
Esposizione alla Biennale di Venezia (foto Biennale di Venezia)
Si chiama Terræ Aquæ il Padiglione Italia della Biennale Architettura di Venezia, dedicata al rapporto tra il mare e la città, ancorata alla sua voglia di restare vitale a dispetto delle sfide metereologiche, politiche, economiche, sociali e militari. Una rassegna
Una luce scintillante e un’aria fresca davano il benvenuto venerdì 9 maggio agli invitati all’inaugurazione del Padiglione Italia della Biennale Architettura 19, dedicata al rapporto tra il mare e la città, riassumendo e semplificando al massimo. Ma ad attenderli c’erano sinistri, anche se sorridenti, rivi cioè gli addetti a informare, riscuotere e controllare il nuovo contributo d’accesso alla città.
Rivi perché adepti di Rivo, il nuovo demone lagunare, che sembra fare il paio con il famelico Mose. Rivo, il nuovo ologramma comunale che spiega online questo nuovo balzello, avviato in via sperimentale nel 2024 e riproposto per 54 giorni da aprile a luglio 2025. Diversi i soggetti esentati ma, almeno dall’email ricevuta da Biennale d’Arte, non gli invitati e i visitatori della Biennale.
Inevitabilmente qualche ulteriore domanda è necessaria sulla ragion d’essere di questa tassa ufficialmente legata al devastante fenomeno dell’over tourism, di cui in tanti ci si lamenta, anche se compartecipi, di cui in tanti lucrano senza scrupoli, anche senza dirlo.
Responsabilità personali di cui essere consapevoli, responsabilità gigantesche di società immobiliari che hanno trasformato le città storiche in residence stellati. Perché anche chi condivide questa tassa, seppur criticamente e con necessarie verifiche in itinere, deve convenire che così come le chiese diventano musei quando si paga un biglietto d’ingresso, le città diventano musei quando si paga un biglietto o contributo d’accesso che dir si voglia.
E allora ci si chiede se questa non sia la l’ennesima rovinosa scelta che decreta la scomparsa o comunque un’ulteriore complicazione per tutte quelle attività commerciali, artigianali, lavorative, culturali, sociali che non sono strettamente legate al turismo.
Ripeto, ci si chiede e si chiede a una Biennale Architettura che, per parola del suo curatore Carlo Ratti, dichiara che “l’architettura rappresenta da sempre una risposta alle ostilità del clima”, metereologiche certo, ma anche politiche, economiche, sociali e militari. Spinose questioni, rovi urbanistici e architettonici.
Delle ostilità climatiche, e non solo, che impattano fortemente sui fragili equilibri costieri, a partire proprio dall’ingordigia immobiliare agli approvvigionamenti energetici in forma di pericolosi e inquinanti rigassificatori, a cui si aggiungeranno faraonici impianti eolici, nuove e vecchie piattaforme metanifere, traffici mercantili e petroliferi, si occupano i 600 documenti selezionati per il Padiglione Italia.
Intitolato Terræ Aquæ. L’Italia e l’intelligenza del mare, curato da Guendalina Salimei e promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, a cui va dato atto di aver individuato un tema di stringente attualità, con implicazioni politiche, economiche, sociologiche e culturali cruciali per un paese che è penisola mediterranea, per una nazione che è ponte mediterraneo.
Penisola e ponte insieme, con uno sviluppo costiero di oltre ottomila chilometri unico in Europa, con una direzione africana che è destino geografico altrettanto unico in Europa. “Guardare l’Italia dal mare implica un cambiamento di prospettiva, la necessità di ripensare il progetto del confine tra terra e acqua come sistema integrato di architetture, infrastrutture e paesaggio, mediato attraverso la cultura “marinara” per la quale l’avvicinarsi alla terra è un’azione che porta con sé ritualità e scoperta”, scrive Salimei che ha fatto una scelta curatoriale aperta a contributi di vario tipo ed estrazione, spiccatamente imprenditoriali alcuni, fantasiosi e libertari altri.
Quelli di chi, come il sottoscritto, pensa e scrive da anni che il mare sia innanzitutto un bene comune e come tale vada gestito o per meglio dire riarmonizzato, con le necessità di abitanti sempre più numerosi ed esigenti.
Perciò se il mare è un bene comune due sono i dogmi: libero accesso e attenta salvaguardia. Libero accesso significa che le coste vanno garantite o restituite alla proprietà pubblica a quel demanio che era e dovrebbe essere garanzia di tutela di una fruizione non, o almeno non solo, commerciale degli spazi perimetrali, del limen terracqueo riprendendo una parola cara alla curatrice.
Attenta salvaguardia significa che vanno messe in campo politiche e investimenti per la riqualificazione ambientale di una costa violentata e deturpata negli ultimi cinquant’anni da un capitalismo feroce che ha privatizzato i profitti e abbandonato i rifiuti. In forma di sostanze nocive, territori degradati, rovine industriali.
Non c’è riqualificazione del waterfront, per usare una parola modaiola, senza watersoul. Non c’è artifizio sull’acqua senz’anima, canto, racconto dell’acqua. Città da costruirsi con generosità, da viversi in libertà; rivendicando e praticando la gratuità del mare.
Il nostro mare quotidiano che regala emozioni personali e collettive, carnali e spirituali. Il mare è una foresta blu e la città è un’eutopia che profuma di salmastro, la nostra eutopia che pratichiamo, difendiamo e rivendichiamo.
PS
Oltre al percorso espositivo e a una serie di iniziative correlate che si svolgeranno nelle prossime settimane, i temi del Terræ Aquæ, vengono testimoniati e dibattuti in tre volumi che compongono il catalogo pubblicato da Electa. Si tratta di un vero e proprio portolano contemporaneo, ispirato alle antiche carte nautiche medievali che, con tratto sapiente e immaginifico, restituivano la complessità del mondo allora conosciuto. I tre volumi, distinti ma complementari, rappresentano altrettante tappe di un itinerario conoscitivo, un dispositivo critico per orientarsi fra le “correnti del mare” della contemporaneità.
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