Paola Rosà 3 novembre 2020

I partner della piattaforma del Consiglio d'Europa per la promozione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti lanciano l'allarme: oltre a rischiare la loro incolumità, i reporter di guerra nella regione sono ostacolati da arbitrarie restrizioni imposte dalle autorità che interferiscono con il diritto alla libera informazione

In occasione della giornata Unesco contro l'impunità per i crimini ai danni dei giornalisti, celebrata in tutto il mondo il 2 novembre con una serie di eventi tra cui la conferenza internazionale in cui il 4 novembre intervengono anche Luisa Chiodi e Maria Francesca Rita di OBCT, arriva un accorato appello delle organizzazioni che collaborano con il Consiglio d'Europa nel monitorare lo stato dei media; un appello che prende spunto dal conflitto nella regione caucasica ma che si rivolge a tutte le istituzioni dei 47 paesi del Consiglio d'Europa.

Si tratta di una "preoccupazione urgente e profonda", quella espressa dai firmatari, Association of European Journalists (AEJ), Committee to Protect Journalists (CPJ), European Broadcasting Union (EBU), il Centro Europeo per la libertà di stampa e dei media (ECPMF), la federazione europea dei giornalisti (EFJ), Index on Censorship, il sindacato internazionale dei giornalisti (IFJ), International News Safety Institute (INSI), International Press Institute (IPI), Reporters sans Frontières (RSF) e Rory Peck Trust (RPT).       

Alle autorità di Azerbaijan ed Armenia si ricordano gli obblighi assunti a livello internazionale, sanciti non solo in una Raccomandazione del Consiglio d'Europa ma anche nelle risoluzioni 1738 e 2222 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che vincolano gli stati a tutelare l'incolumità dei giornalisti in zone di guerra. In particolare, si ricorda nell'appello pubblicato qualche giorno fa sul sito del Consiglio d'Europa, ai reporter deve essere "consentito di svolgere la loro attività in maniera indipendente e senza alcuna interferenza. Gli attacchi mirati a colpire i giornalisti, come i civili, sono da considerare crimini di guerra".

Altri impegni da rispettare riguardano l'accesso degli operatori dell'informazione "al territorio interessato dal conflitto": gli stati, e qui l'appello a chi controlla gli accessi alla regione è forte,  "devono fornire i documenti e i permessi necessari, astenendosi dall'imporre restrizioni quali ritiro o negazione di accrediti, o espulsioni". Ogni interferenza nei contenuti dei reportage, sia di giornalisti locali sia di inviati stranieri, è ovviamente proibita.

La situazione in Nagorno Karabakh è ancora molto tesa, come confermano le notizie che arrivano di giorno in giorno, e il monito al rispetto dei principi internazionali viene ribadito con forza: "In situazioni di conflitto e tensione, l'esercizio libero e incondizionato del giornalismo assume particolare importanza per tutelare il diritto dell'opinione pubblica e dei cittadini ad essere informati in modo da poter valutare le azioni delle autorità".

L'appello rivolto alle autorità della regione non trascura tuttavia le associazioni di giornalisti nonché emittenti e testate, invitate ad "adottare ogni misura preventiva e di protezione che tuteli la sicurezza fisica dei giornalisti, dando loro tutte le informazioni pratiche e la formazione, prima di inviarli in missioni a rischio in situazioni di conflitto e tensione".

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.