
L'Aja, Olanda, sede della Corte penale internazionale - © Friemann/Shutterstock
Lubiana punta molto sulle istituzioni internazionali, tra cui la Corte penale internazionale: la giudice slovena Beti Hohler è stata ora sanzionata dagli USA per il suo ruolo nelle indagini sui crimini della leadership israeliana a Gaza, scatenando polemiche interne
Quattro giudici della Corte penale internazionale sono finiti nel mirino dell’amministrazione statunitense. Il governo federale ha annunciato sanzioni contro, l’ugandese Solomy Balungi Bossa, la peruviana Luz del Carmen Ibáñez Carranza, la beninese Reine Adelaide Sophie Alapini Gansou e la slovena Beti Hohler.
Il segretario di stato Marc Rubio non ha dubbi: “Questi quattro individui hanno attivamente preso parte ad azioni infondate e illegittime” contro l’America ed Israele.
Nodo del contendere le indagini fatte sui soldati americani in Afganistan e quelle che hanno fatto scattare un mandato di cattura internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant per quanto sta accadendo a Gaza.
Proprio quest’ultimo filone di indagini vede coinvolta attivamente la giudice slovena Beti Hohler. Ora Lubiana chiede a Bruxelles di tutelarla attivando lo “statuto di blocco” per neutralizzare l‘effetto delle sanzioni nei suoi confronti nell’Unione Europea. La procedura non è semplice e il consenso dovrà essere ampio.
Andiamo con ordine. Per la Slovenia avere un posto nelle istituzioni internazionali è importante. Serve a valorizzare lo stato e a dire che il diritto internazionale conta.
Lubiana, in rapida successione, dopo aver conquistato un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed essersi accasata anche nel Consiglio economico sociale dell’ONU, alla fine del 2023 ha ottenuto un posto nella Corte penale Internazionale, il tribunale fondato per giudicare i crimini di guerra.
Immancabile la soddisfazione della leadership slovena per l’avvenuta nomina. La Hohler, dal canto suo, non ha mancato di rimarcare l’importanza di simili strutture per i paesi piccoli e di puntare il dito contro le pressioni che arrivano dai grandi paesi intenti a minare l’attività dell’alta corte.
Il tribunale, che aveva messo nel mirino Vladimir Putin, per i crimini di guerra commessi dai suoi soldati nell’invasione dell’Ucraina, non è riconosciuto dalla Russia e nemmeno da Stati Uniti, Cina e Israele.
La Hohler è stata coinvolta nel dossier Gaza quando la sua collega romena ha alzato bandiera bianca per motivi di salute. Sulla sua nomina gli israeliani hanno subito sollevato obiezioni, accusandola di non essere imparziale, visto che aveva lavorato per la pubblica accusa del tribunale.
Tel Aviv ha subito bollato come scandalosa la decisione di perseguire i vertici politici del paese ed ha accusato la corte di antisemitismo. Il provvedimento, arrivato nel dicembre scorso, è stato considerato inaudito dal presidente statunitense in carica Joe Biden, mentre gli uomini della nuova amministrazione Trump avevano subito preannunciato sanzioni, che adesso sono arrivate.
Ingresso vietato negli Stati Uniti e tutta una serie di altri disagi. Il procuratore capo della corte, il britannico Karin Ahmed Khan, ad esempio, si è trovato di colpo con i conti correnti congelati in patria ed anche con la casella di posta elettronica disattivata dal colosso statunitense dell’informatica che la gestiva.
Al momento non è chiaro quali siano le conseguenze per la Holher, ma qualcuno da Lubiana fa notare che il suo collega francese, che anch’esso faceva parte del collegio che ha deciso di procedere contro i vertici israeliani, non è stato sanzionato.
A essere colpite sono così solo delle giudici che provengono da paesi piccoli. Intanto c’è chi si chiede che paese sarebbe effettivamente disposto a dar seguito ai mandati di cattura e consegnare al tribunale il presidente russo o il premier israeliano se si presentasse ai suoi confini.
Non è accaduto nemmeno a pesci molto più piccoli, come nel caso dell'ufficiale libico Najeem Osema Almasri Habish, arrestato in Italia su mandato della Corte Penale Internazionale e successivamente rilasciato e rimpatriato.
Per la Slovenia e per il suo governo di centrosinistra la questione palestinese sta assumendo una rilevanza sempre più importante. Lubiana si è fatta sentire anche al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, facendosi promotrice, assieme agli altri membri non permanenti, di una risoluzione per fermare il conflitto.
Si chiedeva l’immediata cessazione delle ostilità, il rilascio degli ostaggi e l’arrivo di aiuti umanitari. Alla fine, tutto si è arenato di fronte al veto statunitense e a nulla sono valsi i sì degli altri 14 membri dell’organismo.
Per molti l’impegno di Lubiana è benvenuto, per altri, invece, ci vorrebbe più prudenza. La Presidente della Repubblica, Nataša Pirc Musar, ha usato il termine “genocidio” in un recente discorso di fronte al parlamento europeo.
L’eurodeputato democratico Branko Grims l’ha invitata ad occuparsi del “genocidio” che sarebbe andato in scena in Slovenia alla fine della Seconda guerra mondiale, quando i comunisti misero a ferro e fuoco il paese.
A far salire ulteriormente il livello della polemica è stato l’ex presidente Borut Pahor, che, pur sottolineando che laggiù stanno accadendo cose orribili, ha precisato che lui il termine “genocidio” non l’avrebbe utilizzato.
Le due prese di posizione hanno scatenato la solita ridda di polemiche. Per qualcuno i due politici non avrebbero dovuto aver spazio in televisione con le loro tesi.
Più che le affermazioni di Grims, considerato un prode scudiero del leader indiscusso del centrodestra Janez Janša, ad irritare il centrosinistra sono le posizioni di Pahor, ritenuto sempre di più un “traditore”.
Lui, che arriva dalla Lega dei comunisti e dalle sue emanazioni democratiche, già da capo del governo aveva puntato il dito contro i poteri forti che avrebbero voluto manovrarlo da dietro le quinte.
Rottamato dal governo e dal suo partito ha saputo riconquistare la scena prendendosi la poltrona di Capo dello Stato e da lì ha sempre cercato un dialogo con il centrodestra.
Uscito dal palazzo presidenziale, troppo giovane per andare in pensione, sperava di poter giocare un ruolo in diplomazia o nella politica internazionale. Nessuno l’ha chiamato. Adesso vive facendo conferenze, promuovendo integratori alimentari ed altri prodotti.
Abituato alle polemiche, non se l’è presa più di tanto per la levata di scudi che hanno suscitato le sue affermazioni. Nel suo stile ha risposto con un breve post sui social.
Pedalando in bicicletta ha detto che nella vita bisogna pensare con la propria testa, anche se alcuni pensano che si debba pensare con la loro. Poi, ridendo, ha aggiunto che, se si vuole pensare con la propria testa, alcune volte è meglio avere il casco sulla testa.
Un ottimo consiglio per chi fa politica. Ed anche per coloro che amano andare in bicicletta.
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