Cimitero a Potocari dove sono sepolte una parte delle vittime del genocidio di Srebrenica - Wikimedia

Memoriale a Potočari dove sono sepolte una parte delle vittime del genocidio di Srebrenica - Wikimedia

Wolfgang Petritsch è stato Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina fra il 1999 e il 2002. Un suo commento sulla condanna in primo grado all'Aja di Ratko Mladić

23/11/2017 -  Wolfgang Petritsch

(Pubblicato in contemporanea con Dnevni Avaz)

Per pura coincidenza, proprio nel giorno in cui è stata annunciata la condanna di Ratko Mladić, ho ricevuto l'invito ufficiale per la cerimonia di chiusura del Tribunale internazionale dell'Aja, fra un mese.

I miei pensieri, come spesso succede, tornano alla Bosnia Erzegovina.

Ora, ad oltre 22 anni di distanza, mi tornano in mente le controverse, spesso tormentate decisioni relative al genocidio di Srebrenica che ho dovuto prendere in qualità di Alto rappresentante, fra il 1999 e il 2002.

Ricordo con chiarezza la tensione in alcuni ambienti internazionali.

Quando presentai il mio progetto per collocare il cimitero e il Memorijalni Centar di Potočari, più di un ufficiale SFOR mi mise in guardia. Il mantra "safe and secure environment" sembrava più importante dei desideri delle "Madri di Srebrenica" e delle altre organizzazioni delle vittime.

Eppure, per me, era proprio questo desiderio di chi era sopravvissuto la cosa più importante.

All'epoca erano state identificate solo alcune centinaia di vittime. La posa della pietra memoriale a Potočari fu il primo tributo visibile agli oltre 8000 uomini e ragazzi bosniaci uccisi per ordine della persona che, dopo 16 anni di latitanza, è finalmente stata portata di fronte alla giustizia.

Può un verdetto di tribunale fare giustizia ad un crimine così mostruoso, che ancora riverbera nella memoria collettiva dell'Europa? Può un verdetto sanare la tragedia senza fine che segna la comunità bosniaca?

No.

Tuttavia, la decisione della comunità internazionale di porre fine all'impunità e perseguire i principali criminali di guerra è un piccolo, ma significativo passo verso l'umanità.

Ora che è stato pronunciato l'ultimo verdetto importante, sta al Tribunale nazionale bosniaco, alla Procura dello Stato, alla società civile e agli ufficiali responsabili dare vita ad una politica di riconciliazione nel paese – un obiettivo sfortunatamente mancato dal Tribunale internazionale.

Tuttavia, gli enormi risultati, l'investimento umano in expertise giuridico, la ricerca e le migliaia di testimonianze e i milioni di documenti prodotti – e, non ultimo, il lavoro di sensibilizzazione dell'opinione pubblica su quanto ottenuto dal tribunale internazionale – costituiscono a loro volta un'eredità. L'Aja è l'archivio degli indicibili crimini commessi e un monito che ci ricorda che un'Europa civilizzata non dovrà mai permettere un'altra Srebrenica.


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