Oggi abbiamo trascorso tutto il giorno a Vukovar per poi partire per Novi Sad. Continua il diario di 'Danubio, l-Europa si incontra'.

16/09/2003 -  Anonymous User

Ore 9 La strada dedicata al "dr. Franjo Tudjman" e' una linea che taglia in due
il centro storico di Vukovar. Nella citta' appoggiata al grande fiume, quartatappa del viaggio organizzato dall'Osservatorio, fervono i lavori di
ricostruzione. Una frenesia recente. Le grida degli operai rompono il silenziodel mattino e le ruspe spostano calcinacci. Eppure la bellezza architettonica
della citta' e' persa per sempre. Proprio all'imbocco del centro e' cresciuto un nuovissimo palazzo di specchisulle cui vetrate si riflette un condominio che porta ancora i segni del fuocoe delle pallottole. Addentrandosi nel centro si alternano tetti crollati a negozi di fiori, macerie a promesse. Sulla citta' incombe la massiccia, e mille volte vista in tv, torre dell'acqua violentata dall'artiglieria, fungo rimasto vittima dei morsi di un gigante vorace. La torre e' simbolo della citta' e di quel 1991 chiuso con l'esercitofederale jugoslavo che lascio' mano libera alle milizie mercenarie per vincere
le difese della citta'. Fu strage. Ignorata dai media la battaglia era solo ilpreludio di un decennio di sangue.
Ore 10
Il centro pastorale di Vukovar e' leggermente rialzato rispetto al resto della
citta'. Un piazzale in fondo al quale una chiesa restrutturata, al suo fiancouna palazzina: vetro, acciaio e cemento. Sul retro della palazzina un prato con
una vista sul Danubio impigliata in una rete metallica. Aiuole curate, con erbada poco piantata. E' un forte contrasto con i moltissimi edifici a respirare il
cielo, le finestre dei grattacieli dove la gente s'affaccia tra i fiori dellegranate, con i cantieri che sembrano essere riattivati solo ora. "Sono per
l'Europa, ma un'Europa capace di rispettare le identita'" conquesta frase ci accoglie don Zlatko Spehar, padrone di casa. E' una frase
ambigua in un luogo dove l'identita' e' stata ricercata con affanno, dove hasignificato contrapposizione. Don Spehari, con un aspetto gentile ed un
approccio da educatore cammina su di un crinale pericoloso, quello che dividela consapevolezza delle proprie radici e della propria cultura dal
conservatorismo nazionalista. E' un crinale sottile ma ingombrante che ci riportiamotutt'intero nell'autobus, ritornando all'albergo Dunav dopo il smeinario e ridiscutendo
sull'intervento di don Spehari. Alcuni lo descrivono come un prete acuto chelotta contro il modello unico, la globalizzazione. Altri interpretano le sue
posizioni come una chiusura nazionalista rispetto agli stimoli dellediversita'. E' la complessita' di questi luoghi difficili da comprendere. Che
chiamiamo in transizione ma per molti aspetti rappresentano gia' ilpostmoderno. "Impiegheremo 60 anni a raggiungere standard italiani" affermava
oggi un professore di sociologia di Osjek, citta' non lontana da Vukovar. Mapurtroppo non vi e' un percorso rettilineo nemmeno se ci si "garantisce" con un
lasso temporale cosi' ampio, disilluso e senza speranze. Nel pomeriggiopartiamo per Novi Sad, capitale della Vojvodina. Lo dobbiamo fare in autobus
perche' l'acqua e' bassa e tra Croazia e Serbia vi sono delle secche. Domanis'aspetta un'onda di piena, e con essa anche la barca ci raggiungera' ma per
ora il fiume e' stanco e lascia libere sottili linee di sabbia.
Ore 18

Si viaggia in direzione Novi Sad, che nel 1999 subi' i bombardamenti Nato.Stasera cena alla fortezza e domani seminario sul ruolo delle città e dei
cittadini nella costruzione di una nuova Europa. Massimo Gnone


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