(flickr/René Gademann)

Domenica in Romania si è imposto al secondo turno delle presidenziali l'outsider Klaus Iohannis. Contro tutti i pronostici l'elettorato romeno lo ha scelto contro l'attuale premier Ponta. Le reazioni nel paese e all'estero

18/11/2014 -  Mihaela Iordache

Klaus Werner Iohannis, 55 anni, conservatore, è il nuovo presidente della Romania. Iohannis si è imposto al ballottaggio per le elezioni della carica più alta dello stato, ottenendo il 54,5% dei consensi contro il 45,49% guadagnato dall'attuale premier - alla vigilia grande favorito - Victor Ponta. La partecipazione al voto è stata di oltre il 62%, rispecchiando il desiderio di cambiamento ma anche la strenua lotta tra i due candidati.

I sondaggi davano favorito Ponta. Quest'ultimo al primo turno aveva distanziato di quasi dieci punti il proprio contendente ma evidentemente Iohannis è riuscito a convincere i romeni di essere la persona più adatta a guidare il paese nei prossimi cinque anni.

Klaus Iohannis (sindaco di Sibiu in Transilvania dal 2000), era candidato per l'Alleanza cristiano-liberale, ed è appartenente alla minoranza tedesca della Romania. Nel suo primo discorso dopo la conferma della vittoria, Iohannis ha promesso che lavorerà per garantire l'indipendenza della magistratura e perché si continui con convinzione la lotta alla corruzione. Due temi non casuali, perché Ponta ha convinto poco proprio in questi ambiti.

Secondo la Costituzione romena, tra le competenze specifiche del presidente vi sono politica estera, difesa e nomina dei responsabili dei servizi segreti.

Voto all'estero

Al primo turno migliaia di persone non avevano potuto votare all’estero, a causa dei pochi seggi messi a disposizione dal governo. A Torino e Parigi i cittadini romeni in fila davanti ai seggi sono stati allontanati dopo la chiusura di questi ultimi in alcuni casi con gas lacrimogeni. Nelle grandi città della Romania, come Cluj o la capitale Bucarest, appena arrivate le immagini di quel diritto violato, decine di migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro il governo e il modo in cui aveva organizzato le elezioni per la diaspora.

Per molti analisti lo sdegno per il voto all'estero sarebbe stata la chiave di volta per la vittoria di Iohannis. Dopo l’annuncio della vittoria e dopo l'ammissione di sconfitta da parte di Ponta ha ammesso la sconfitta, le proteste di strada si sono trasformate in una festa, ricordando i giorni della vittoria della Rivoluzione romena di 25 anni fa.

Dichiarazioni

Dopo la sconfitta, il premier social-democratico si è rivolto innanzitutto al suo partito: “Ora dobbiamo avere la decenza di tacere. Ha poi aggiunto che non ha intenzione di dimettersi dalla carica di premier. Si è invece dimesso il ministro degli Esteri Teodor Meleșcanu, che ha sostituito pochi giorni fa il collega Titus Corlățean. Quest'ultimo non era riuscito a sopravvivere alle polemiche per la caotica organizzazione del voto all'estero al primo turno, Meleșcanu non è invece sopravvissuto al secondo.

Parla con molta calma Iohannis: “Cari romeni mi avete votato in oltre 6,2 milioni come presidente della Romania. Ringrazio tutti coloro che ieri (domenica, ndr) sono usciti di casa per votare, un'affluenza fenomenale di oltre il 62%, la sorpresa migliore di queste elezioni”.

Persona pratica, amante dei fatti più che delle parole, il nuovo capo di stato romeno ha ribadito: “La campagna elettorale è passata, ora dobbiamo iniziare a metterci al lavoro. Io sono disposto ad iniziare a lavorare in modo molto serio e deciso. I romeni hanno dato il segnale di un cambiamento profondo in Romania. E’ un segnale forte, sia per me che per l’intera classe politica”.

“Da persona civile, che chiede e dà rispetto" (durante la campagna elettorale aveva detto che avrebbe preferito perdere piuttosto che offendere qualcuno, ndr) Iohannis ha pregato i partiti politici di iniziare a discutere della legge del voto elettronico e il voto per corrispondenza: “Non voglio che accada mai più quello che è accaduto alle comunità della diaspora. E’ inammissibile”. Il noepresidente ha inoltre chiesto al Parlamento di riunirsi e di far cadere la legge voluta dal Partito socialdemocratico guidato da Victor Ponta che prevede l’amnistia e la grazia per le persone condannate a meno di sei anni di prigione. Una legge considerata fatta su misura per i politici corrotti che sono indagati o già in carcere.

“Il tedesco”, come viene chiamato in Romania, ha anche inviato un “messaggio positivo” ai partner internazionali, e ha assicurato: “Continueremo il partnenariato strategico con gli USA, il ruolo e il nostro posto nella NATO non sono in discussione”. “Proverò che la Romania è un partner serio, e degno di fiducia”, ha aggiunto Iohannis. Concludendo: “Cari romeni, sarò il presidente dei romeni. Sarò un presidente libero, vi rappresenterò”.

All'estero e in patria

L’elezione di un rappresentante della minoranza tedesca, un luterano (in un paese dove quasi il 90% della popolazione è di fede cristiana ortodossa) ha suscitato grande interesse anche nella stampa estera e la radio tedesca Deustche Welle si è spinta a tracciare un parallelo con l’elezione di Obama negli Stati uniti.

In Romania i media hanno sottolineato che per gli elettori non ha contato né l’etnia, né la religione del candidato. Il voto romeno è stato un voto contro il socialdemocratico Ponta che non è riuscito a convincere gli elettori del fatto di essere alla guida di un partito riformato, dando l'impressione, piuttosto, di essere guidato da un partito erede di quello comunista. 

La lotta alla corruzione e l’indipendenza del settore giudiziario sono stati argomenti chiave della campagna elettorale, e ad essere più credibile è stato Iohannis, il cui slogan è stato “La Romania delle cose ben fatte”. Nel paese c’è chi parla di una “rivoluzione di velluto” e c’è chi dice che si tratta del più importante voto dopo la caduta di Ceausescu nel 1989.

Anche la chiesa ortodossa ha cambiato posizione. Se durante la campagna elettorale si era schierata dalla parte di Ponta, il patriarca ortodosso romeno, Daniel, ha parlato durante un’omelia ad urne aperte, ricordando che “nella storia del popolo romeno, come risposta alle sue preghiere per acquisire le libertà e l’unità nazionale, spesso Dio si è avvalso anche di persone estranee alla nostra nazione”. E i media non hanno lesinato i paralleli storici: nel 1866, il principe tedesco Carol de Hohenzollern-Sigmaringen venne proclamato Signore per assicurarsi l’appoggio tedesco nella battaglia per l’indipendenza della nazione romena. Nel 1877 Carol guidò con successo le forze armate romene nella guerra di indipendenza, per poi essere incoronato Re della Romania nel 1881.

Con le elezioni di domenica scorsa i romeni hanno quindi scritto una nuova pagina di storia. Ora le aspettative sono enormi. La Romania resta il secondo paese più povero dell’Unione Europea e il più corrotto. Negli ultimi anni la lotta alla corruzione ha registrato passi importanti e Klaus Iohannis, che dal 22 dicembre sarà il nuovo inquilino del Palazzo Cotroceni di Bucarest (la sede della Presidenza romena), ha promesso che le cose saranno fatte bene. Perché la Romania deve diventare "il paese delle cose ben fatte.”


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