L'autunno di Istanbul quest'anno inizia con diverse mostre d'arte, tra cui spiccano quelle esposte in due importanti sedi dell'arte moderna e contemporanea della città: "Istanbul Modern" e "santralistanbul". Una rassegna

02/10/2008 -  Fazıla Mat

Tre artisti, ciascuno con un percorso creativo per molti versi diverso l'uno dall'altro, vedono accostati i loro lavori nella mostra di video all'"Istanbul Modern" intitolata "La Città che sale" (10 settembre - 11 gennaio), omaggio all'omonima opera di Umberto Boccioni del 1920. Quello che accomuna le produzioni di Ali Kazma, Fikret Atay e Zbig Rybczynnski, nella mostra curata da Paolo Colombo, già curatore della sesta edizione della Biennale di Istanbul nel 1999 e del Museo Nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, è la percezione della città, ma in particolare dell'uomo che si muove in essa, visto con un occhio estetizzante, talvolta meticolosamente documentaristico e lontano da sentimentalismi.

Nelle riprese di "Bahar Hummasi" / "Spring Fever" (2006) di Fikret Atay (Batman, Turchia 1976) realizzate con una videocamera da spalla durante le manifestazioni di protesta a Parigi contro il CPE (Contratto di primo impiego) nel marzo 2006, i corpi dei manifestanti, accerchiati dai blocchi di polizia, con i loro movimenti ricordano quasi una danza. Il ritmo serrato e lo stile documentaristico e diretto dei video di Atay sono essenziali per esprimere l'urgenza politica e la tensione che sottostanno al suo lavoro.

Le opere realizzate tra il 1974 e il 1980 di Zbig Rybczynski (Lodz, Polonia 1949) esposte all'"Istanbul Modern", esemplificano, attraverso una serie di azioni quotidiane, una ripetitività che sembra ineluttabile e assorbe la dimensione reale della vita degli esseri umani per crearne una onirica: così in "Zupa/Corba" (La Zuppa) ma anche in "Nowa Ksiazka/Yeni Kitap" (Il Nuovo libro), in cui nove storielle sono narrate nei quadratini che suddividono lo schermo e i personaggi di ciascuna di esse si muovono da quadratino in quadratino, come un libro che passa di mano in mano; o in "Tango" che ottenne l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione nel 1983, dove un bambino entra in una stanza per recuperare il suo pallone, e la stanza da quel momento si riempie a poco a poco di altri trentasei personaggi intenzionati a compiere la stessa azione.

"Tutti i miei filmati riguardano il rapporto che l'essere umano instaura con se stesso (...) io indago ciò che ci definisce come esseri umani. Sono interessato ai metodi con cui riflettiamo la nostra volontà sul mondo esterno. Gli oggetti o le cose in generale si oppongono quando l'uomo cerca di attuare la propria volontà nel mondo. E il dolore è parte integrante di questo processo...". Così definisce il proprio lavoro Ali Kazma (1971 Istanbul, Turchia) che dal 2005 è impegnato nella realizzazione di una serie video chiamata "Engellemeler" (Ostruzioni) in cui si documentano con un alto grado di precisione attività manuali e produttive che spaziano dalla fonderia "Haddeleme Fabrikalari" (Fabbriche di laminati) alla catena di montaggio del macello, dai processi produttivi di una nota casa di jeans turca "Blucin Fabrikasi" (Fabbrica di blue jeans) e di un importante marchio di design italiano "Ev Esyalari Fabrikasi" (Fabbrica di casalinghi), dalle operazioni chirurgiche che richiedono un'alta tecnologia alla sopravvivenza dell'artigianato "Saat Ustasi" (Il Mastro orologiaio).
La serie è composta in modo modulare, nel senso che le singole parti, grazie al ritmo similare che le accomuna, possono essere spostate e riposizionate dando origine a delle nuove configurazioni. La tecnica di ripresa di Kazma è basata su un lavoro solitario che tende a camuffarsi nell'ambiente ripreso e predilige la luce naturale.

Il tema della città, e dell'uomo che la abita, è ripreso anche dalle mostre fotografiche di "santralistanbul", rispettivamente in "Assorted Cocktail", una retrospettiva di 156 scatti del celebre fotografo inglese Martin Parr, il cui umorismo e la vena documentaristica fanno da sfondo alle paradossali immagini dell'uomo che abita nella metropoli, e in "Kent Sokaklari" (Le Vie della città), mostra curata dal fotografo dell'agenzia Magnum, Nikos Economopoulos, che dà spazio a giovani fotografi greci per raccontare il fenomeno dell'immigrazione, dei processi di integrazione sociale e dello 'stare insieme' in un'Atene che si sta trasformando. Le foto sono accompagnate da alcune testimonianze di immigranti.

Lo spazio e i confini che lo delimitano sono, infine, il tema della mostra di fotografie e installazioni "Gerilimli Sinirlar" (Confini in tensione) fino al 30 ottobre prossimo. La curatrice Aura Seikkula del Museo della fotografia di Helsinki, definisce la mostra come un modo "di interrogarsi per sapere se uno spazio di cui ci si impossessa mediante la sua definizione non abbia qualcosa di impositivo" e di affermare che "l'identità esiste grazie alla grande varietà degli spazi interrelati, spazi in cui e tra cui si condivide quello che viene raccontato, si continuano a seguire le tradizioni, le identità sono ricomposte a partire dalle percezioni critiche di ciascuno, le singolarità sono accettate, l'io e l'altro coesistono nel rispetto reciproco e nella tradizione di un nuovo modo di opporsi alle cose."

Solo qualche settimana fa, si concludeva un'altra mostra cui hanno partecipato trenta artisti turchi, questa volta però in uno scenario diverso: la Triennale di Bovisa-Milano ha ospitato infatti l'esposizione "Save as..." la quale si è proposta come un primo segno di rafforzamento del legame tra la Triennale e la Turchia avviato l'anno scorso tramite un accordo di reciproca collaborazione con "santralistanbul", curatore della mostra, nella figura di Derya Yucel, assieme alla Triennale. Precedenti mostre in collaborazione sono già state realizzate come quella tra l'ottobre 2006 e il febbraio 2007 a Udine presso il Centro d'Arte Contemporanea Villa Manin, la "EurHope 1153 Arte Contemporanea dal Bosforo" cui avevano partecipato diversi nomi della scena artistica turca. Una mostra personale delle opere di Ali Kazma era stata invece realizzata alla galleria d'arte Francesca Minini di Milano lo scorso febbraio.

Segnali di una cooperazione in un ambito che aiuta a delimitare di meno gli spazi.


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