Pristina (foto Gughi Fassino)

Sono parecchi i dilemmi coi quali la comunità serba del Kosovo e la Belgrado ufficiale si devono confrontare. Il boicottaggio non sembra aver favorito nessuno, anzi sembra aver sollevato una serie di questioni di non facile soluzione

28/10/2004 -  Danijela Nenadić Belgrado

Lo scorso weekend si sono tenute le tanto attese elezioni kosovare, le quali, almeno tra la comunità serba, hanno suscitato numerose tensioni e posizioni contrastanti. In molti, soprattutto tra l'opinione pubblica serba e quella internazionale, hanno atteso con impazienza e incertezza la decisione degli elettori serbi sulla partecipazione alla tornata elettorale.

Confrontandosi con i due appelli differenti provenienti dalla Belgrado ufficiale, gli elettori serbi del Kosovo e gli sfollati che vivono in Serbia hanno deciso di boicottare in massa, così che alle urne si sono presentati complessivamente 1.580 cittadini di nazionalità serba, in percentuale pari allo 0.14%.

Tuttavia, la valanga di problemi non termina certo con le elezioni. Perché, una serie di ulteriori nuove questioni e dilemmi si profilano di fronte agli attori principali della comunità serba. A partire dalle implicazioni pratiche nella piuttosto fragile coabitazione tra il presidente Tadić e il premier Koštunica e i rispettivi partiti, fino alla decisione sul cosa fare con i mandati che sono garantiti di diritto ai rappresentanti dei Serbi del Kosovo.

Una terza questione riguarda i rapporti tra la comunità internazionale e Belgrado, sulla possibilità di nuove pressioni e di un'ulteriore giro di vite sulla Serbia. Però, ciò che aleggia nell'aria e si presenta come la questione cruciale è come il boicottaggio influirà sulla vita dei Serbi e degli altri non albanesi della provincia, e se si sarà in grado di raggiungere una posizione comune in futuro.

Quando si tratta delle implicazioni del boicottaggio sulla scena politica serba, sembra che l'astinenza dei Serbi non pregiudicherà le posizioni e i rapporti tra i partiti e all'interno dei differenti livelli di potere in Serbia. Questa opinione è corroborata da parecchi commenti giunti in questi giorni dai gabinetti del presidente e del premier, ossia dai rispettivi partiti (Partito democratico, DS, e Partito democratico della Serbia, DSS), ma anche dalle analisi condotte sull'opinione pubblica.

Ljljana Baćević, direttrice del Centro per le indagini polititologiche e sull'opinione pubblica, considera che il boicottaggio non avrà serie conseguenze sul ruolo di Koštunica e di Tadić e sulle loro, per quanto solo superficiali, buone relazioni. La Baćević considera che i due leader politici serbi in generale abbiano la stessa opinione riguardo il Kosovo, sicché le differenze tra i due sono evidenti solo negli aspetti concreti.

Inoltre i due leader già dalle prime reazioni si sono appellati al fatto che il boicottaggio è il risultato della catastrofica situazione in cui versano le comunità serbe del Kosovo, e non dai rispettivi suggerimenti e messaggi giunti da Belgrado.

Il presidente Tadić è convinto che i Serbi del Kosovo adesso vivranno ancora peggio, perché senza la partecipazioni alle istituzioni avranno difficoltà a difendere i legittimi interessi nazionali. Tadić ha detto che è necessario ridefinire la strategia e la politica generale verso il Kosovo.

Il consigliere del premier serbo, Aleksandar Simić afferma che il boicottaggio non è espressione dell'appoggio al premier, ma bensì un chiaro messaggio alla comunità internazionale sul fatto che la politica che conduce in Kosovo è sbagliata, perché non sono soddisfatti gli interessi dei Serbi.

Dello stesso tono sono pure le dichiarazioni degli altri leader politici, e Miroljub Labus, vice premier, sottolinea che il boicottaggio non rappresenta la vittoria di nessuno, aggiungendo che ora è il momento in cui la Belgrado ufficiale deve fare uno sforzo e stimolare l'apertura dei dialoghi sullo status finale del Kosovo. Secondo la sua opinione, la Serbia non deve temere questi colloqui, ma in modo attivo creare un consenso e lavorare alla espressione di un documento comune, come quello sul decentramento che il governo ha adottato nell'aprile del 2004.

È chiaro però che i rappresentanti del Partito radicale serbo (SRS) e del Partito socialista serbo (SPS) hanno un'altra opinione, entrambi sono d'accordo sull'appello alla responsabilità del presidente Tadić, ossia alla richiesta delle sue dimissioni.

Tuttavia la situazione è ancora più complicata quando si tratta di un altro problema, riguardante la decisione su cosa sia meglio fare con i mandati per l'assemblea del Kosovo. Perché, né la Belgrado ufficiale, ma neppure i rappresentanti delle due liste serbe che hanno partecipato alle elezioni, hanno una posizione definita sulla partecipazione dei deputati serbi al parlamento kosovaro.

Il presidente del comitato provinciale del Partito democratico, nonché uno dei candidati della lista serba, afferma che il dilemma è evidente, perché non egli ha ottenuto la legittimità dagli elettori, e quindi sarebbe meglio non entrare in parlamento.

Dragiša Krstović, uno dei più noti leader politici serbi del Kosovo afferma che, a prescindere dalla decisione del suo collega, non siederà sui banchi del parlamento perché in questo momento sarebbe politicamente senza senso.

Il Partito per il rinnovamento serbo (SPO), del ministro degli esteri Vuk Drašković, che ha partecipato alle elezioni prenderà la decisione sulla partecipazione al parlamento kosovaro solo dopo che si sarà raggiunto un consenso generale da parte della leadership serba.

D'altro canto Salviša Petković, capolista della Gradjanska Incijativa Srbije (Iniziativa civica della Serbia) afferma che entrerà in parlamento per quelle persone che hanno avuto il coraggio di andare a votare. Petković afferma che già dalla seduta costitutiva del parlamento kosovaro ribadirà le sue richieste: un urgente ritorno degli sfollati e la sicurezza per la comunità serba.

Se queste richieste non dovessero essere esaudite nell'arco dei prossimi quattro mesi, Petković, insieme ai suoi rappresentanti, lascerà le istituzioni kosovare.

Quindi si è giunti ad ulteriori divisioni anche tra le fila dei dieci deputati serbi. Mentre la Srpska lista rimane in attesa della posizione ufficiale dello stato ed è vicina alla decisione di non accettare i propri mandati, la Gradjanska Incijativa desidera chiedere al parlamento i rientri e una vita sicura per i Serbi.

È significativo che i deputati della Gadjanska Incijativa non desiderino basarsi dalla Belgrado ufficiale, considerando che né Tadić né Koštunica sanno bene cosa fare col Kosovo. Ed è decisamente scioccante pure la loro posizione che sarebbero pronti ad una coalizione con il PDK di Hashim Thaci, se questi dovesse garantire le condizioni di sicurezza per i Serbi.

La pressione internazionale sulla Serbia non diminuisce né riguardo la questione del Kosovo e delle elezioni, né tanto meno sulle altre questioni. La decisione di non partecipare alle elezioni e di boicottare in massa ha suscitato una certa delusione tra i principali attori internazionali, i quali hanno sottolineato che con questa decisione i Serbi hanno posto se stessi in isolamento, perché in futuro la loro voce sarà assente.

Il Segretario generale della NATO ha dichiarato di essere profondamente dispiaciuto per l'alta astinenza dei Serbi del Kosovo, mentre il rappresentante dell'UE Havier Solana ha affermato che una tale decisione potrà avere delle serie conseguenze.

Soren Jessen Petersen già il giorno delle elezioni, quando era evidente che i Serbi non avrebbero partecipato, ha dichiarato seccamente che è stata esercitata una forte pressione sugli elettori da parte dei partiti serbi che hanno organizzato la campagna contro le elezioni, e che per tanto e stato questo, e non la particolare e difficile posizione delle minoranze serbe, che ha condotto al boicottaggio.

Tuttavia, nessuno dei funzionari internazionali si è pronunciato su una posizione più concreta, né tanto meno sulla valutazione delle conseguenze del boicottaggio sulla vita dei Serbi del Kosovo.

Questo silenzio della comunità internazionale può essere visto anche come la calma prima della tempesta, vale a dire in attesa dell'articolazione di ulteriori pressioni su Belgrado. Rimane, però, in questione se i rappresentanti della comunità internazionale, e in particolare l'America e la UE, vivranno il boicottaggio dei serbi come ultimo avvertimento e verifica della strategia condotta fino ad ora oppure se addosseranno ancora una volta tutta la colpa su Belgrado e sulla poco numerosa comunità serba del Kosovo.

Infine, il dilemma maggiore riguarda le conseguenze del boicottaggio dei Serbi che vivono in Kosovo, così come sugli sfollati ai quali è impedito il rientro nelle proprie case. Se è certo che il boicottaggio non influirà molto sui problemi più urgenti, come il rientro e la sicurezza, gli effetti collaterali già si intravedono.

Se fino ad ora erano presenti due correnti tra i Serbi del Kosovo, una che ha invitato alla partecipazione alle elezioni, l'altra che ha invitato il boicottaggio, ora si stanno creando nuove "frazioni" e un'ulteriore dispersione della già poca energia.

Come già detto, i rappresentanti serbi che hanno partecipato alle elezioni si sono già divisi in due colonne, mentre quelli che hanno invitato al boicottaggio sono passati alla "controffensiva" rivolta soprattutto contro la comunità internazionale, compromettendo in questo modo i rapporti instabili con suddetti attori.

Il presidente del Consiglio nazionale serbo (SNV) del Kosovo settentrionale, Milan Ivanović ha inviato una lettera aperta a Petersen, con la quale lo "prega" di accettare l'invito al dialogo e in cui sostiene che l'astinenza dei Serbi alle elezioni esprime la peggior valutazione della missione dell'ONU, come pure degli alti funzionari che non sono riusciti a rispettare la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza.

Ma per quanto queste reazioni fossero attese, ciò che ulteriormente si abbatte sulla comunità serba è la disgregazione drastica dei politici che fino ad ora erano attivi nei loro ambiti.

Il presidente del consiglio comunale di Strpče, una delle enclave serbe più sicure e più popolate del Kosovo, Slađan Ilić ha dato le dimissioni a causa della scarsa affluenza dei Serbi alle elezioni, alle quali ha partecipato come candidato per la Sprska lista za Kosovo i Metohjia.

Su qualche migliaia di elettori iscritti, a Strpče hanno votato poco più di venti Serbi, cosa che ha suscitato in Ilić la convinzione che non c'è simpatia dei cittadini per il modo in cui sta conducendo la lotta politica.

Queste dimissioni, benché siano un caso isolato, parlano dei nuovi problemi con cui la comunità serba del Kosovo si dovrà confrontare nei prossimi giorni. Nemmeno dopo queste elezioni si vede la soluzione della crisi, sicché nei prossimi mesi sono possibili nuove tensioni e instabilità, tanto in Serbia quanto in Kosovo.


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