Macedonia - Pixabay

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Nessuna distensione in Macedonia dopo il selvaggio attacco di ieri a nel parlamento di Skopje. La tensione resta altissima, e il leader socialdemocratico Zoran Zaev parla di “tentato omicidio”. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [28 aprile 2017]

Non si spegne in Macedonia l'eco delle violenze di ieri sera a Skopje, dove una folla di sostenitori dell'ex premier di centro-destra Nikola Gruevski ha invaso il parlamento e picchiato a sangue alcuni deputati dell'opposizione riunita per eleggere il nuovo presidente dell'Assemblea nazionale.

Oggi, il leader socialdemocratico Zoran Zaev, anche lui ferito e sanguinante, in conferenza stampa ha parlato di “tentativo di omicidio”, accusando sia i sostenitori di Gruevski che le forze di polizia, rimaste inerti invece di proteggere la massima istituzione democratica macedone, e ha rifiutato l'invito ad un incontro con Gruevski lanciato dal presidente Gjorgje Ivanov.

Gli scontri di giovedì segnano l'apice di un muro contro muro che si trascina da inizio 2015, e che nemmeno le elezioni anticipate dello scorso dicembre – da cui è emersa una nuova maggioranza formata dai socialdemocratici di Zaev e alcuni partiti della minoranza albanese – sono riuscite a sbloccare.

Il presidente Ivanov, eletto coi voti della destra, ha infatti rifiutato di affidare a Zaev il mandato, sostenendo che la nuova maggioranza mette a repentaglio l'unità e indipendenza della Macedonia, e rischia di spaccarla su linee etniche.

Per forzare lo stallo, la nuova maggioranza ha deciso di formare comunque le istituzioni parlamentari, eleggendo il nuovo presidente dell'Assemblea, nella persona dell'albanese Talat Xhaferi. Dopo il voto i sostenitori di Gruevski, che da settimane presidiano le piazze macedoni, hanno però fatto irruzione in aula, aggredendo e picchiando deputati e giornalisti.

Una epilogo che segna una situazione sempre più allarmante, con toni da guerra civile: neppure la mediazione di Stati Uniti ed Unione europea sembra infatti più in grado di portare le parti al tavolo negoziale, per cercare una soluzione politica a una crisi sempre più pericolosa.

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