Il fallimento della comunità internazionale durante la guerra in Bosnia Erzegovina è stato utilizzato negli anni successivi per giustificare interventi armati in situazioni di crisi. La vicenda libica ne è l'ultimo esempio. Note a margine di un articolo di Adriano Sofri

25/08/2011 -  Andrea Oskari Rossini

Strano destino, quello di Srebrenica. Le sue vittime, dimenticate per anni, sono tornate alla ribalta. Mai più Srebrenica. Vuol dire mai più massacri di civili nell'indifferenza della comunità internazionale. Giusto. Dietro questo slogan, però, troppo spesso si nascondono altre ingiustizie, altri massacri. Adriano Sofri, in un editoriale di sostegno all'intervento della Nato e degli altri alleati in Libia , scrive ieri sul quotidiano la Repubblica “che cosa sarebbe accaduto della popolazione indifesa di una grande città come Bengasi [...]? Sarebbe accaduto o no quello che Gheddafi e i suoi ferocemente giuravano? Non si sarebbe parlato di Srebrenica se Srebrenica fosse stata prevenuta...” Già, ma il problema sta nelle forme della prevenzione. A Srebrenica c'era un esiguo contingente di olandesi, con armi leggere, assolutamente inadeguato per affrontare l'esercito serbo bosniaco. L'enclave, di fatto, non era difesa. Nessuno era interessato alla sorte dei bosniaci, e i macellai aspettavano solo il segnale di via libera, puntualmente arrivato alla fine di giugno di quella tragica estate. Se avesse avuto di fronte un esercito di caschi blu, Mladić non avrebbe potuto attaccare. Il fatto che allora non ci sia stata interposizione, però, non può servire oggi per giustificare la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. Bisognerebbe piuttosto discutere di come dotarsi di strumenti efficaci per il mantenimento della pace.

Il mantenimento della pace

Guerra e interposizione, guerra e mantenimento della pace sono categorie differenti. Vale la pena ricordarlo. Sofri scrive che “la contraddizione è largamente inevitabile nel sistema di relazioni internazionali”. È vero. Questa però vale come constatazione, non come programma. Eccessive iniezioni di realismo portano a perdere la bussola. In una situazione di conflitto aperto, la comunità internazionale deve intervenire a protezione dei civili. Ma l'intervento non può che avvenire per il mantenimento della pace, non per creare altre vittime e altri lutti. Dopo Srebrenica, invece, il massacro dei bosniaci è stato utilizzato per giustificare nuove guerre, condotte da autoproclamate “polizie internazionali”. Gli interventi di queste forze (1999 Kosovo, 2001 Afghanistan, 2003 seconda guerra del Golfo, 2011 guerra di Libia) hanno però lasciato alle loro spalle, oltre ad una lunga scia di morti, una lunga scia di problemi irrisolti. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Dopo l'intervento Nato in Kosovo, i serbi sono dovuti fuggire, come prima fuggivano gli albanesi. La crisi di quest'estate a Mitrovica nord, gli scontri a Jarinje e Brnjak, mostrano che, dieci anni dopo, la situazione è tutt'altro che risolta.

Il feticcio della guerra

Un conto è mettersi in mezzo, altro è schierarsi con una parte contro l'altra. Dal punto di vista delle possibilità reali di elaborazione di un conflitto, di costruzione di una società accogliente per le sue diverse componenti, cambia molto. Nessuno piange per la scomparsa di Gheddafi dalla scena politica. Ma su quali basi si fonda la nuova Libia? In questi mesi, purtroppo, non abbiamo assistito alla rappresentazione della giustizia internazionale, della protezione dei diritti umani. Se le navi e gli aerei della Nato fossero stati nel Mediterraneo per difendere i diritti umani, non avrebbero lasciato morire decine di profughi sulle loro barche, violando oscenamente il diritto del mare oltre che le più elementari norme del diritto internazionale umanitario, secondo quanto denunciato dai pochi sopravvissuti e dall'inchiesta del quotidiano britannico The Guardian . La nuova Libia, purtroppo, nasce sulle stragi dei migranti, così come 15 anni fa la Bosnia Erzegovina nasceva sulle fosse comuni. La comunità internazionale ha fallito in entrambi i casi. Discutiamo di come creare meccanismi efficaci di interposizione, torniamo a chiedere una Organizzazione delle Nazioni Unite che sia coerente con il suo patto fondativo. Il feticcio della guerra ha già troppi adepti.


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