. I parlamenti non rispondono ai cittadini, i governi non rispondo ai parlamenti, la Presidenza dello stato non risponde a nessuno. Il vero potere sta solo nei vertici dei partiti politici nazionalisti che si sono formati attraverso elezioni formalmente democratiche in cui ha votato un popolo completamente manipolato dai media e spaventato dalla guerra. E qui il cerchio si chiude. L'Europa cerca di spingere la realtà bosniaca verso le sue cornici democratiche, i suoi standard e i suoi principi che con quella realtà non sono compatibili.

Questa volta il motivo per il "semaforo rosso" sulla strada della BiH verso l'Europa è stato acceso dall'insuccesso della riforma della polizia. Paradossalmente non si vede che nemmeno quella riforma, nel caso fosse passata, sarebbe riuscita a portare molti cambiamenti. Il problema si sarebbe mostrato subito riguardo un'altra questione. La cosiddetta Costituzione di Dayton è la cornice ideale per ogni tipo di immobilità. Essa assolutamente non consente alcuno sblocco. La soluzione per questo paese sfortunato si trova in due domande: Come "svegliare" la gente dall'incubo in cui è stata spinta dai partiti nazionali? e come cambiare la Costituzione che garantisce a questi partiti terreno libero per le loro azioni? Tutto il resto è un mero sparare con un fucile scarico. E i furbi politici locali sanno bene che il fucile con cui li si minaccia è scarico.


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