Mungitura (© miquelito/Shutterstock)

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La Romania è emersa tra i capri espiatori - o meglio pecore, in questo caso - della crisi del latte in Sardegna. Ma i numeri dicono che non c'entra nulla

19/03/2019 -  Valentina Vivona

Per oltre un mese i pastori della Sardegna hanno protestato contro il declino del prezzo pagato per il latte di pecora. Su Twitter i caseifici sono stati accusati di aver provocato la crisi importando latte di pecora a prezzi stracciati dalla Romania. Anche alcuni quotidiani, compreso Il Sole 24 ore , hanno visto nella Romania una possibile minaccia alle esportazioni italiane di pecorino nel mondo. Quanto sono fondate queste affermazioni?

La Romania è uno dei cinque principali paesi produttori di latte di pecora nell’Unione Europea. La sua produzione, secondo i dati FAO Stat , è stata seconda soltanto a quella della Grecia nel 2017. Nello stesso anno in tutta l’Unione Europea sono stati munti circa 2 miliardi e mezzo di litri di latte di pecora, una produzione residuale se comparata con quella di latte vaccino (65 volte superiore). Proprio per gli esigui quantitativi relativi al latte non-vaccino il codice doganale per il latte, nell'Ue, è unico e indipendente dalla origine animale. Dall’osservazione dei dati aggregati su Eurostat, le esportazioni di latte dalla Romania all’Italia risultano vicine allo zero negli ultimi dieci anni.

Maggiore dettaglio è disponibile per quanto riguarda i derivati, nello specifico i formaggi tipo pecorino o fiore sardo al centro dello scontro. In Italia nove diverse tipologie di pecorino hanno denominazione di origine protetta (DOP), ma il codice doganale non distingue tra prodotti certificati o meno. I dati Eurostat indicano che nel 2017 l’Italia ha importato 671 tonnellate di pecorino da altri paesi dell’Unione Europea (circa 112mila forme), il 91% delle quali dalla Romania. L’Italia è anche l’unico paese comunitario a rifornirsi di questo tipo di formaggio dalla Romania. Gli Stati Uniti, principale mercato per il pecorino italiano, sono inoltre l’unico altro paese al mondo dove la Romania esporta questo prodotto.

Rispetto alla produzione interna nostrana di pecorino, le esportazioni romene hanno contato, in media, per meno del 2% del totale tra il 2015 ed il 2017. Anche la quota di export romeno negli Stati Uniti non raggiunge, nell’ultimo triennio, il 3% di quello italiano. Più che costituire una minaccia quindi, questi numeri sembrano indicare l’esistenza di una relazione commerciale tra Italia e Romania.

L’Agenzia per la Promozione all’Estero delle Imprese Italiane (ICE), interpellata, riferisce via email che in Romania vi sono 30 caseifici con partecipazione italiana, “di cui solo 4 hanno avuto nel 2017 un giro d'affari che avrebbe potuto generare  eventuali esportazioni”. Nel 2016 l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) della Regione Toscana ha sequestrato un carico sospetto di 21 tonnellate di pecorino in transito dalla Romania all’Azienda Fratelli Pinna, principale produttore caseario della Sardegna. Il caso aveva suscitato indignazione, anche se non era stata in seguito riscontrata nessuna irregolarità.

Nei primi giorni delle proteste gli articoli riguardanti questo caso sono stati ripresi sui social media, modificando le date di uscita e storpiando le dichiarazioni dei proprietari. È un fatto che nel 2007 i Fratelli Pinna abbiano delocalizzato un decimo della propria produzione (che, su una produzione annua dichiarata di diecimila tonnellate, corrisponde a mille tonnellate) a Izvin, in Romania, per competere sul mercato internazionale dei formaggi da grattugia “grazie alle ottime opportunità derivanti dal basso costo della manodopera locale e del latte” .

“Nell’ambito della libera circolazione delle merci è ovvio che anche la Romania esporti i suoi prodotti alimentari negli altri paesi Ue - commenta via email Massimo Forino, direttore dell’associazione industriale Assolatte - i volumi sono comunque così irrisori da non poter incidere sulle quotazioni del latte di pecora”. Le cause della crisi in Sardegna sono dunque da ricercare altrove.

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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