Da mesi la politica macedone è sconvolta dallo scandalo delle intercettazioni illegali, portate alla luce dall'opposizione socialdemocratica. Una crisi profonda, non solo politica ma etica e sistemica. Un approfondimento

03/04/2015 -  Ilcho Cvetanoski

Una versione dal vivo della notissima serie televisiva “House of Cards”. Così potrebbe essere descritta in breve la situazione politica che si è sviluppata in Macedonia negli ultimi mesi. Anzi, a confronto dei politici macedoni, Frank Underwood - l'implacabile e subdolo protagonista del telefilm - rischia di passare per un ingenuo ragazzino.

Il prologo della “telenovela macedone”, che non sembra prevedere alcun lieto fine, è iniziato alcuni mesi fa quando Zoran Zaev, leader dell'opposizione socialdemocratica (SDSM), ha ripetutamente fatto rifermento in pubblico a quella che ha definito “una notizia bomba”, in grado di portare alla luce le pratiche corruttive del premier Nikola Gruevski e di costringere il suo governo, una coalizione tra la VMRO-DPMNE e l'Unione democratica per l'Integrazione (DUI) alle dimissioni.

La “bomba”, breve cronologia

A fine 2014, nel giro d'un paio di mesi, in più occasioni pubbliche Zaev ha reiterato di essere in possesso della famosa “bomba”. Ma senza mai svelare alcun particolare a riguardo. Annunci che si sono ripetuti fino al 31 gennaio 2015 quando, in un messaggio televisivo a reti unificate, Gruevski ha accusato Zaev di tentare un colpo di stato. In quell'occasione, il premier ha sostenuto di aver incontrato Zaev per quattro volte negli ultimi mesi del 2014. Secondo Gruevski, Zaev gli avrebbe rivelato di aver ricevuto i materiali compromettenti “da un servizio segreto straniero”.

Riguardo al contenuto dei materiali, Gruevski ha dichiarato che “alcuni sono veri, altri veri solo in parte, altri ancora del tutto falsi”, sottolineando però soprattutto che questi erano stati raccolti in modo illegale e contro la costituzione macedone. Il senso dell'intera conferenza potrebbe essere riassunto nella seguente dichiarazione di Gruevski: “Non accetto minacce, ricatti e macchinazioni”. Alcuni giorni dopo, a supporto delle sue dichiarazioni, è comparso su Youtube un video illegale – catturato da una telecamera nascosta piazzata nell'ufficio del premier – in cui si vede uno dei colloqui tra Gruevski e Zaev.

Subito dopo la conferenza stampa, Zaev è stato accusato di “spionaggio e violenza contro funzionari dello stato”. Ad oggi a Zaev è stato intimato di non lasciare la Macedonia, e il suo passaporto è stato confiscato. Insieme al leader dell'SDSM, altre tre persone sono state indagate. Tra questi Zoran Verusevski, ex-direttore dei servizi segreti macedoni, che è oggi agli arresti con l'accusa di cospirazione contro l'ordine costituito. Altre due persone, un dipendente ed un ex-dipendente del ministero degli Interni sono stati accusati di aver supportato il presunto colpo di stato. Uno dei due, dopo un processo per direttissima, e dopo aver ammesso di aver collaborato con servizi segreti stranieri sotto il comando di Verusevski, è già stato condannato a tre anni di reclusione.

Nove giorni più tardi, il 9 di febbraio 2015, è esplosa la prima “bomba”. In conferenza stampa, Zaev ha accusato Gruevski e suo cugino Saso Mijalkov – capo dei servizi di sicurezza e controspionaggio – di aver illegalmente spiato più di 20mila cittadini macedoni, pari a più dell'un percento della popolazione totale del paese.

Secondo il leader socialdemocratico, nel corso di cinque anni, politici, leader dell'opposizione, attivisti di Ong, giornalisti, uomini d'affari, leader religiosi e membri della magistratura sono stati sottoposti a intercettazioni.

Da allora, una o due volte a settimana, l'SDSM ha gradualmente reso pubbliche registrazioni di intercettazioni a danno di ministri, funzionari e politici che porterebbero alla luce corruzione diffusa, abusi di potere, pressioni su magistratura e media, brogli elettorali e molti altri reati.

“Tutte le personalità politiche in Macedonia, con l'eccezione di Nikola Gruevski e Saso Mijalkov sono state intercettate e spiate. Abbiamo tonnellate di prove a riguardo”, ha dichiarato ai media Zaev. Secondo il leader socialdemocratico, le registrazioni illegali sono state fornite da persone interne ai servizi segreti macedoni. Fino ad oggi, sono 14 le “bombe” rese di pubblico dominio dall'opposizione. Lo SDSM sostiene di avere ore ed ore di materiale registrato, e promette che tutto verrà reso pubblico. Giovedì 26 marzo, quando l'ultima “bomba” - almeno per il momento – è stata rivelata, Zaev ha accusato Gruevski “di aver accettato una mazzetta da 20 milioni di euro da una compagnia cinese per assicurare loro il bando per la costruzione di autostrade”.

Due scenari

In Macedonia esistono due narrative opposte sull'origine delle intercettazioni e sul loro contenuto. Quando parlano delle “bombe” - e non succede troppo spesso - i media favorevoli al governo tendono a concentrarsi esclusivamente sulla loro origine. Al centro dell'attenzione è posto il fatto che proverrebbero da servizi segreti esteri, Zaev è rappresentato come loro alleato nel tentare di provocare una crisi e poter così impadronirsi del potere. Al tempo stesso l'autenticità dei materiali viene messa in discussione. In questo scenario, Gruevski è tratteggiato come un patriota che difende lo stato, mentre Zaev è un traditore venduto a servizi segreti stranieri, che tenta di indebolire sovranità e stabilità in Macedonia.

L'altra narrativa, enfatizzata soprattutto dai media pro-opposizione – numericamente molto inferiori a quelli pro-governo – si concentra invece sul contenuto delle registrazioni. Questo scenario è basato sull'assunzione che le intercettazioni siano state effettuate dai servizi segreti macedoni, e in questa narrativa è Gruevski il traditore che spia illegalmente i cittadini, mentre Zaev emerge come il patriota, che difende democrazia e libertà rendendo pubblici i materiali di cui è venuto in possesso.

Una crisi etica

A prescindere dagli scenari, però, i servizi segreti macedoni dovrebbero essere inchiodati alle proprie responsabilità. Responsabilità che devono essere assunte anche dal mondo politico e dagli organi della magistratura. In un'intervista all'Associated Press, l'analista politico Albert Musliu ha dichiarato che “questa crisi non è solo politica, ma anche profondamente etica, visto che i cittadini hanno perso la propria fiducia nelle istituzioni. E se i governi possono cambiare in fretta, ricostruire la fiducia è un processo che ha bisogno di tempi lunghi”.

Secondo il politologo Suan Minini, citato dal Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) gli ultimi avvenimenti rappresentano “un tentativo di bloccare l'imminente pubblicazione di materiali [da parte dell'opposizione] dopo negoziati che, evidentemente, non sono andati a buon fine”. Per Minini nelle accuse contro Zaev, che definisce “ridicole”, “è visibile la tradizionale incompetenza della magistratura macedone nel formulare capi d'accusa”. “D'altra parte”, aggiunge il politologo, “Zaev non avrebbe dovuto ricattare Grevski. Il leader dell'opposizione aveva la responsabilità civica e politica di pubblicare i materiali senza tentare una contrattazione con il premier”.

E sebbene l'idea dello “stile paranoico” proposta da Richard Hofstadter come fattore trainante della politica fosse pensata per le latitudini d'oltre oceano, per Minini oggi il concetto può essere utilizzato con successo per spiegare quanto avviene in Macedonia. “Lo chiamo stile paranoico semplicemente perché nessun altro termine riesce ad evocare lo stato di rovente esagerazione, di sospetto e fantasia cospirativa che vedo intorno a me [...]”.

Epilogo?

“I politici macedoni si sono a lungo accapigliati sul controllo delle istituzioni governative e lottato per il potere, con l'idea che il vincitore prende tutto”, sottolinea il think-thank macedone Center for Research and Policy Making (CRPM) in una recente pubblicazione. “Perché la democrazia possa consolidarsi, è però necessario che tutti i partiti e i politici mostrino volontà di trovare un punto d'incontro nella costruzione di solide istituzioni, oltre gli interessi dell'immediato”.

In un sondaggio sullo scandalo delle intercettazioni – realizzato da alcune Ong in collaborazione con un canale tv – più di un terzo degli intervistati ha detto di non avere ancora un'opinione precisa su chi ha effettuato le registrazioni illegali. Per il 29% ad agire sono stati i servizi segreti macedoni, per il 36% servizi stranieri.

“Al momento la legittimità dell'élite politica viene messa in dubbio, mentre la fiducia dei cittadini è profondamente scossa. Onnipresente è la convinzione che nel paese sia in corso una crisi sistemica”, sottolinea ancora il CRPM.

Di recente, il Commissario ai negoziati per l'Allargamento Johannes Hahn ha espresso forte preoccupazione e ha richiesto un'indagine sulle accuse legate allo scandalo intercettazioni. Il 30 marzo è arrivato l'annuncio che “l'UE è impegnata in una mediazione tra il governo e l'opposizione macedone”. La prossima “bomba”, intanto è programmata per la settimana prossima.


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