© Maryna Svitlychna

Vivere una vita da rifugiate, lontano da casa, ma pensando continuamente al proprio paese. C’è chi pensa di tornare, c’è chi è già tornata e ha dovuto adattarsi ad un paese in guerra, chi forse non tornerà più e rimarrà divisa fra due mondi

29/05/2025 -  Maryna Svitlychna

Quando è iniziata la guerra russo-ucraina nel febbraio 2022, molti ucraini hanno lasciato le loro case pensando che sarebbe durata solo pochi mesi, che il conflitto sarebbe finito rapidamente e che sarebbero tornati a casa.

Col passare del tempo, è diventato chiaro che sia i combattimenti che l'esodo sarebbero durati molto più a lungo, anche se in molti continuavano a sperare in una rapida risoluzione.

Tre anni più tardi, in tutto il mondo sono registrati 6,8 milioni di rifugiati ucraini e a febbraio 2025 a 163.630 persone era stato concesso lo status di protezione temporanea in Italia. Eppure, molti rifugiati ucraini in Italia si trovano ora al bivio tra il ritorno a casa e la costruzione di una nuova vita all'estero.

Scegliere l'Italia e trovare una nuova normalità

Ho lasciato la mia città natale, Kharkiv, a metà marzo 2022 con mia madre. Non sapevamo nemmeno se saremmo riuscite ad arrivare in Ucraina occidentale, ma una volta arrivate, abbiamo avuto tre giorni per riposarci e decidere. Dovevamo scegliere tra l'Italia e la Germania, due posti in cui avevo già vissuto, e abbiamo optato per Trento, in Italia, dove ero stata da studentessa con un programma di scambio studenti.

La scelta è stata rapida. In primo luogo, conoscevo già la regione e alcune persone, il che ha reso la situazione meno stressante. In secondo luogo, pur sapendo che la Germania offriva un'economia e un mercato del lavoro più solidi, in quel momento avevo bisogno dei colori e del sole dell'Italia per il mio "benessere" mentale.

Sebbene avessi solo 23 anni all'epoca, ho dovuto crescere molto in fretta, perché ero io quella che conosceva un po' la lingua e che doveva gestire tutta la burocrazia.

Ognuna di noi ha avuto le sue ragioni per finire in Italia, alcune dettate dalla scelta, altre dalle circostanze. "Non direi di aver scelto l'Italia: è stata l'Italia a scegliere me", racconta Diana, che era appena tornata in Ucraina dopo un semestre Erasmus+ ICM a Trento quando è scoppiata la guerra.

"L'Università di Trento si è fatta avanti e ha offerto supporto, sia morale che finanziario, a studenti come me che erano appena tornati in Ucraina e si sono trovati improvvisamente in pericolo. Per questo sono tornata in Italia. Non è stata una decisione presa per comodità, ma per necessità", dice Diana.

Nonostante l'opportunità di trovarci in un luogo sicuro, senza bombardamenti e non in pericolo di vita, molte di noi si sentivano depresse e perse. "Ci sentivamo al sicuro fisicamente, ma non moralmente ed economicamente", continua Diana, la cui famiglia e i cui amici sono rimasti in Ucraina.

Ci sono stati momenti davvero difficili: "ti svegli, leggi le notizie di bombardamenti, tragedie, brutali omicidi, e poi devi andare a lezione, cercando di non mostrare come ti senti veramente", aggiunge Tetiana, un'altra rifugiata ucraina a Trento.

Anche per me ci sono stati momenti difficili, soprattutto quando il peso emotivo della guerra si scontrava con la routine quotidiana. Ricordo di aver visto un segmento di “The Day After” durante la lezione di storia, il film che un tempo spinse Reagan a opporsi alle armi nucleari, mentre le minacce nucleari in Ucraina crescevano.

I miei compagni di classe analizzavano con calma la politica della Guerra Fredda, ma io sedevo immobile, trattenendo a stento le lacrime, pensando solo a casa mia, ai miei parenti e ai miei amici. Ciò che ci aiutava a rimanere forti era la consapevolezza di non trovarci nella situazione peggiore. Anche il sostegno della società italiana all'inizio della guerra ha avuto un ruolo importante per i rifugiati ucraini: era importante sentire solidarietà e la volontà di aiutare.

Il dilemma del ritorno

Da quando siamo arrivati in Italia, in alcuni momenti ognuna di noi ha riconsiderato l'idea di tornare in Ucraina. Diana, che viveva a Bakhmut, una città nella regione di Donetsk completamente distrutta, riflette sul fatto che la differenza di mentalità a volte la fa sentire profondamente incompresa. "Qui ti senti come un'ospite e sai che non sentirai mai veramente questo Paese come tuo", dice.

Momenti come questo hanno acceso in lei il desiderio di tornare in Ucraina, ma per lei l'idea rimane irraggiungibile perché semplicemente non c'è un posto dove tornare. Immagina il suo futuro all'estero, forse non in Italia, ma da qualche parte in Europa, dove spera di costruirsi una vita stabile, trovare lavoro e integrarsi.

Come spiega, tornare in Ucraina e ricominciare da capo sarebbe ancora più difficile per lei che continuare a costruire ciò che ha già iniziato in Europa in questi tre anni. Oggi, i prezzi delle case in Ucraina sono troppo alti e gli stipendi non bastano a coprire il costo della vita: affitto, cibo, assistenza sanitaria e tutto il resto. Al massimo, immagina di tornare dopo la guerra, solo per riconnettersi con la sua cultura.

Per Tetiana, tuttavia, la distruzione in corso porta un diverso tipo di riflessione. "Più assisto alla devastazione del mio Paese, più diventa dolorosa", dice, "ma mi fa anche riflettere sul mio ruolo nella ricostruzione".

Da cittadina ucraina, si sente responsabile del futuro dell'Ucraina e di contribuire alla sua ripresa e alla costruzione della nazione. Tuttavia, evita di fare proiezioni definitive, perché pensare troppo al futuro la spaventa e la sua decisione di rimanere in Italia sarà influenzata da come si evolverà la sua vita personale. Resta molta incertezza per lei su quanto spesso potrà vedere i suoi genitori o cosa potrà fare da cittadina consapevole.

Vladyslava, una rifugiata ucraina della regione di Odessa, si trova ad affrontare un dilemma simile. Sta valutando l'idea di tornare in Ucraina almeno per un breve periodo dopo aver terminato gli studi in Italia, perché la sua famiglia è lì e crede che ci saranno molte opportunità di lavoro dopo la guerra, oltre ad una vita confortevole in termini di sistema sanitario, alloggio, cibo, cultura e comunità. Tuttavia, le sue relazioni personali si sono formate all'estero.

Non sono le uniche per cui la famiglia e il legame con la comunità sono uno dei fattori più importanti per il ritorno in Ucraina dopo la guerra. Un intervistato ucraino su due cita il desiderio di riunificazione, sebbene sia sempre un insieme di fattori, sia negativi che positivi, a determinare la decisione finale.

Pertanto, la sicurezza e la stabilità nella regione, che implicano non solo le minacce alla sicurezza da parte della Russia e la difficoltà economica dell'Ucraina, ma anche gli eventi geopolitici più ampi, influenzano negativamente la decisione delle persone di tornare.

Oggi anche i bambini ucraini seguono da vicino gli eventi mondiali e capiscono come la politica estera influenzi direttamente il loro futuro. Diana teme che un cambio nella leadership statunitense possa spostare l'attenzione dal sostegno all'Ucraina alla negoziazione di una rapida risoluzione che serva principalmente gli interessi americani e russi.

"Le perdite dell'Ucraina – territori, vite umane, risorse – non sembrano avere importanza. Gli Stati Uniti vogliono solo porre fine alla guerra alle loro condizioni", ha affermato Diana. Tali manovre geopolitiche potrebbero spingere l'Ucraina a stipulare un accordo sfavorevole che ne comprometterebbe la sovranità e la sicurezza a lungo termine.

Anche Tetiana sottolinea come le politiche estere, soprattutto di alcuni paesi dell'UE, abbiano un effetto diretto e dannoso sull'andamento della guerra. Indica i paesi che continuano a cooperare con la Russia o a indebolire le sanzioni. "Finché la Russia rimane un partner per alcuni, ha accesso alle risorse che mantengono in corso la guerra", ha spiegato.

Questa cooperazione non solo prolunga il conflitto, ma erode anche la capacità dell'Ucraina di riprendersi economicamente e di difendersi efficacemente. Ciò rende più difficile per gli ucraini immaginare un futuro sicuro e stabile, poiché per molti la questione del ritorno non riguarda solo le circostanze personali, ma anche se l'Ucraina sarà uno Stato sicuro e sovrano.

Fra gli altri fattori che influenzano la decisione di tornare ci sono barriere legali e amministrative, come le restrizioni militari e la cessazione della protezione temporanea, ma anche la discriminazione linguistica, l'impatto psicologico della guerra, l'integrazione e i legami sociali nei paesi ospitanti e l'assenza di una casa o di una rete di supporto a cui fare ritorno dopo la fine della guerra.

Sebbene il desiderio di tornare possa essere forte, i tempi e la probabilità variano significativamente a seconda della regione di origine. Le persone provenienti dall'est e dal sud dell'Ucraina hanno meno probabilità di tornare, soprattutto prima della fine della guerra. Queste regioni hanno subito alcuni dei combattimenti più intensi, occupazioni prolungate e distruzioni diffuse, rendendo l'idea del ritorno particolarmente difficile e incerta.

Storie di ritorno: adattarsi ad una patria cambiata

Sebbene la stragrande maggioranza degli ucraini attualmente non sia propensa a tornare, alcuni hanno già compiuto questo passo. Il motivo è semplice: "essere a casa è meglio, qualunque cosa accada", affermano Maryna e Shamsiiia, tornate rispettivamente a Kiev e Kharkiv. Madri di bambini piccoli, confidano quanto sia stato difficile affrontare la situazione da sole, senza le famiglie e i mariti al loro fianco.

Il secondo fattore più importante è stata l'incertezza legata alla guerra: "non sapere quando sarebbe finita, insieme alle difficoltà sociali, dalla ricerca di un alloggio alla difficoltà di socializzazione in un ambiente completamente diverso", continua Shamsiiia.

Entrambe raccontano che le difficoltà maggiori dopo il ritorno in Ucraina sono state l'adattamento all'Ucraina in guerra, la stanchezza dovuta alla mancanza di sonno e l'ansia costante dovuta ai continui allarmi aerei, insieme alle quotidiane interruzioni di corrente e riscaldamento causate dalle ostilità.

Shamsiiia ha impiegato 6 mesi per adattarsi e capire dove si trova, come vivere e prepararsi per andare al lavoro. È tornata nella città in prima linea, che viene bombardata ogni giorno e ha un aspetto completamente differente, diverso da quello che ricordava in tempo di pace. "Le regole di residenza in città sono cambiate e bisogna sapere come comportarsi durante un'allerta aerea, quando si può uscire, conoscere la mappa dei rifugi", dice.

Il desiderio di tornare all'estero rimane una costante per lei. "Ogni giorno, quando succede qualcosa, delle persone muoiono, il posto che conosci viene preso di mira, ti fa dubitare di stare facendo la cosa giusta restando a casa", spiega Shamsiiia. "Ma poi tutto si calma, e anche tu ti calmi: è una sorta di ritmo a cui ti abitui." Per capirlo, basta essere a Kharkiv, perché la vita lì è completamente diversa.

Shamsiiia racconta che sua madre, che vive all'estero, le dice spesso di voler tornare. Ma quando descrive a cosa vorrebbe tornare, descrive la vita tranquilla che avevamo prima. Quella vita non esiste più. "Sì, le persone vanno al lavoro, prendono i mezzi pubblici, vanno al bar, ma ora è tutto diverso".

Tuttavia, dopo un periodo di adattamento, Shamsiiia ha trovato una certa stabilità, alcune cose hanno iniziato a darle un punto di riferimento, ed è diventato molto più difficile staccarsene. Quindi, cerca di normalizzare la sua vita e di riportarla ai suoi punti fermi.

Questo sondaggio ha coinvolto 73 intervistati e non è statisticamente rappresentativo. I risultati illustrano le tendenze del campione, ma non devono essere considerati conclusivi o generalizzabili a causa del campione piccolo e potenzialmente distorto.

 

Unisciti alla MigraVoice Superpower Community, una comunità transfrontaliera di esperti con esperienze migratorie che mettono a disposizione dei media e dei giornalisti europei le loro competenze e conoscenze come fonti autorevoli e affidabili in un'ampia gamma di discipline. L'iniziativa mira a contrastare la de-umanizzazione ed esclusione delle voci di migranti e rifugiati dalle narrazioni dei media europei tradizionali, avvalendosi anche di una piattaforma digitale all'avanguardia.
 

Questo articolo è stato prodotto nell'ambito diMigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell'Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell'Unione europea.


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!