Precariato internazionale

28 agosto 2014

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Le organizzazioni internazionali attive nelle Repubbliche post-jugoslave nel corso degli anni '90 e nel decennio seguente hanno “corrotto l'economia di quei paesi agendo come datori di lavoro temporanei senza alcuna strategia sostenibile di lungo termine”.

È quanto sostiene Catherine Baker, ricercatrice della Hull University (Gran Bretagna), in un'intervista recentemente pubblicata dal portale online Balkan Insight (‘Internationals’ in Balkans Let Down Their Local Staff, di Nidzara Ahmetašević).

Baker ha pubblicato una sintesi del lavoro di ricerca sugli effetti della presenza delle organizzazioni internazionali nel mercato del lavoro locale sulle pagine della London School of Economics , sostenendo che i datori di lavoro internazionali hanno lasciato le persone che lavoravano per loro in condizioni di precarietà, dopo che i contratti erano terminati.

Gli ex impiegati sono definiti dalla ricercatrice come parte di un “precariato-progettariato”, relativamente privilegiati finché in servizio, ma poi abbandonati senza alcuna prospettiva. I problemi prodotti a livello di mercato del lavoro, in particolare in Bosnia Erzegovina, avrebbero “esacerbato le difficoltà che i bosniaci incontrano nel trovare un impiego”. Queste difficoltà – sostiene la ricercatrice – non sono state create dalle organizzazioni internazionali che, tuttavia, non hanno fatto nulla per alleviarle.

Le persone impiegate dalle organizzazioni internazionali non facevano parte di alcune organizzazione sindacale e, secondo Balkan Insight, è impossibile sapere quanti abbiano lavorato in questi anni per le diverse organizzazioni internazionali attive nella regione.

Il tasso di disoccupazione in Bosnia Erzegovina è oggi stimato intorno al 40%, e la disoccupazione giovanile al 60%.


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