Dubrovnik, foto di Ivo Danchev

La terza edizione di Terra Madre Balcani si è tenuta a Dubrovnik. Più di duecento i delegati Slow Food arrivati da tutti i Balcani

11/09/2014 -  Francesco Martino Dubrovnik

Le mura di pietra candida biancheggiano nel sole abbagliante di fine giugno. Nella calura onnipresente dell'estate piena, sembrano quasi galleggiare sulle acque assopite dell'Adriatico, appena mosse dalla brezza leggera che spira dall'entroterra. Dall'alto della cima spoglia del monte Srđ, che domina l'antica repubblica marinara, Dubrovnik appare come un vascello dalle fiancate di pietra alte ed impenetrabili, morbidamente adagiato sulle rive frastagliate della costa dalmata.

Dubrovnik come un'Arca ante-litteram? Forse è solo una suggestione, ma le suggestioni - si sa - sono spesso gravide di intuizioni più profonde. Ecco allora che la scelta di tenere nella “perla dell'Adriatico” la terza edizione di Terra Madre Balcani, questa volta con un forte accento su ruolo, significato e prospettive dei prodotti raccolti nell'Arca del Gusto, all'improvviso appare tutt'altro che casuale.

Dopo le due edizioni di Sofia, capitale della Bulgaria, oltre duecento delegati Slow Food provenienti da undici paesi dei Balcani (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Kosovo, Montenegro, Macedonia, Romania, Serbia e Turchia), quest'anno – dal 19 al 22 di giugno - si sono dati appuntamento in Croazia, recentemente divenuta il ventottesimo paese membro dell'Unione europea.

“L'obiettivo principale di un incontro come questo, naturalmente, si nasconde nell'incontro stesso. Confrontarsi, mettere in comune e riscoprire le esperienze di una regione, come i Balcani, segnata una comunanza profondissima di tradizioni nei processi di produzione e consumo del cibo. Legami culturali vivi, seppur declinati in una moltitudine di realtà e prodotti alimentari particolari e unici”.

Discutiamo con Ivo Kara-Pešić, animatore dell'organizzazione Kinookus e co-organizzatore dell'edizione croata di Terra Madre Balcani, sotto le ampie fronde dei pini marittimi che punteggiano il parco cittadino di Gradac. Siamo a poche centinaia di metri dal centro storico di Dubrovnik: nel parco, adagiato su un ripido crinale di calcare che si getta nelle onde argentate dell'Adriatico, è stato sistemato il Mercato della Terra, uno dei pilastri della manifestazione. Quest'anno, a Dubrovnik, in trentadue stand allineati sui vialetti del parco erano rappresentate ben 68 comunità del cibo, provenienti da tutti i paesi dell'Europa sud-orientale.

Secondo Kara-Pešić, non solo tradizioni, ma anche sfide e pericoli che oggi minacciano il patrimonio culturale e alimentare della regione, segnato (ancora) da un'eccezionale spettro di diversità, sono in larga parte comuni . Ecco perché, nel tentativo di cercare risposte condivise, accanto al Mercato è stato organizzato un forum nella vicina sede dell'Università di Dubrovnik, altro momento di fondamentale confronto e discussione nell'edizione 2014 di Terra Madre Balcani.

“L'Arca del Gusto è e rimane uno strumento imprescindibile nel processo di preservazione della diversità di cibo e cultura nella nostra regione”, dice nel suo articolato intervento nell'aula magna dell'Università Desislava Dimitrova, consigliere di Slow Food internazionale per i Balcani. “I prodotti dell'Arca non possono e non devono però restare una lista di 'specie da proteggere', fine a sé stessa. Per garantire la sostenibilità sul lungo periodo, ne va rilanciato il ruolo vitale nei processi culturali, ma anche economici delle comunità che li esprimono”.

Un obiettivo che, sul terreno, si scontra con una situazione tutt'altro che facile. Nei Balcani, le comunità del cibo sono oggi estremamente isolate e fragili. Il convulso e doloroso passaggio dal sistema politico comunista e dall'organizzazione centralizzata dell'economia (che nella regione hanno risparmiato solo la Grecia e la Turchia) al turbo-capitalismo che ha accompagnato la lunga transizione (spesso incompiuta) verso democrazia ed economia di mercato, ha approfondito ancora di più l'abisso tra mondo contadino e città, spingendo ad un'emigrazione che ha letteralmente dissanguato le campagne.

“Oggi convincere i giovani a scommettere sul proprio territorio, a rinunciare alla chimera della fuga verso i grandi centri, o verso altri paesi, in cerca di maggiori opportunità e di una vita migliore, diventa sempre più difficile”, è l'amara constatazione della Dimitrova.

“L'accento dei regimi socialisti sulla superiorità della produzione industriale ha poi lasciato un'eredità pesante anche a livello culturale”, chiosa durante il suo intervento uno dei delegati dell'Albania. “Gli stessi contadini e pastori dei Balcani sono stati convinti che i prodotti che escono – sempre uguali e standardizzati - dalle macchine, sono migliori di quelli, 'imperfetti', creati dalle mani dell'uomo”.

Altro problema comune, emerso a Dubrovnik, è il lento e inesorabile processo di sostituzione delle razze e varietà locali, selezionate nei secoli ed adattate al clima e alla geografia spigolosi della penisola balcanica, con altre “allogene” e più produttive. Una maggiore produttività raggiunta, ancora una volta, a scapito del patrimonio millenario di diversità.

“Molti dei prodotti e delle varietà, unici e irripetibili, che oggi possiamo gustare sugli stand del Mercato della Terra, sono stati creati dai nostri antenati per rispondere alla più primordiale delle sfide: sopire i morsi della fame”, dice Antigona Kostadinova, del presidio dello “slatko” di fichi selvatici della Macedonia meridionale. “Un processo millenario, fatto di successi ed errori, di ingegno e disperazione. Perdere un prodotto, significa perdere tutto questo: la storia irripetibile che ci lega alla nostra terra”.

Secondo molti dei delegati, l'eredità di decenni di regimi “chiusi” pesa ancora molto sull'atteggiamento delle amministrazioni dell'Europa sud-orientale nei confronti delle energie e delle richieste di cambiamento che provengono - sempre più spesso - dalla società civile. Burocrazie ed apparati fatti per punire chi si opponeva al pensiero unico, oggi si adattano lentamete e in modo ancora incompleto ad un ruolo nuovo ed inedito: supportare ed accompagnare le richieste di flessibilità e salvaguardia delle diversità. Anche per quanto riguarda il cibo.

La difficile comunicazione con le autorità locali ha quindi creato un po' dappertutto nei Balcani speranze crescenti nel ruolo dell'Unione europea quale catalizzatore del cambiamento. Oggi lo “status europeo” nell'area è molto variegato. Alcuni paesi, come Bulgaria, Romania e (recentemente) Croazia sono membri a pieno titolo dell'Ue. Altri (Serbia, Montenegro, Albania) sono ufficialmente candidati alla membership. Altri ancora (Bosnia-Erzegovina, Kosovo) hanno situazioni politico-istituzionali complesse, ereditate dai sanguinosi conflitti degli anni '90, ed appaiono ancora molto lontano dall'Unione. Una situazione complessa, che non aiuta l'elaborazione di strategie ed approcci “balcanici” comuni.

Ma anche senza contare le traversie politiche della regione, in questi anni nei Balcani l'Ue ha raccolto un bilancio fatto di luci ed ombre. Per quanto riguarda il cibo, i punti dolenti riguardano soprattutto le direttive sul rispetto delle norme igieniche, croce e delizia dei piccoli produttori legati a processi e ricette tradizionali. “Siamo consapevoli delle critiche. Vorrei aggiungere, però, che il tanto contestato 'pacchetto igiene' contiene già molte deroghe e misure di flessibilità”, è la risposta di Paolo Caricato, della Direzione Generale Commissione Salute e Consumatori , alle lamentele che arrivano dalla sala gremita. “Certo, l'applicazione di tali possibilità è legata a capacità e volontà amministrativa locale. Il principio guida dell'Unione è la sussidiarietà: la convizione, cioè, che gli stati membri siano le autorità più adatte a trovare soluzioni locali a problemi locali”.

Approccio da sottoscrivere in linea di principio, ma che nei Balcani crea oggi un evidente cortocircuito. “Ma è da qui, da questa consapevolezza, che bisogna partire, tutti insieme”, dice convinta Desislava Dimitrova. “Se non trasformiamo il cortocircuito in motore, rischiamo di perdere la sfida. E se succede, non avremo diritto a nuovi tentativi”.


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