(Sergey Yeliseev / Flickr)

Concluso il meeting di Ancona 'I mari del dialogo e della rivolta'. L'esperienza dei Balcani servirà alla primavera araba? Testimoni e analisti a confronto sulle possibili analogie. E sulle scelte che la Ue, sorpresa dagli eventi, dovrebbe fare subito

17/06/2011 -  Laura Delsere

Una tre giorni di studio e visioni sul futuro prossimo per riportare l’Italia e i Balcani al centro del Mediterraneo, percorso da nuove rivoluzioni, 22 anni dopo il 1989, stavolta lungo la costa Sud.

È stata l’associazione Adriatico Mediterraneo ad organizzare ad Ancona la rassegna “Mari del dialogo e della rivolta” dall’8 al 10 giugno scorsi, con un programma  di tutto interesse che Osservatorio aveva anticipato ai lettori. Un appuntamento voluto da sigle della società civile, ma anche da istituzioni locali, come la Regione Marche (partner di Seenet-South East Europe Network, rete di cooperazione decentrata tra Italia e Sud-Est Europa), la Provincia e il Comune di Ancona, rappresentati rispettivamente da Marina Maurizi, responsabile regionale per la Cooperazione allo sviluppo, da Carlo Maria Pesaresi, assessore provinciale alla Cooperazione, solidarietà e pace, e dall’assessore cittadino alla cultura Andrea Nobili.

Analisti, giornalisti e bloggers

Dopo i concerti e i film dell’apertura, che hanno offerto alla città una prospettiva non comune sul presente e le aspirazioni della primavera araba, ha chiuso la rassegna la tavola rotonda  ‘Geopolitica di un risveglio’, a palazzo Camerata.

Uno sguardo a cavallo tra precedenti balcanici, la nuova stagione di cambiamenti epocali dal Medio Oriente al Maghreb, e il ruolo dell’Unione europea. Interpellati, tra gli altri, Michele Capasso della Fondazione Mediterraneo, il segretario generale di Unimed (Unione delle universià del Mediterraneo) Franco Rizzi, autore del recente  “Mediterraneo in rivolta” (2010, Castelvecchi), e un inviato di guerra dall'esperienza trentennale, oggi reporter per Rai Tre e per ‘La Storia siamo noi’ , Amedeo Ricucci, appena rientrato da Tripoli.

Oltre a due bloggers tunisini, cronisti della rivolta dall’interno del movimento: Thameur Mekki, 24 anni, giornalista indipendente per Tekiano.com e della radio Hack Track, e Kerim Bouzouita, 32 anni, che è anche docente universitario e analista dei movimenti di massa.

Cade un altro "muro della paura"

Se per Rizzi,“nel Mediterraneo è caduto il muro della paura”, i sondaggi Ue dicono che i Ventisette non sono pronti ad abbatterlo. La narrazione del ‘muro’ crea familiarità col passato recente, ma rende anche più evidenti i limiti delle analogie, pur numerose sulla carta, tra la riunificazione dell’Europa avviata dal crollo della cortina di ferro, e la crisi economica, occupazionale e politica che sta ridisegnando l’area petrolifera ed energetica dirimpettaia e strategica per la Ue.

Il blogger tunisino Tahmeur Mekki

Due capitoli destinati a cambiare il sistema delle relazioni internazionali, dai temi della sicurezza (gli arsenali strategici del Patto di Varsavia), così come oggi in Medio Oriente e Nord Africa, tornati protagonisti, il ruolo del fondamentalismo e i rapporti con Israele. Obbligato anche il confronto sui media di riferimento: da Radio Free Europe, alla fotocopiatrice (‘arma segreta’ secondo un finanziatore delle primavere est europee e balcaniche, come George Soros) ai social network (Facebook e Twitter in cima alla lista).

La cyber-guerra contro la repressione

“In Tunisia forse non c'è stata una guerra, ma di sicuro c'è stata una cyber-guerra. Facebook era con noi nel coup, nel colpo contro Ben Alì –spiega Bouzouita, gettando luce sul link tra aziende Usa leader del web e il ruolo del Dipartimento di Stato, osservato del resto anche in Egitto o in Iran- Ogni volta che la polizia politica del dittatore ci intercettava, FB ci metteva a disposizione una rete https://, cioè un http ‘securizzato’, dove potevamo continuare a tenerci in contatto. Internet del resto ha origini militari. E permette sempre soluzioni alternative, senza che le comunicazioni si interrompano mai, nonostante le azioni distruttive dei benalisti”.

Sullo sfondo una società bloccata dal regime, come quella tunisina, ma più attrezzata dal punto di vista della piazza digitale rispetto ad altri Stati come Egitto o Libia, con un terzo della sua popolazione iscritto a FB.

E ancora: “noi eravamo pronti ad un attacco per la rivolta democratica per il 2012, anno in cui Ben Alì aveva fissato le elezioni. Ma il gesto di Bouazizi che si è dato fuoco per protesta sulla pubblica piazza ha anticipato tutto. Ed ha impresso un’accelerazione inarrestabile agli eventi”.

Il blogger tunisino Kerim Bouzouita

A prezzo del sangue, un ordine apparentemente immutabile si è sgretolato. E come e più che nel 1989, i Paesi europei dell’Ovest si sono scoperti travolti dalla paura dell’ignoto e dall’angoscia delle migrazioni, accresciuta dalla crisi economica globale e dalla xenofobia, ormai cavalcata –dall’Italia alla Francia, dai Paesi Bassi fino a Danimarca e Finlandia- dal mainstream politico, non più prateria riservata ai soli partiti estremisti.

Se un sondaggio di Transatlantic Trends, evidenziato a suo tempo anche da Osservatorio, alla vigilia della rivolta tunisina di gennaio 2011, ritraeva gli europei come fortemente contrari all’allargamento, a maggior ragione oggi servirà un ulteriore lavoro politico e culturale per riaprire la visione comune sul Mediterraneo in irreversibile trasformazione.

L'esempio balcanico, non c'è stabilizzazione senza diritti

Al contrario che nel 1989 –è stata l’analisi ad Ancona- finora gli eventi della costa Sud si configurano, seppure con enormi differenze nazionali, come movimenti popolari auto-organizzati, indipendenti dalle élites dissidenti o riformiste. Più ‘primavera dei popoli’ del 1848 che 1989 ?

Se c’è un monito per la Ue –è emerso durante i lavori- viene dall’esperienza dei Balcani: ed è quello di puntare al più presto non solo alla stabilizzazione, ma alla democratizzazione e allo sviluppo della nuova area al confine Sud, tornata visibile e pluralista, dopo decenni di silenzio e privazione dei diritti. Dunque partenariato e riforme economiche dovrebbero comparire in cima all’agenda comune (come già segnalato a maggio 2011 dal vertice G8 di Deauville, che ha destinato a Tunisi e al Cairo un pacchetto da 40 miliardi di dollari, oltre ad aver sancito la 'riconversione' della Bers, Banca europea di ricostruzione e sviluppo, dall'assistenza all'ex blocco sovietico a quella ai Paesi arabi). Ma governare è scegliere. E i governi Ue potranno sempre decidere di reagire solo con la guardia costiera ai quotidiani bollettini di catastrofi umanitarie in mare.

Di fronte all’Europa, come nel dopo-Muro, c’è un lungo ’89. Cioè un fenomeno a lungo termine di migrazioni, incomprensioni e scambi. Intanto il mondo nuovo è appena cominciato: vede specchiarsi, seppur conoscendosi poco, 500 milioni di cittadini della Ue e circa 170 milioni di vicini tra Agadir e Port Said, che aspirano alla prosperità e alla democrazia.

Nelle stesse ore del convegno anconetano, a Bruxelles la Commissione europea ha dato luce verde all'ingresso della Croazia nell'Ue, per luglio 2013, sempre che i 27 votino la decisione all’unanimità. Non un mondo perfetto, né un processo di adesione da manuale. Ma un passo in più verso l’Europa -e il Mediterraneo- come potrebbero essere.


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