Una delle maggiori minacce alla libertà di stampa in Romania è la chiusura dei canali di distribuzione di giornali e di riviste. A partire dalle edicole della capitale Bucarest. Un editoriale

09/10/2017 -  Sever Voinescu

(Pubblicato originariamente da Dilema Veche , partner del programma ECPMF, nell'edizione del 28 settembre - 4 ottobre 2017)

Gli edicolanti hanno annunciato la settimana scorsa che, nel settore 4 della capitale, il comune li reprimeva semplicemente chiudendo loro i chioschi in modo abusivo. Nel momento in cui scrivo queste righe si sta giusto organizzando uno sciopero di un giorno degli edicolanti di Bucarest. Il comune del settore nega le accuse, giura di andare a dormire la sera e di risvegliarsi al mattino con la libertà di stampa fissa in mente, che vi si inchina come fosse un’icona sacra, e dà le cifre: solo nell’ultimo anno, sono stati autorizzate decine di edicole. Gli edicolanti dicono il contrario, che nell’ultimo anno il comune li fa continuamente spostare per tutto il settore, che rifiuta loro le autorizzazioni, che mette loro addosso la polizia municipale.

A prima vista si direbbe che ci troviamo in una di quelle tipiche situazioni della Dîmbovița [una regione di cui si dice in Romania vi siano spesso litigi e confusione per futili motivi, ndr], confusa e rumorosa, in cui i proprietari dei chioschi litigano col comune. Tuttavia, questo incidente è solo un episodio di una tragedia che dura da troppi anni: il crollo delle reti di distribuzione della stampa.

Nella Romania del 2017, intere città non hanno più neanche un punto di diffusione della stampa. Per non parlare delle zone rurali: lì quasi più nessun editore di giornali si metterebbe in mente di arrivare. Le grandi arterie delle nostre grandi città sono prive di punti di diffusione della stampa. Interi quartieri non hanno neanche un chiosco. Le riunioni mensili delle direzioni delle pubblicazioni iniziano, invariabilmente, con l’annuncio che uno, o due, o tre distributori locali sono scomparsi dall’incontro precedente.

Non sono pochi quelli che sostengono che stiamo assistendo ad un tacito, lento e trans-partitico sforzo di assottigliare il più possibile il legame tra la stampa e il pubblico. Un pubblico più numeroso assicura, di fatto, l’indipendenza della stampa, in quanto le permette di autofinanziarsi. Al contrario, un pubblico più ristretto porta, da una parte a salari ridotti nella stampa – cosa che rende impossibile l’assunzione di personale di qualità – e, dall’altra, ad un bisogno di sopravvivenza attraverso immissioni di denaro portate da imprenditori coinvolti in altri affari, fatto che mette la stampa direttamente nelle loro tasche e la trasforma in una marionetta servile.

Abbiamo la stampa che abbiamo, in primo luogo, perché non abbiamo lettori. Ed ecco che una delle cause più importanti del perché non abbiamo lettori è la limitazione, fin quasi al soffocamento, dell’accesso alle sue pubblicazioni. La situazione è la stessa anche nel mercato del libro e la mancanza di librerie è direttamente collegata al fatto che i rumeni sono coloro che leggono di meno nell’UE. Stessa situazione nel mercato del cinema: a cosa serve avere qualche eccellente cineasta a Bucarest se non esistono più cinema nel paese? Nello stesso stato è anche il mercato della musica con la mancanza di sale da concerto che fa sì che abbiamo uno dei più insignificanti mercati della musica in Europa. Sento dire che, in Romania, un paese con quasi 20 milioni di abitanti, un disco d’oro significa vendere 5000 album, ovvero esattamente quanto a Singapore (5.6 milioni di abitanti) o in Islanda (quasi 400.000 abitanti)! Facciamo la figura dei primitivi e degli idioti con questa mancanza d’interesse verso lo sviluppo delle infrastrutture atte a sostenere una relazione il più ampia possibile tra creatore e pubblico. Riusciremo mai a capirlo?

In generale, il legame tra la cultura nel senso più ampio e le persone è, da noi, una specie di stretto ponte di corde che vacilla ogni volta che un sindaco aizza i cani contro un chiosco sul quale è presente qualsivoglia parola scritta. Non mi stupisce che, davanti a questa realtà, sia fiorito il cospirazionismo. Qualcuno ci vuole fessi, credo in molti. Perché ci vogliono fessi? Qui la risposta è imprecisata: per derubarci, per manipolarci o per raggirarci, ebbene non è chiaro. Chi ci vuole fessi? Qui, l’immaginazione del rumeno erompe e indica precisamente il nemico: i russi, gli americani, il Mossad, gli ungheresi, quelli del PSD, quelli di Băsescu, i massoni, Soros, il nuovo ordine mondiale, la finanza, le cancellerie, etc. – il menù è enorme e ognuno sceglie quello che più gli aggrada. Ma se, tanto per dirne una, nessuno ci volesse fessi, ma fossimo noi a renderci tali, ogni giorno, di ora in ora, e a seconda dei gusti?

So che ogni perorazione pro domo sua è accolta con la massima sfiducia in Romania, il paese della sfiducia cronica. Ma, ci provo. Soprattutto perché la mia perorazione è solo secondariamente a favore della nostra casa, la rivista Dilema Veche. La mia perorazione è, invero, per la difesa della libertà di stampa, per i nostri diritti, per quelli dei giornalisti di scrivere per voi, e per il vostro diritto di avere accesso a quello che scriviamo noi. Per di più, anche noi che scriviamo gli articoli che voi leggete siamo lettori a nostra volta. Pertanto, quando affermo che la mia perorazione è, di fatto, per noi tutti, non mi sbaglio. È una perorazione per la salute della società in cui viviamo, poiché le vie di comunicazione tra chi fa la stampa e il pubblico devono essere, in ogni momento, aperte al 100%. Così come il sangue deve circolare inarrestabile nell’organismo affinché ci manteniamo sani, i giornali e le riviste devono circolare ovunque e senza ostacoli perché il paese sia sano. Anche se adesso il municipio del settore 4 dovesse diventare più ragionevole, la questione non sarebbe risolta. Serve una legge che protegga realmente la vendita della stampa in Romania.

Come qualsiasi politico (benché lontano dall’essere un politico qualsiasi), Thomas Jefferson si adirava quando i giornali scrivevano cose diverse da quelle che lui voleva scrivessero. Forse aveva ragione, o forse i giornali avevano ragione – neppure adesso, dopo così tanto tempo, gli storici si trovano d’accordo su tali questioni. Ma Thomas Jefferson ha scritto una delle più forti frasi mai scritte a proposito della stampa. In una lettera del 1787 egli afferma “… se il fardello di dover decidere tra l’avere un governo senza stampa e una stampa senza governo dovesse toccare a me, non avrei un attimo di esitazione nel decidere per la seconda alternativa”. Quando riusciremo a capire che una simile idea messa a fondamento di un paese lo rende il più potente del mondo, potremo sperare di avere un futuro.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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