Silvia Maraone, inaugurazione della Casa per giovani di Bihać - Archivio Ipsia

Silvia Maraone. Inaugurazione della Casa per giovani di Bihać - Archivio Ipsia

Tra le persone migranti che transitano lungo la rotta balcanica, quasi il 10% sono minori non accompagnati. In Bosnia Erzegovina, da pochi mesi è stata aperta a Bihać una casa a loro dedicata. Intervista a Silvia Maraone, project manager di Ipsia

20/06/2025 -  Nicole Corritore

Il Cantone di Una Sana, situato al confine nordoccidentale della Bosnia Erzegovina con la Croazia e dove voi di Ipsia operate da anni, è uno dei territori del paese più attraversato da persone migranti che tentano il viaggio verso paesi dell’UE. Una delle categorie più fragili è rappresentata dai minori non accompagnati, per i quali avete di recente aperto una struttura sicura.

Sì, sebbene noi si sia iniziato a pensare già anni fa a una struttura di accoglienza dedicata ai minori, alternativa ai campi di transito/accoglienza profughi, dopo che avevamo cominciato a lavorare con rifugiati, persone in transito e richiedenti asilo, a partire dal grande esodo lungo la rotta balcanica del 2015.

Per cui, all’interno del progetto “BRAT - Balkan Route: Accoglienza in Transito ”, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e avviato nel luglio del 2022, abbiamo avuto la possibilità di inserire una struttura di protezione per minori, che è un po’ un prosieguo di due strutture già esistenti nel paese, una a Tuzla e una a Sarajevo.

Queste due strutture esistenti, da quando esistono e da chi vengono gestite?

A Tuzla, sin dall’inizio della grande crisi migratoria lungo la rotta balcanica, è stata aperta dall’associazione “Puž”, che oggi si chiama “Associazione Margina” (Udruženje građana Margina ), quella che possiamo definire una casa sicura, sebbene non faccia parte del circuito delle case accreditate come “safe house” sotto la tutela ministeriale e quindi non gode di fondi pubblici locali.

La casa di Tuzla esiste da parecchi anni, ed è un buon modello di accoglienza di breve termine. Questa struttura è un luogo che offre solidarietà e accoglienza e ospita persone in transito, solo maggiorenni, fino a due notti. Cioè, il tempo secondo cui la legge bosniaca – 48 ore - pone l’obbligo di registrarsi presso le autorità, o come straniero con documenti o come rifugiato, richiedente asilo.

Nel frattempo, nel giugno del 2023 è stata aperta nella zona di Buča Potok a Sarajevo una casa per minori non accompagnati, acquistata da Jesuit Refugee Service con sede in Bosnia Erzegovina. Ospita ragazzi che, mediante un meccanismo di “referral” [sistema di identificazione e protezione di vittime di tratta e sfruttamento, ndr] vengono qui mandati dal centro di accoglienza di Ušivak, situato sempre nel cantone di Sarajevo nei pressi di Hadžići.

Da quando è aperta la vostra struttura e come è organizzata?

Con un cofinanziamento di Ipsia e Caritas Ambrosiana e una parte coperta da donatori privati, abbiamo aperto a settembre 2024, su un terreno donato dal Comune di Bihać, quello che abbiamo chiamato “Casa della crescita per giovani menti. Centro di protezione per le categorie giovanili vulnerabili. A differenza di Tuzla e di Sarajevo, è una struttura costruita sin dall’inizio con un piano architettonico di destinazione d’uso ad hoc, con una capacità di accoglienza di 30 minori. Parliamo di un edificio di quasi 800 mq su due piani, suddiviso in area diurna – con spazi per le attività giornaliere, gli uffici, il magazzino, etc - e area notturna con le camere da letto e i bagni.

Casa per giovani menti di Bihać, settembre 2025 - Archivio Ipsia

Dopo l’inaugurazione a settembre, abbiamo avviato le procedure di selezione e formazione degli operatori, persone con competenze psico-pedagogiche, oltre che con formazione di studio anche con esperienze pregresse in altre organizzazioni dedicate all’assistenza a migranti e rifugiati, per coprire turni di 24 ore 365 giorni all’anno. Oltre a loro, Ipsia aggiunge il lavoro dei volontari del servizio civile all’estero.

Al momento, durante il giorno abbiamo in casa la coordinatrice, otto operatori psico-sociali, l’house keeper e un’assistente di progetto italiana che alcuni giorni opera qui e altri giorni altrove nell’ambito dei nostri progetti in loco. Mentre i volontari del servizio civile operano a turno due settimane qui e due nei campi profughi, come previsto dal progetto “Brat”. Nel turno notturno rimane un guardiano interno e addetti alla sicurezza esterna, che comunque è assicurata anche da telecamere e completa illuminazione degli esterni.

Dal progetto si legge che questa struttura è aperta anche per minori bosniaci socialmente deboli…

L’obiettivo principale era coprire l’urgenza di togliere le figure più deboli e vulnerabili dai campi di accoglienza per adulti, che sono in primis i minori stranieri non accompagnati. Il fatto che in questi campi in Bosnia Erzegovina ci siano zone per i minori a contatto costante con gli adulti, non è garantita ai minori una protezione adeguata. Sono a rischio di traffico, di essere sottoposti a sfruttamento e violenze.

La procedura prevede che dopo l’identificazione, che avviene al campo di Borići gestito dal Centro per i servizi sociali con l’Ufficio per gli stranieri e alcune organizzazioni che lavorano con i minori, ci vengano mandati i minorenni stranieri.

Nel nostro caso però, parte della casa è dedicata alla popolazione locale. Per cui al momento accogliamo già bambini molto piccoli, che sono stati vittime di violenza o di traffico. Comunque, anche il nostro è un centro transitorio, per cui non siamo un orfanotrofio o una delle “safe house” registrate di cui parlavo prima, e agiamo con un programma interno di accoglienza in collaborazione con le istituzioni locali.

Quali risultati avete visto finora, in poco più di sei mesi dall’apertura?

Importante sottolineare che l’obiettivo primario è offrire loro anche un percorso individualizzato: in base alle necessità del singolo beneficiario, prepariamo un piano dedicato, come già viene fatto bene a Sarajevo al centro di Buča Potok.

Si è già visto che i minori che vengono accolti in centri dedicati, restano più a lungo a differenza di quelli per adulti dove si assiste a continui tentativi di fare il “game” (il viaggio di attraversamento delle frontiere) perché lì sono lasciati a se stessi, e sentono maggiormente la pressione a lasciare il paese. Mentre tra i minori accolti nei centri dedicati, grazie alle attenzioni e all’assistenza che qui ricevono, c’è chi ha deciso di fare domanda di asilo.

Mi ha sorpreso molto il fatto che ci fosse un bisogno così alto per la popolazione locale. Pensavo che ci fossero abbastanza strutture per accogliere i minori bosniaci in difficoltà, allontanati dalle famiglie per diversi motivi… invece pare manchino in tutto il paese. Tant’è che siamo stati contattati non solamente dal Centro per i servizi sociali del Cantone Una Sana, ma anche da altri cantoni.

Ad esempio, tempo fa è salito alle cronache il caso di una casa privata a Brčko dove la polizia ha scoperto rinchiusi 35 bambini senza parenti, e poi un altro caso a Sanski Most… E due di questi minori, senza figure parentali, sono stati mandati da noi, mentre l’Interpol sta indagando per verificare se sono vittime di traffico internazionale, perché sono minori di cui al momento non si capisce la provenienza.

Dalla Casa di Bihać si va a scuola - Archivio Ipsia

Prevedete attività e contatti con l’esterno della Casa?

Come detto, il nostro progetto non offre solo un tetto… come un centro profughi per minori solo un po’ più “carino”. Ma, come già si capisce dal nome che abbiamo dato al centro, l’obiettivo è offrire a questi minori, a prescindere dalla durata della loro permanenza, un percorso individuale. E offrire loro uno scambio con l’esterno è primario ed è una delle grandi mancanze dei campi di accoglienza per profughi nel paese.

Infatti, una delle nostre ragazzine, richiedente asilo, frequenta la scuola a Bihać, tutti i giorni la accompagniamo e la andiamo a riprendere. In pochissimo tempo ha già creato amicizie, va alle feste dei compagni di classe… Poi altre due bimbe piccole, una ha iniziato a frequentare la scuola dell’infanzia un mese fa e l’altra la stiamo per iscrivere. Un altro ha problematiche che richiedono l’avvio di percorsi di assistenza psicologica importanti e non è ancora in grado di frequentarla.

Un ragazzo egiziano adolescente arrivato da poco, al momento ha cominciato subito a frequentare gli allenamenti di calcio tre volte a settimana. Hanno iniziato a frequentare attività sportive altri due bambini in età di scuola del primo ciclo, e stanno iniziando il percorso prescolastico, perché sono analfabeti, per cercare di inserirli in classe a settembre.

Dopodiché, oltre ad essere seguiti individualmente, All’interno della Casa organizziamo laboratori tematici aperti a tutti, come cucina, arteterapia e giardinaggio, con l’obiettivo di rafforzare competenze pratiche e collaborative.

Questi bambini, che siano stranieri o bosniaci, hanno in comune situazioni di alto disagio…

Sì, tutti, anche quelli locali. Sono traumatizzati, alcuni non hanno mai avuto modo di poter socializzare con altri bambini, altri sono cresciuti in condizioni di costrizione tali da non imparare a camminare o a comunicare. Ed è incredibile vedere la loro trasformazione di settimana in settimana, rispetto alle condizioni in cui sono arrivati da noi. Raramente mi vanto di ciò che facciamo come Ipsia, ma di questo progetto sono estremamente orgogliosa…

Dal punto di vista finanziario e operativo, la Casa per giovani è autonoma?

Si deve considerare che era stata pensata con l’avvio del progetto “Brat” due anni fa, ma oggi - con l’aumento importante dei costi di energia, etc. - ha fatto emergere la necessità di coperture finanziare aggiuntive.

Al momento, siamo molto contenti di avere due partnership. Caritas Ambrosiana che ci sostiene finanziariamente da anni nel nostro impegno sul tema migrazione e che, assieme al suo consorzio che si occupa di minori a Milano, sta collaborando nel lavoro della formazione continuativa degli operatori della Casa per giovani a Bihać. E da maggio scorso è partito un co-finanziamento da parte di Banca Intesa a sostegno di una parte dei costi scoperti.

Inoltre, ci sono una serie di altre realtà più piccole, alle quali siamo molto legati: un gruppo di volontari di Biella, con a capo Mira Schifano di "Pacefuturo", che con una raccolta fondi ha coperto il costo della scuola d’infanzia di una delle bimbe; una piccola associazione di Padova, Avip – Associazione Volontari per Iniziative di Pace , che hanno cominciato a sostenerci a partire dall’incendio del campo di Lipa , e saputo della nuova attività per minori, hanno inserito come impegno statutario il sostegno finanziario per alcuni costi della Casa, quelli meno “strutturali” come ad esempio l’iscrizione al corso di calcio e simili.

Al termine del progetto “Brat” cosa accadrà alla Casa per giovani menti?

Verrà assegnata ai Servizi sociali di Bihać, ma visto che ci sarà una copertura aggiuntiva attraverso altri soggetti e progetti, per coprire altri mesi dopo la conclusione di “Brat”, vorremmo trovare un accordo per cui pur passando la proprietà dell’edificio alla municipalità noi si continui con un co-finanziamento importante, finché non acquisiscono le competenze necessarie e il sostegno pubblico a cui potrebbe accedere se entrasse nel circuito delle “safe house” certificate.

Per approfondire

Il 14 e 15 maggio scorsi si sono tenuti due eventi legati al progetto "Brat", che si concluderà a fine 2025.

Si volesse fare donazioni dedicate espressamente alle attività nella Casa per minori, nella causale indicare "Balkan Route - Casa per giovani a Bihać" a questo link .

Sul flusso di persone migranti in Bosnia Erzegovina, si veda l'ultimo rapporto di UNHCR .

 

Questo articolo è stato prodotto nell'ambito diMigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea.


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