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Ancora misure di austerità, ancora sciopero generale e proteste violente ad Atene. In Grecia è iniziato ieri l'ennesimo sciopero generale per dire no ai tagli del premier Papandreou per ottenere la sesta tranche del pacchetto di salvataggio di UE, FMI e BCE. Nessuna medicina, però, sembra in grado di salvare il malato, e la rabbia cresce. Un articolo pubblicato oggi in contemporanea da OBC e Il Riformista

20/10/2011 -  Francesco Martino

La Grecia come un disco rotto, sempre più graffiato. Passano i mesi, e tutto sembra ripetersi come un incubo senza via d’uscita. E ogni volta il risveglio sembra più doloroso. Come a fine giugno, il governo guidato dal socialista George Papandreou ha annunciato nelle scorse settimane nuove, pesantissime misure di austerità, da presentare al vertice UE di domenica prossima. Obiettivo, sbloccare la sesta tranche (8 miliardi di euro) del pacchetto di salvataggio coordinato da Unione europea, FMI e BCE, e più volte rimandata, per consentire alla Grecia di prendere una boccata d’ossigeno e tirare avanti ancora qualche mese. Le disastrate finanze di Atene, al momento, permettono infatti di arrivare a malapena a metà novembre.

E come quattro mesi fa, la risposta della piazza è stata durissima. Uno sciopero generale di quarantotto ore, che a partire da ieri mattina e fino a tutta la giornata di oggi, bloccherà in Grecia sia il settore pubblico che il privato, manifestazioni e cortei in tutte le principali città del Paese, scontri violenti che ieri si sono focalizzati, come da copione, soprattutto in piazza Syntagma, di fronte al parlamento di Atene.

Manifestazioni e disordini

Nella capitale greca, la grande manifestazione voluta dai sindacati è cominciata pacificamente nella tarda mattinata. Secondo le stime della polizia, circa 100mila persone sono scese in piazza contro l’ennesimo pacchetto austerità, che dovrebbe essere approvato oggi, sempre che i crescenti malumori interni al partito socialista (PASOK), che si regge su una fragile maggioranza ed è in crollo verticale nei sondaggi, non porti a sorprese dell’ultima ora, dagli effetti imprevedibili.

I disordini sono cominciati a metà pomeriggio, quando un gruppo di giovani incappucciati (si parla di circa duecento persone) ha tentato di assaltare proprio il palazzo del parlamento, scontrandosi con i reparti anti-sommossa della polizia. Da una parte sono volati bottiglie molotov, bastoni, pietre, pezzi di acciottolato, dall’altra lacrimogeni. Quando la polizia ha caricato, la battaglia si è spostata nelle strade adiacenti alla piazza, con vetrine e macchine distrutte, cassonetti incendiati e un grande magazzino saccheggiato. Almeno quattro ore di scontri, con alcune decine di feriti, sia tra i manifestanti che tra le forze dell’ordine.

Atene è teatro di scontri violenti dall’inizio della crisi, tanto che ieri il governo, in previsione di un alto livello di tensione, ha messo in strada oltre 3mila poliziotti. E se la Grecia ha una lunga tradizione di manifestazioni di piazza “calde”, la situazione sempre più critica di larghe fasce della popolazione, anche tra l’impiego pubblico, fino a ieri socialmente protetto, ha buttato benzina sul fuoco, alzando ancora di più il livello dello scontro. Oggi molti greci, soprattutto giovani, vedono la protesta violenta come l’unico mezzo per non essere schiacciati da un debito che ritengono frutto dell’egoismo e dell’irresponsabilità di una classe politica corrotta e autoreferenziale. A cercare lo scontro, però, resta una fazione minoritaria: anche ieri la stragrande maggioranza dei manifestanti ha sfilato pacificamente, tra rabbia e senso di impotenza.

Conti sempre peggio

Nonostante misure sempre più pesanti, infatti, nessuna ricetta sembra essere in grado di curare il più grave malato d’Europa (anche se non certo il solo).  Le ultime stime parlano di un ulteriore peggioramento dei conti: il deficit previsto per quest’anno passa dal 10,5% al 10,6%, mentre il rapporto deficit-pil dovrebbe toccare un vertiginoso 144,9%. L’economia greca nel 2011 dovrebbe contrarsi del 5,5%, e continuare il trend negativo nel 2012.

Stavolta, sotto la mannaia della “terapia shock”, voluta da Europa e FMI e somministrata da un sempre più impopolare Papandreou, è soprattutto il settore pubblico. Secondo i sindacati, circa 700mila dipendenti statali vedranno ridotto il proprio stipendio di un ulteriore 20%, e 30mila saranno messi in aspettativa forzata (pagata al 60% del salario), probabile anticamera al licenziamento. Anche le pensioni subiranno drastiche sforbiciate, che per alcune categorie, come i baby pensionati, potrebbero toccare il 40%.

Intanto il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos ha annunciato la pubblicazione di vere e proprie “liste della vergogna”, con i nomi di chi ha evaso le tasse per centinaia di migliaia di euro e di chi, nel 2009, ha portato capitali all’estero di cui non può giustificare l’origine. Una misura drastica, quasi da apocalittica resa dei conti, dal senso non solo economico, ma anche e soprattutto politico. In Grecia, la rabbia che monta insieme alla frustrazione, non cerca soltanto ricette economiche di salvataggio. Vuole anche i nomi e cognomi di chi ha portato il paese nel baratro. 


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