Grozny, la moschea centrale (Foto alevtina, Flickr)

Grozny, la moschea centrale (Foto alevtina, Flickr )

L'organizzazione terroristica "Stato islamico" cerca di estendersi al Caucaso russo. Gli annunci sulla rete e il confronto con gli altri gruppi islamisti della regione

09/07/2015 -  Simone Zoppellaro

La notizia è di quelle destinate a fare il giro del mondo: lo Stato Islamico ha proclamato la costituzione di un ‘governatorato’ (in arabo: wilayat) nel Caucaso russo. Lo ha fatto il 23 giugno per bocca di uno dei suoi leader, il siriano Abu Muhammad al-Adnani, con una registrazione circolata ampiamente in rete. Questa seguiva di due giorni un breve video anch’esso diffuso sul web e subito rimbalzato sui social media. In esso, una voce in lingua russa sottotitolata in arabo, proclama: “Invito i musulmani della regione a giurare fedeltà al califfo, adempiendo così al loro dovere davanti a Dio”. Sullo sfondo del video, i nomi di Daghestan, Cecenia, Inguscezia, e Cabardino-Balcaria e Karachai, territori che dovrebbero comporre il Wilayat al-Qawqaz, il ‘governatorato del Caucaso’ retto dallo Stato Islamico. E ancora, i sostenitori di Abu Bakr al-Baghdadi proseguono: “Il califfo ha teso la sua mano e attraverso di lui potrete compiere la volontà del Signore”.

Stato Islamico ed Emirato del Caucaso

Particolare non trascurabile: le regioni sopra elencate rappresentano le aree dove più forte è stata la presenza, a partire dal 2007, di un altro gruppo islamista molto influente: l’Emirato del Caucaso, che si ritiene affiliato ad al-Qaeda. Ora, l’ascesa dello Stato Islamico nella regione andrà collegata senza dubbio alla crisi vissuta dal gruppo rivale negli ultimi tempi. Una crisi di leadership, innanzitutto, che ha accompagnato a lungo le vicende dell’Emirato del Caucaso: il problema si è fatto sentire in particolare dopo la morte di Dokka Umarov, leader ceceno fondatore del gruppo, avvenuta nel 2013. Sotto il suo successore, il daghestano Ali Abu Muhammad (noto in precedenza come Aliaskhab Kebekov) si sono verificate importanti defezioni fra la fila dei suoi comandanti, tali da mettere a rischio la credibilità stessa dell’Emirato.

Della fine dello scorso anno è infatti la notizia che tre alti comandanti ceceni e tre daghestani avrebbero abbandonato l’organizzazione per giurare fedeltà al califfo dello Stato Islamico. Un fenomeno, questo, di cui è difficile valutare la portata, ma che si ritiene rilevante al punto da creare una frattura in seno all’insorgenza islamista nel Caucaso del Nord. Un ulteriore colpo per il gruppo si è avuto con la morte del suo secondo leader, il già citato Ali Abu Muhammad, ucciso dalle forze di sicurezza russe nell’aprile di quest’anno. Se è presto per dire se il nuovo “emiro” prescelto, il daghestano Magomed Suleymanov, sarà capace di richiamare all’ordine i suoi miliziani, certo è che nel suo progetto di rilancio e recupero dell’egemonia islamista si troverà a fronteggiare un nuovo e temibile avversario: il Califfato di al-Baghdadi.

Al-Qaeda moderata?

Un confronto, quello fra Stato Islamico ed al-Qaeda, che si estende a livello globale e che trova un’appendice nel Caucaso, grazie alla già ricordata affiliazione dell’Emirato a quest’ultima. Una sfida – per quanto paradossale ciò possa suonare – che tende ora a far risultare come più “moderata” al-Qaeda rispetto agli adepti del Califfo, tanto la macchina militare e propagandistica di questi ultimi si è spinta all’eccesso. Un aspetto, questo, che si è colto anche in una polemica sorta nel Caucaso e che ha portato diversi miliziani dell’Emirato a preferire l’intransigenza e la violenza senza limiti messa in opera dallo Stato Islamico. Uno dei punti della discordia, nei mesi scorsi, sarebbe stato infatti l’approccio eccessivamente “cauto” di Ali Abu Muhammad e della leadership dell’Emirato nei confronti di questioni quali l’impiego di attentatori suicidi, specie se donne, e la refrattarietà a colpire obiettivi civili. L’ascesa dello Stato Islamico nella regione, che ha contato anche di recente su importanti defezioni fra le fila dell’Emirato, si accompagna anche ad un altro fenomeno: quello della propaganda. Se non sono mancati riferimenti al Caucaso del Nord nella rivista in lingua inglese Daqib, organo dello Stato Islamico, i miliziani si sono spinti negli ultimi mesi fino a creare una rivista in lingua russa, Istok, ma anche CD, filmati e traduzioni per recrutare nuovi adepti e indottrinare i guerriglieri da poco guadagnati alla causa islamista. Pessimi segni, che manifestano una volontà e un progetto ben precisi anche per ciò che riguarda il Caucaso.

Kadyrov: è un bluff

L’annuncio della nascita del wilayat, bollato subito come un “bluff” dal leader ceceno Ramzan Kadyrov, desta tuttavia non poche preoccupazioni, e si teme possa preludere a una nuova ondata di insorgenze in una regione, il Caucaso, solo in apparenza pacificata dopo la seconda guerra cecena conclusa nel 2009. “Distruggeremo senza pietà diavoli e banditi”, ha dichiarato il controverso leader ceceno, uomo vicino a Putin, che si è detto determinato a estirpare il “virus” dello Stato Islamico dalla regione. Impresa non troppo semplice, se si tiene conto della massiccia presenza di miliziani originari della regione sugli scenari che vedono impiegato lo Stato Islamico nel Medio Oriente.

Una partecipazione importante in termini numerici (si parla di circa 1.000-2.000 miliziani, a seconda delle stime), ma anche rilevante dal punto di vista qualitativo, dato il ruolo di primi piano svolto sul terreno e la presenza di alcuni uomini del Caucaso ai massimi ruoli di comando. Su tutti, ricorderemo il gruppo denominato Jaish al-Muhajireen wal-Ansar, composto soprattutto da miliziani provenienti dall’ex Unione Sovietica e dal Caucaso in particolare. A capo di tale gruppo è stato anche Abu Omar al-Shishani, detto “il Ceceno” (sebbene di fatto nato in Georgia), ora ai vertici militari della campagna dello Stato Islamico in Siria.

Difficile dire, al momento, quali saranno gli esiti futuri del nuovo ‘Governatorato del Caucaso’, alla cui guida è stato designato Abu Mohammad al-Qadari. Tuttavia, sono molte le ragioni per temere il peggio. L’alta presenza di uomini provenienti dal Caucaso in Iraq e in Siria non potrà inevitabilmente che avere un’influenza negativa, cementando legami con la galassia islamista in Medio Oriente e preparando i combattenti da un punto di vista operativo anche in prospettiva di un eventuale ritorno in patria. Si teme, inoltre, che alla proclamazione dei giorni scorsi segua un flusso di capitali per la lotta armata nel Caucaso. Alla luce di tutto questo, si comprenderanno meglio le dichiarazioni del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, che l’aprile scorso aveva definito lo Stato Islamico come “il più grande nemico” del suo paese.


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