Immagine tratta dalla pagina Facebook di Musa Piroğlu

Il primo novembre in Turchia si ritorna a votare per le parlamentari. Un'intervista a Musa Piroğlu, candidato HDP ad Istanbul

30/10/2015 -  Dimitri Bettoni

Musa Piroğlu proviene da una famiglia curda alevita originaria di Erzincan, nel nord-ovest della Turchia. Attivo fin dagli anni '80 in diversi partiti socialisti, milita oggi nel partito di sinistra Partito Democratico dei Popoli (HDP). Dal 1998 è costretto su una sedia a rotelle a causa di un incidente sul lavoro ed è da tempo attivo per il riconoscimento dei diritti dei disabili all'inclusione sociale.

Dopo il successo dello scorso 7 giugno, l'HDP si presenta nuovamente ad una sfida elettorale. Con quali convinzioni?

La prima è che in giugno abbiamo commesso un errore. Sull'onda dell'entusiasmo per il risultato storico del gruppo e per l'impasse che il governo AKP aveva raggiunto nel non poter formare un altro governo monocolore, ci siamo illusi che l'era di Erdoğan fosse giunta al termine. In questi mesi, invece, lui ci ha dimostrato come il suo ruolo in questo paese sia tutt'altro che finito.

Questo non ci scoraggia, ma ci invita a riflettere su come il percorso politico parlamentare non sia l'unica strada che dobbiamo percorrere. Non basteranno nemmeno il doppio dei seggi che potremmo realisticamente conquistare per allontanarlo dalle leve del potere. Ecco perché è importante, a mio avviso, coltivare anche un'opposizione extraparlamentare e civile. La pressione pubblica può spingere verso il cambiamento.

E quella internazionale? L'Europa, ad esempio.

Io non ho fiducia alcuna nell'Unione europea, ci ha dimostrato troppe volte come sia più che disposta a contrattare e anche collaborare con ogni governo, al di là della sua natura. C'è stata forse qualche presa di posizione forte ed efficace da parte dell'Europa per arginare le spropositate ambizioni di Erdoğan? A parte offrire soldi per trattenere i rifugiati in Turchia, gli unici interessi che mi pare muovano l'Europa sono quelli economici. Personalmente io guardo con più interesse e favore ai vari movimenti che si stanno sviluppando in alcuni paesi europei, soprattutto quelli mediterranei; penso alla Grecia e alla Spagna, ad esempio. Lì forse potremo trovare nuove occasioni di cooperazione e mutuo sostegno internazionale.

Queste elezioni sono delicate anche sotto un altro aspetto: la scarsa fiducia che l'elettorato turco sembra avere nei confronti di uno svolgimento legale e sereno. Quali sono i problemi principali?

Dal canto suo, Erdoğan ha ampiamente dimostrato di non avere alcuna remora a ricorrere ad ogni mezzo pur di restare in sella. Non mi stupirebbe affatto se si scoprissero tentativi di manipolare l'esito elettorale. Se ci saranno, si tratterà di piccole manipolazioni, volte più a decidere i risultati a livello di singola circoscrizione. Poi c'è l'evidente pressione e gli abusi esercitati nei confronti dei media critici. Anche il voto all'estero potrebbe essere problematico: invece di svolgere i conteggi all'estero, le schede verranno prima trasportate in Turchia e poi conteggiate. Cosa possa succedere nel frattempo nessuno lo sa. Infine c'è la questione del sistema informatico “Seçsis”, su cui c'è poca trasparenza e questo dà adito a infinite speculazioni.

Lei proviene da una famiglia alevita da sempre impegnata in politica. In un'intervista che ho condotto a Diyarbakır in occasione delle scorse elezioni, il suo collega Ziya Pir aveva rilevato come gli aleviti fossero per il vostro partito una possibile base elettorale da convincere. Quali sono i sentimenti in questa comunità alla vigilia delle elezioni del primo novembre?

Ad oggi possiamo affermare che circa il 70% degli aleviti continua a votare per il Partito Repubblicano del Popolo, CHP, schieramento a cui sono storicamente legati. Nelle elezioni del giugno scorso abbiamo assistito ad uno spostamento di una parte dell'elettorato alevita verso il Partito Democratico del Popoli (HDP). I motivi sono diversi: il CHP è un partito tradizionalmente legato al mondo operaio e dei sindacati, ma le sue recenti politiche in materia di lavoro e la scarsa incisività hanno deluso molti, anche gli aleviti.

A questo si aggiunge una generale inquietudine nella comunità per l'emergere in questi anni di movimenti sunniti radicali; basta pensare alla Siria, il caso più violento ed emblematico. L'attuale governo turco ha sposato e sostenuto questo ritorno di fiamma dei gruppi sunniti e questo spinge gli aleviti a sostenere l'opposizione con ancor più convinzione.

D'altra parte, l'HDP ha saputo in questi anni costruirsi un'immagine lontana da quella “malvagia” dei precedenti movimenti autonomisti curdi, che non riuscivano a suscitare fiducia negli altri gruppi etnici turchi. Inoltre, l'attentato di Ankara ha suscitato un sentimento di empatia e comprensione verso i curdi.

In tutto questo, le famiglie alevite, che prima votavano compatte in favore del CHP, oggi preferiscono dividere i propri voti tra CHP e HDP, quest'ultimo preferito soprattutto dai giovani, in modo da sostenere tutta l'opposizione al governo del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP).

Da ormai molto tempo lei si occupa delle problematiche delle persone disabili in Turchia. Cosa ci può dire in proposito?

In Turchia ci sono milioni di persone affette da varie forme di disabilità, tra cui quelle costrette su una sedia a rotelle, come me. La questione, politicamente, può essere approcciata da due punti di vista differenti: il primo è chiedersi cosa può fare lo stato per queste persone, il secondo è chiedersi cosa queste persone stiano facendo per tornare ad essere partecipi della società.

Posso con assoluta certezza affermare che le cose sono migliorate molto in questi anni per alcuni aspetti; ad esempio oggi molte città sono dotate di mezzi pubblici attrezzati per il trasporto agevole di persone disabili. Dal punto di vista urbanistico invece no, siamo ancora alla preistoria. Quasi tutti gli edifici pubblici sono ancora completamente inadeguati e non funzionali, e così l'arredo urbano delle città. Nella pianificazione delle municipalità c'è scarsa attenzione a questo aspetto e, io credo, è soprattutto una questione di mentalità. Nel migliore dei casi, le amministrazioni più illuminate realizzano progetti dedicati esclusivamente ai disabili, senza rendersi conto che in questo modo ghettizzano queste persone; ma l'approccio più diffuso è quello che vede i disabili come persone da aiutare, bisognose, che devono tendenzialmente stare a casa.

Quest'ultima è anche l'idea di fondo delle politiche del governo AKP, che ha investito un fiume di denaro da destinare non ai disabili, ma alle loro famiglie, con la convinzione che in questo modo si fornisca il sostegno economico a chi poi dovrà prendersi cura del disabile. Certo è meglio di nulla, ma questa è una politica che relega la persona con disabilità ad un ruolo del tutto passivo, senza possibilità di coinvolgimento nella società. D'altra parte si finanzia la famiglia e si crea un esercito di lavoratori, pagati dallo stato, che devono prendersi cura dei disabili. E' una politica assistenzialista che non offre dignità al disabile, è molto costosa per le casse dello stato ed è anche, diciamolo, facilmente sfruttabile dal punto di vista elettorale, grazie alla pioggia di soldi che vengono distribuiti.

L'idea di autonomia e indipendenza è ricorrente nell'HDP. Il programma elettorale contiene un intero capitolo dedicato alla decentralizzazione del potere, un'idea non condivisa da nessuno degli altri partiti. Dal momento che è impensabile un HDP al governo, come pensate di convincere gli altri partiti a seguirvi in quest'idea?

Credo che il movimento autonomista, cioè coloro che credono che una gestione decentrata del potere politico e amministrativo in Turchia sia una buona strada, sia in netta espansione.

All'atto pratico, io credo che l'unica possibilità concreta di realizzazione sia al momento una situazione non ufficiale ma de facto. Un po' come accaduto con la lingua curda, che fino a 20 anni fa era stata proibita, mentre oggi può essere liberamente utilizzata anche se mancano ancora tutte le garanzie legali. Così potrebbe essere per una certa autonomia delle amministrazioni locali, realizzata de facto senza, almeno per il momento, dover procedere verso una riforma dello stato.

Senza un quadro normativo si rischia una situazione di confusione, senza tutele e con diritti che potrebbero essere repentinamente revocati per qualsivoglia motivo…

E' così, ma questi sono cambiamenti che avvengono a lungo termine e spesso attraversano fasi intermedie. E poi bisogna considerare che l'argomento “autonomia” è affrontato in modo molto diverso nelle varie zone del paese. Nell'est curdo è chiaramente legato ad un discorso etnico, ma nell'ovest del paese l'etnicità ha molto meno peso e si guarda piuttosto alle questioni del mondo del lavoro e dell'economia. Cosa potrebbe essere Istanbul se non fosse costretta a subire ogni decisione di Ankara?

Infine, l'argomento è complesso e riguarda tutto il Medioriente, non solo la Turchia: decentralizzazione, autonomia, critica allo stato nazione, democratizzazione del processo decisionale, sono temi sui quali anche il pubblico e le istituzioni internazionali devono fermarsi a riflettere.


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