Tende di fronte al Parlamento (Foto Michele Biava)

Tende di fronte al Parlamento (Foto Michele Biava)

Martedì 20 marzo circa mille veterani delle forze armate della Bosnia Erzegovina si sono radunati a Sarajevo, di fronte al Parlamento. Sono ex nemici della guerra '92-'95. Vent'anni dopo, con una protesta unitaria e pacifica, chiedono il versamento delle pensioni. Nostra intervista a Senad Hubjer, presidente dell’associazione dei militari pensionati

30/03/2012 -  Michele Biava Sarajevo

Chi siete e per quale motivo state manifestando?

Siamo ex appartenenti all’esercito della Republika Srpska (RS), all’esercito della Bosnia Erzegovina (Armija BiH) e all’esercito croato HVO. Rappresentiamo tutti e tre i popoli che hanno preso parte alla scorsa guerra in Bosnia Erzegovina. Siamo veterani. Alla fine del conflitto siamo rimasti in servizio nelle forze armate della Bosnia Erzegovina fino al 2010. Molti di noi sono invalidi, hanno riportato malattie o menomazioni nel corso della guerra o dopo, durante il servizio nelle forze armate. Non ci è stato concesso di restare nell’esercito perché siamo troppo anziani, malati o per altri motivi. Il Parlamento della Bosnia Erzegovina ha emanato una legge secondo cui tutti coloro che sono stati congedati e rispondono ai criteri previsti, cioè di aver prestato servizio durante la guerra e nei quindici anni successivi, hanno diritto al pensionamento. Dal primo settembre 2010 però, data in cui è stata approvata la legge, aspettiamo che questa venga applicata e che vengano versate le pensioni.

Perché avete scelto il Parlamento per la protesta?

Perché in questi giorni si approva il bilancio statale per il 2012. Noi siamo stati mandati in pensione in modo definitivo, ma i fondi per i sussidi non vengono erogati. Il ministro dell’Economia, Nikola Špirić, dell’SNSD [Unione dei Socialdemocratici Indipendenti, ndr], incaricato di definire il budget per il 2012, non procede. Negli scorsi giorni ha escluso dalla pianificazione del bilancio oltre 30 esperti del ministero delle Finanze, per gestire individualmente dal suo gabinetto la questione secondo le direttive di Milorad Dodik [presidente della RS, ndr]. Ha proposto un budget statale ridotto ai minimi termini: 950 milioni di marchi convertibili, appena sufficienti per pagare le spese vive delle varie istituzioni e i sostanziosi stipendi dei loro impiegati.

Noi ci siamo radunati per chiedere ai politici che lavorano in questo palazzo di rispettare le leggi della Bosnia Erzegovina, perché agiscano secondo quanto queste prevedono, null’altro. Non siamo venuti a chiedere la carità, chiediamo che ci sia riconosciuto ciò che abbiamo guadagnato col sangue e che ci è stato riconosciuto per legge.

Che effetto fa trovarsi tutti insieme?

Ai politici disturba la nostra unità. Per la prima volta sta accadendo che persone che si sono sparate addosso e che si trovavano l’uno contro l’altro durante la guerra, serbi, croati, bosgnacchi, vengano qua insieme e insieme chiedano siano rispettati i propri diritti.

Credo che abbiamo sorpreso i politici con la nostra unità, loro fanno litigare la gente e non ci danno la possibilità di stare insieme, così come eravamo prima di questa guerra, vent’anni fa. Eravamo un solo popolo, a nessuno interessava chi andava in moschea e chi in chiesa. Hanno usato lo strumento della politica per metterci l’uno contro l’altro. Si è arrivati al conflitto. Adesso che la guerra è finita fanno di tutto per impedirci di essere nuovamente “fratelli” come eravamo una volta. Credo che l’esempio che stiamo dando qua sia per loro un duro colpo.

Visita la galleria fotografica "Sarajevo: le proteste dei veterani". Foto e testi di Maja Husejić

Noi siamo quelle persone che loro hanno messo l’una contro l’altra, ci siamo sparati addosso da parti nemiche, ora siamo arrivati a incontrarci, frequentarci di nuovo, far crescere insieme i nostri bambini e cercare insieme il rispetto della legge che ci appartiene, serbi, croati e bosgnacchi. Per tre giorni siamo stati in sciopero della fame. Gli ex nemici erano uno accanto all’altro, tutti in sciopero della fame a rischiare un’altra volta la vita, ma questa volta insieme.

Le persone che ci hanno usato per i loro disegni, e che ci hanno portato a questa guerra, non rispettano i nostri diritti. Siedono lassù nei loro uffici e forse ci guardano dalla finestra... Chi siamo noi per loro?

I giorni scorsi pare abbiano capito che siamo pronti a tutto. Siamo stati almeno vent’anni nell’esercito. Noi siamo sicuri di avere ragione, non ce ne andremo finché non saranno fino in fondo rispettati i nostri diritti, a costo di morire. Devono rispettare la legge, se entro la prossima seduta del Parlamento non saremo presi in considerazione, gli avvocati che abbiamo ingaggiato denunceranno Špirić perché si proceda contro di lui per violazione della legge di bilancio della Bosnia Erzegovina. Crediamo nella giustizia di questo Paese, prima o poi ci sarà giustizia. Chiediamo a tutti i cittadini di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina di appoggiarci perché non sono in gioco solo le nostre pensioni, ma i diritti di tutti, quello che oggi viene fatto a noi domani verrà fatto agli altri.

Qualcuno ha tentato di dividervi?

Due giorni fa il rappresentante dei nostri colleghi della Republika Srpska, Rade Dželatović, è stato convocato dal presidente della RS Milorad Dodik, che gli ha ordinato di ritirare i suoi uomini dicendo che non possono stare qui davanti al Parlamento centrale. Hanno cercato così di dividerci per poter sostenere che davanti al Parlamento della BiH protestano solo i bosgnacchi e i croati ma i serbi no, i serbi sono a parte. Lui si è rifiutato e ha detto che continueremo fino alla fine, chiediamo solo l’applicazione della legge, nient’altro. Siamo orgogliosi di questi colleghi della RS, andiamo avanti insieme fino alla fine. Non importa se ci siamo sparati addosso e feriti. Io sono stato ferito tre volte, magari mi ha ferito proprio qualcuno dei colleghi che sono sdraiati lì, ma la politica allora era così. Noi siamo gente comune che è stata ingannata, abbiamo creduto alle politiche nazionaliste e questo è quanto. Ma ci appelliamo a che questo non si ripeta, non consentiremo a che si faccia ai nostri figli ciò che è stato fatto a noi.

Noi cerchiamo di nuovo la normalità, nonostante i signori qua sopra non lo vogliano. Non vogliamo più farci la guerra, non ci ammazzeremo più, vogliamo vivere come persone normali. Loro fanno tutto il possibile perché ciò non avvenga, questo è il modo in cui tentano di mantenere il potere. Manipolando le persone. Noi li avvertiamo anche che non glielo consentiremo più. Invitiamo anche gli altri cittadini a unirsi a noi e a ragionare in questo modo.

Come reagisce la cittadinanza alla vostra protesta?

Finora è stata fatta molta disinformazione. Siamo stati descritti come dei giovani che vogliono una pensione invece di lavorare. Loro [i politici] hanno detto che non siamo più in grado di lavorare, loro hanno approvato questa legge e ci hanno mandato in pensione. Credo che con almeno vent’anni di servizio nelle forze armate ce la siamo anche guadagnata. Adesso chiediamo solo che ci sia riconosciuto il sussidio previsto per dare da mangiare alle nostre famiglie visto che non possiamo più lavorare.

Nello scorso anno e mezzo è stato buttato fumo negli occhi degli altri cittadini. Negli ultimi sette giorni però le cose sono cambiate. Vediamo arrivare la gente di Sarajevo a offrirci aiuto, a sostenerci con cibo e acqua.

Nei giorni scorsi diverse organizzazioni non governative di Sarajevo ci hanno fatto visita. Sono venuti anche rappresentanti di altre organizzazioni di veterani, ci hanno dato sostegno morale, ci hanno offerto di unirsi a noi. Per ora abbiamo rifiutato, ma se la situazione non si sbloccherà siamo in grado di portare davanti al Parlamento davvero tante persone.


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