Paola Rosà 15 giugno 2021

Il 22 giugno scade il termine di un anno che la Corte Costituzionale aveva dato al Parlamento per legiferare e abolire la pena del carcere nei casi di diffamazione a mezzo stampa, in modo da adeguare la legislazione italiana alle norme europee a tutela della libertà di espressione: nell'ambito del Media Freedom Rapid Response, i nostri partner di Article 19 hanno promosso un incontro esplorativo con FNSI e Articolo 21

I mesi sono trascorsi invano, e il Parlamento italiano ha latitato, senza mai neppure mettere in agenda il tema; e dire che a presiedere la Consulta quel 9 giugno 2020 - come ha ricordato ieri Claudio Silvestri, presidente del sindacato campano dei giornalisti (SUGC) - c'era l'attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Sulle ragioni di questa palese indifferenza del Parlamento per i temi legati alla libertà di espressione e alla libertà di stampa, le ipotesi sono tante, e qualche nota pessimista è emersa durante l'incontro di ieri, promosso da Article 19 nell'ambito delle attività del Media Freedom Rapid Response.

Ma al di là degli ostacoli che la politica italiana non ha mai mancato di contrapporre al libero esercizio dell'attività giornalistica, ostacolando così il diritto ad essere informati sancito dall'articolo 21 della Costituzione, il momento riveste un'importanza strategica, e anche per gli osservatori internazionali si tratterebbe di una svolta storica, come era stato sottolineato dal consorzio MFRR già un anno fa: il 22 giugno la Corte Costituzionale, vista l'inerzia del legislatore, potrebbe abolire la pena detentiva che attualmente è prevista sia dalla legge 47 del 1948 ("legge stampa") sia dall'articolo 595 del codice penale nei casi di diffamazione a mezzo stampa. L'appuntamento è fissato, e l'esito potrà comunque riservare qualche sorpresa, visto che nella sua sentenza del 9 giugno 2020 la Consulta aveva parlato di un necessario bilanciamento tra diversi diritti di pari rilievo: "Il punto di equilibrio tra la libertà di 'informare' e di 'formare' la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un lato, e la tutela della reputazione individuale, dall’altro, non può però essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni".

Nell'ordinanza di un anno fa, la Consulta cita ripetutamente - per ben 27 volte! - la CEDU, facendo riferimento alla "copiosa" giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, "che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive, ancorché sospese o in concreto non eseguite, nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui. E ciò in funzione dell’esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri".

Secondo la Corte, tale bilanciamento sarebbe spettato al legislatore, che però, per un anno, ha ignorato l'appello a legiferare.

Per riportare il tema all'attenzione che merita, e seguire gli sviluppi futuri che la decisione della Consulta comporterà dopo il 22 giugno, i nostri partner di Article 19 hanno promosso un primo incontro con alcuni stakeholder italiani, coinvolgendo i vertici della FNSI e di Articolo 21, per sondare il terreno e proporre un'azione concertata di advocacy e sensibilizzazione.

Moderato da Roberta Taveri di Article 19, l'incontro online ha coinvolto per la FNSI il presidente Giulietti (che ha inviato un messaggio e ha delegato Michele Formichella), l'avvocato Giulio Vasaturo e il presidente del sindacato campano SUGC Claudio Silvestri; per Articolo 21 c'era Graziella Di Mambro, per Article 19 Maria Luisa Stasi e David Diaz Jogeix, per OBCT Francesca Rita e Paola Rosà del Media Freedom Resource Centre.

Il confronto è stato molto produttivo, e lo spirito di collaborazione transnazionale ritenuto molto promettente , proprio in linea con la decisione della Consulta che sta spingendo il Parlamento ad allinearsi con le numerose decisioni della Corte CEDU in tema di libertà di espressione. Libertà che in Italia è minacciata non tanto dalle pene che, alla fine del processo un giornalista potrebbe dover scontare, ma soprattutto dalla lunghezza dei processi, dall'abuso delle querele alias SLAPP da parte di politici, criminalità organizzata e grandi aziende, e dalla scarsità di risorse a disposizione dei singoli reporter: in territori ad alta densità criminale come la Campania, ha riferito Claudio Silvestri, le minacce ai cronisti che raccontano da soli quanto accade in comuni commissariati per camorra vestono anche i panni di cause per diffamazione, che tengono impegnato il giornalista per anni, magari poi costretto a pagare le spese legali anche in caso di assoluzione.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.