Può una nuova generazione di pionieri tecnologici far rivivere nel sud-est Europa il successo della Silicon Valley? Un ampio approfondimento

05/03/2015 -  Boryana Dzhambazova

(Pubblicato originariamente da Balkan Insight l'8 dicembre 2014, titolo originale Entrepreneurs Strive to Make Balkans Buzz With Tech Startups )

Un'estate di due anni fa Ivan Vesić, ingegnere informatico che abita a Niš, città nel sud della Serbia, si affrettò da un veterinario. Una macchina aveva investito il suo gatto Damian, ferendogli una gamba e la coda. Il veterinario, Mirza Sejdinović, dovette amputargli la coda ma riuscì a salvare l'arto: Damian era comunque salvo. Ivan e Mirza iniziarono a chiacchierare tra loro e il veterinario si lamentò del software che utilizzava presso la sua clinica. Ivan diede un rapido sguardo allo schermo del computer e concluse rapidamente che vi era sicuramente un modo migliore per gestire un ambulatorio veterinario.

Nelle settimane successive Ivan e Mirza si incontrarono con regolarità e realizzarono un programmino per l'ambulatorio. Si resero presto conto però che potevano fare qualcosa di molto più ambizioso, un software user-friendly adatto per gli ambulatori veterinari in giro per il mondo. Un veterinario serbo che lavorava negli Stati Uniti diede riscontri entusiastici dopo aver utilizzato una prima versione del loro programma. “Abbiamo quindi deciso che avremmo dovuto abbandonare i nostri lavori ed iniziare a lavorare ad una start-up”, racconta Vesić. Era nata VetCloud, la loro azienda. Ora, a distanza di due anni, il loro software ha passato un altro passaggio cruciale. Lo scorso novembre è stato ufficialmente lanciato a Londra, dopo essere stato lungamente testato nei Balcani e nel Regno unito.

Vesić, 28 anni e Sejdinović, 30, sono tra le centinaia di imprenditori dei Balcani che hanno lanciato delle start-up tecnologiche con l'obiettivo di conquistare i mercati globali. Loro e gli investitori che li sostengono sperano di riuscire a trasformare questo angolo d'Europa, ex comunista e relativamente povero e spesso conosciuto all'estero per guerre, instabilità e corruzione, in un hub per la tecnologia e l'innovazione.

“Ritengo sia solo una questione di tempo, prima o poi nella regione avremo un successo pari a quello di Skype”, afferma Lyuben Belov, manager presso Launchub, un fondo con sede a Sofia, capitale bulgara, che investe in start-up digitali in tutto il sud-est Europa. A suo avviso prima o poi un'azienda high tech dei Balcani verrà quotata sul Nasdaq, a New York. “Qualcuno la combinerà grossa sul mercato globale”, afferma.

Alcune start-up balcaniche si sono già trasferite nella Silicon Valley, come ad esempio Emailio, azienda fondata da uno studente bulgaro delle scuole superiori che ha lavorato su una app per ordinare caselle di posta. Anche Flipps , una app che permette di visualizzare video presenti su un cellulare sullo schermo di un televisore, si è già spostata dalla Bulgaria alla California. Un altro incentivo per le start-up del paese è stato l'acquisto annunciato da Facebook lo scorso luglio di LiveRail , una piattaforma per la pubblicazione e monetizzazione di video aziendali fondata da due rumeni, per una cifra che si aggirerebbe tra i 400 e i 500 milioni di dollari.

Gli imprenditori dei Balcani sono ispirati da ambizione, know-how tecnologico ed entusiasmo. Nella regione si sta martellando con eventi di presentazione di idee per start-up, nei quali ci si mette in contatto con altre realtà e con possibili investitori. Ma questi sviluppatori devono affrontare vari ostacoli tra cui intoppi burocratici, la mancanza di incentivi governativi e la mancanza di esperienza gestionale e aziendale.

Vesić e Sejdinović mentre sviluppavano il loro software per veterinari si sono uniti ad un terzo partner, Milan Djordjević. Per trovare investimenti non si sono recati nella capitale serba, Belgrado, ma a Sofia dove vi erano più opportunità. “C'era una comunità di start-up a Belgrado, ma in Sofia vi era già un ecosistema”, afferma Vesić, amministratore delegato dell'azienda.

L'azienda ha ricevuto 200.000 euro di finanziamento da Eleven, un fondo che offre formazione e un programma di assistenza in cambio di quote societarie delle aziende che sostiene. Il gruppo di VetCloud ha passato tre mesi in Bulgaria, imparando tutto sulla gestione di un'azienda high tech. “Abbiamo ricevuto i soldi e la consulenza di cui avevamo bisogno”, dice Vesić.

Launchub e Eleven gestiscono un totale di 21 milioni di euro come parte di JEREMIE, un'iniziativa dell'Unione europea per sostenere le piccole e medie aziende. Negli ultimi due anni hanno distribuito 9 milioni di euro tra 120 start-up della regione e pianificano, entro il 2015 di finanziare circa 200 realtà.

Dall'outsourcing alle start-up

Per anni le grandi aziende hanno esternalizzato lavoro high-tech verso l'est Europa. Erano attratte dal costo del lavoro relativamente basso e da programmatori qualificati, le cui competenze riflettevano una tradizione di lunga data di quei paesi, legata al periodo comunista, in materie quali la matematica e l'ingegneria. Anche il basso livello di tassazione ha aiutato: ad esempio in Bulgaria si paga un'unica aliquota del 10%.

Ora sempre più professionisti del settore vogliono però lavorare per conto loro per creare la prossima app da non perdere o il grande successo nell'e-commerce.

Miloš Milić, 25 anni, sviluppatore di software fa parte di questa nuova generazione. Ha lavorato per cinque diverse aziende ma non ha mai percepito di avere abbastanza libertà di azione. Lo scorso dicembre, lui e il suo socio in affari, Srdjan Stupar, si sono licenziati lo stesso giorno per avviare insieme Farmia, una piattaforma on-line per lo scambio di bestiame. Milić descrive questa scelta come quanto di più bello gli sia mai capitato nella vita. “Adesso abbiamo salari più bassi, ma abbiamo l'opportunità di far crescere la nostra azienda”, racconta.

Farmia condivide un ufficio con altre start-up a Belgrado in un luogo chiamato Potkrovlje (“L'attico”). Un giorno della scorsa estate il posto odorava ancora di tinteggiatura fresca e gli infissi avevano ancora bisogno di una sistematina, ma i ragazzi di Farmia erano assorbiti dai loro schermi, intenti a scrivere codici. Sino a poco tempo fa le start-up serbe dovevano guardare all'estero per finanziamenti. Ma ora fondi come StartLabs, lanciato lo scorso anno, intendono colmare questo vuoto, per valorizzare la crescita di imprenditori tecnologici. “E' il periodo migliore per avviare attività di questo tipo” sottolinea Nebojša Lazić, uno dei fondatori di StartLab e imprenditore con grande esperienza nel settore dello sviluppo dei software.

Con uffici in un centro commerciale e per conferenze, dove in passato si riuniva il Partito socialista jugoslavo, StartLabs offre finanziamenti di 50.000 dollari e mette in relazione le aziende con consulenti ed investitori nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti. Le cose sono cambiate da quando, dice Lazić, gli imprenditori venivano chiamati, scherzando solo in parte, “supereroi con tendenze suicide”.

La nuova generazione ha l'attitudine del “è possibile” che spesso è mancata in molte persone che hanno avviato attività private nei due decenni che ormai ci separano dalla fine del comunismo, dicono alcuni veterani della scena tech. “Ho visto generazioni precedenti fallire nonostante avessero a disposizione più soldi perché avevano la mentalità sbagliata”, afferma Hristo Alexiev, imprenditore e fondatore della start-up Playground Energy.

Radici locali, portata globale

Diversamente dalle aziende della Silicon Valley, che hanno alla loro portata centinaia di milioni di consumatori negli Stati Uniti, le aziende dei Balcani hanno mercati piccoli e frammentati. Ma Dilyan Dimitrov, uno dei fondatori di Eleven, sostiene che questo può essere un vantaggio perché spinge le start-up della regione a sviluppare idee che abbiano un appeal internazionale. “Chiunque sviluppi un prodotto tecnologico è molto consapevole che deve essere utilizzabile su scala globale”, afferma.

Playground Energy, con sede a Sofia, sta provando a fare esattamente questo. L'azienda produce materiali per parchi gioco che generano energia attraverso il giocare dei bambini. L'elettricità poi alimenta luci, suoni ed altri effetti che spingono i bambini a giocare più a lungo. Alexiev spiega che l'avere sede a Sofia dà numerosi vantaggi. Si può sviluppare infatti una strategia di crescita globale utilizzando però designer e programmatori locali. Questo tiene i costi bassi, riuscendo a trarre il massimo dai 200.000 euro investiti nel progetto. “Se ci fossimo spostati negli Stati Uniti avremmo speso metà di quei soldi solo per il trasloco, per l'affitto, per gli avvocati...” ricorda Alexiev, che a 44 anni parla di Playground Energy, la sua sesta start-up, con l'entusiasmo di un diciassettenne che lancia il suo primo business.

Altri hanno però scelto una strada differente, spostandosi in hub tecnologici come Londra o Berlino, dove ritengono di riuscire a crescere più in fretta. Unioncy, è una piattaforma web pensata per chi vuole tener traccia delle proprie spese e archiviare bollette, assicurazioni, libretti di istruzioni. I suoi fondatori si sono spostati da Sofia a Londra dove ritengono esservi più opportunità di finanziamento. “Qui molti investitori non sono avversi al rischio come a Sofia”, spiega uno dei co-fondatori, Deyan Dimitrov, ventisettenne bulgaro. Dimitrov ed il suo socio svedese, Victor Bodin, hanno contattato tra i 50 e 60 potenziali sostenitori prima di riuscire a raccogliere 65.000 euro da due finanziatori influenti che sponsorizzano start-up e imprenditori. Quella somma è poi stata integrata da Eleven in Bulgaria.

Ma il destino di Unioncy dimostra che spostarsi in un grosso hub per l'high tech non è garanzia di successo. Quell'attività infatti si è presto trasformata da una start-up ad una shut-down ed il progetto si è arenato in ottobre, dopo aver riscontrato problemi tecnici più importanti di quanto i suoi fondatori avessero immaginato.

VetCloud, la start-up serba, ha anch'essa stabilito una sua presenza a Londra ed ha ricevuto finanziamenti e consulenza da parte del British office of TechStars, un fondo internazionale. “Abbiamo deciso di spostarci lì dove è il nostro mercato”, spiega Vesić. Ma il loro piccolo ufficio a Londra si occupa solo delle vendite, mentre il team per lo sviluppo rimane a Niš.

L'Ungheria per il successo?

Mentre le start-up dei Balcani attendono il grande colpo, un paese vicino, anch'esso ex comunista, ha già registarto successi internazionali. L'Ungheria è stata la piattaforma di lancio di numerose aziende, tra le quali Prezi, un diffuso software di presentazione, Ustream, una piattaforma per lo streaming video e LogMeIn, che permette l'accesso da remoto ai computer.

Prezi è stata fondata nel 2009 come alternativa all'onnipresente PowerPoint di Microsoft. Cinque anni dopo aveva 45 milioni di utilizzatori nel mondo intero. L'azienda dà lavoro a 160 persone di decine di paesi diversi, tutti nei suoi uffici a Budapest, in un openspace colorato, situato in un ex ufficio postale.

Allo stesso modo dei principali campus tecnologici della Silicon Valley, Prezi offre ai suoi dipendenti molto, anche i pasti. In una calda mattina di giugno alcuni gruppi di impiegati, noti come “Prezilians”, lentamente riempiono la caffetteria, dove l'alta varietà di cibo del buffet e il numero di lingue coinvolte nella conversazione ricordano la colazione di un hotel 5 stelle. Vestito di una maglietta a righe Peter Halacsy, uno dei co-fondatori, sorseggia un caffè e parla con alcune persone dello staff, ad uno dei tavoli.

Per Halacsy la chiave del successo per una start-up “non sono i soldi, non è l'infrastruttura e nemmeno il sistema legale” ma nel cambiare il modo in cui la gente pensa, allontanandosi da una mentalità tipica del periodo comunista, avversa al rischio e ammuffita.

“Il nostro passato, la nostra storia, i nostri genitori, il comunismo, tutto qui suggerisce che non dovremmo credere nel futuro” afferma Halacsy, che è a capo per Prezi dello sviluppo tecnologico. Halacsy poi spinge per un atteggiamento diverso: “Non dobbiamo avere paura e si deve guardare avanti”.

Assieme a Ustream e LogMeIn, Prezi ha fondato l'organizzazione non-governativa Bridge Budapest che ha come obiettivo di aiutare ed ispirare una nuova generazione di imprenditori ungheresi. “A San Francisco è imbarazzante se uno a vent'anni non ha già avuto almeno un tentativo imprenditoriale. Qui invece i genitori dicono ai figli: 'Non provarci, non rischiare. E' il meglio per te'”, racconta Veronika Pistyur, amministratore delegato dell'organizzazione. “Ma ora vedo che sempre più gente ha voglia di provarci”.

Ma, sino ad ora, nessun'altra star-up è riuscita a raggiungere lo stesso livello di successo di Prezi e delle altre star della scena di Budapest. Alcuni economisti ritengono che ciò sia avvenuto perché l'Ungheria ha direzionato i fondi del programma dell'Ue JEREMIE su fondi di venture capital che investono in prevalenza su aziende già mature, non offrendo programmi di consulenza. Argomentano che in questo modo le start-up più piccole non sono state finanziate adeguatamente.

Secondo i dati forniti dall'European Private Equity and Venture Capital Association, l'Ungheria avrebbe il tasso più alto di investimento in venture capital rispetto al Pil di tutta l'Unione europea. “Dovremmo costituire un'accademia JEREMIE, per formare e fornire consulenza a chi poi gestisce i finanziamenti”, afferma Peter Zaboji, imprenditore e in passato professore presso la Insead, prestigiosa scuola internazionale di “business”, che ha stabilito da Budapest una sua fondazione sull'imprenditorialità.

Ma Zsolt Bako, co-fondatore di CoLabs, un luogo di lavoro destinato alle start-up, afferma che il prossimo grande successo è solo dietro l'angolo. “Serve tempo” dice. “Negli ultimi due anni ciascuno si aspettava il grande successo, ma non è arrivato ed allora c'è stata grande frustrazione. Ma la nostra comunità sta migliorando di giorno in giorno”.

Trovare la niccha

Tornando ai Balcani, gli investitori non si illudono che la regione diverrà un'altra Silicon Valley ma alcuni comunque si dicono convinti che potrebbe giocare un ruolo di rilievo sulla scena tecnologica globale. “La cosa che possiamo sviluppare qui è una sorta di incubatore per talenti, un luogo per favorire stimolare la gente che ha idee interessanti” afferma Maxim Gurvits, partner della Teres Capital, con sede a Sofia che pianifica di lanciare un fondo di venture capital per investire nelle start-up dell'Europa centrale e sud-orientale.

“Così, la prossima volta che volete creare un'azienda andate a Sofia e non a New York, perché lì costa troppo”. Gli investitori però sostengono che nonostante nei Balcani vi siano molti programmatori, manca chi ha esperienza nella gestione aziendale. “Non si è pienamente consapevoli di cosa significhi gestire un'azienda, le responsabilità, il volume di lavoro” afferma Dimitrov, di Eleven. “L'unico modo di avere successo è avere programmatori qui ma poi esternalizzare le vendite e il marketing in luoghi dove quelle competenze sono sviluppate al meglio, come Londra o la Silicon Valley”, sottolinea Belov, di Launchub.

I governi dei Balcani si stanno lentamente coinvolgendo sempre più nel settore. La Serbia si è dotata di un fondo – finanziato dall'UE – per l'innovazione che sino ad ora ha attuato 53 finanziamenti, per un totale di 6 milioni di euro. Sofia sta costruendo un tech park  – anch'essa con finanziamenti di Bruxelles – da 55 milioni di euro, per metter in contatto imprenditoria locale e università e per favorire l'innovazione. Il presidente bulgaro Rosen Plevneliev ha dichiarato all'inaugurazione dei lavori per realizzarla, lo scorso luglio, che rappresenterà “il cuore start-up” del paese.

Ma gli imprenditori dell'high-tech auspicano aiuti pratici e più immediati. Alcuni propongono l'esempio del governo inglese, che offre rilevanti esenzioni fiscali a chi investe in start-up e alle stesse aziende. “Tutte le start-up hanno bisogno di benefici fiscali e un sistema di tasse non opprimente nel primo o nei primi due anni di vita”, sottolinea Danica Radišić, imprenditrice di Belgrado.

Imprenditori e investitori sono inoltre preoccupati del peggioramento degli standard del sistema scolastico, temono possa portare alla mancanza di ingegneri informatici e sono preoccupati della mancanza di cooperazione tra sistema universitario e start-up.

Elitsa Panayotova, a capo dell'azienda pubblica che gestisce il progetto di Sofia Tech Park, argomenta che il progetto potrebbe servire da elemento catalizzatore per riforme più ampie. “Dopo che la struttura avrà aperto le sue porte al pubblico vi sarà molto altro da fare in modo che sia un'iniziativa di successo”, afferma. “E su questo il governo sarà obbligato a dare il suo sostegno”.

Mentre i politici provano a definire quali sono le loro priorità i programmatori continuano a scrivere codice inseguendo grandi idee. VetCloud ha nel frattempo promosso il suo grande lancio e sta stringendo collaborazioni con distributori negli Stati Uniti.

Vesić, responsabile per lo sviluppo del prodotto, trascorre ora il suo tempo tra Niš, Londra e anche Sofia dove guida altre start-up e aiuta Eleven nella selezione di altri candidati da finanziare. Lui sogna in grande. “Se utilizzi Dropbox per sincronizzare i tuoi file, Google per fare ricerca sul web allora utilizzerai VetCloud se sei un veterinario”, afferma. Un aspetto della storia di VetCloud è comunque già di successo ed è il lieto fine del gatto Damian che ora non ha più la coda, ed assomiglia così un po' ad un coniglietto, ma si diverte ancora a passeggiare per le strade di Niš.

 

Boryana Dzhambazova è una giornalista freelance di Sofia. Quest'articolo è stato realizzato grazie al programma Balkan Fellowship for Journalistic Excellence sostenuto da ERSTE Foundation e Open Society Foundations, in cooperazione con Balkan Investigative Reporting Network.

 


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