Donna presso una tomba a Srebrenica (Foto The Advocacy Project, Flickr)

Donna presso una tomba a Srebrenica (Foto The Advocacy Project, Flickr )

Il governo olandese ha investito più di ogni altro nella ricostruzione della cittadina, dalla fine della guerra ad oggi, indirizzando le donazioni soprattutto in infrastrutture, nel memoriale di Potočari e per la ricerca delle vittime

12/06/2015 -  Rodolfo Toè Sarajevo

"Ci perdoni se non discuteremo nei dettagli le nostre attività a Srebrenica", si schermiscono nell'Ambasciata dei Paesi Bassi a Sarajevo.

Ora che il ventennale si avvicina, l'ufficio è evidentemente sotto pressione. Giornali e media olandesi si sono infatti concentrati sui progetti portati avanti dal proprio governo, chiedendo quanti soldi siano stati spesi e come.

Naturalmente, la domanda che viene fatta più spesso è se parte dei fondi sia finita nelle tasche di politici e amministratori bosniaci, e quanto sia stata trasparente la gestione degli aiuti.

Gli uffici della rappresentanza olandese locale sono pertanto sul chi vive. La parola d'ordine, fino al prossimo 11 luglio, è una: cautela.

120 milioni di euro

Eppure, l'amministrazione olandese è stata una delle più solerti nel fornire i dettagli delle proprie attività a Srebrenica e, nel complesso, sicuramente una delle più trasparenti.

Questo, molto probabilmente, per rimarcare nei confronti dell'opinione pubblica quanto è stato fatto dal governo per gli abitanti della città, dopo che i caschi blu del Dutchbat non furono in grado di garantire la sicurezza dell'enclave protetta dalle Nazioni Unite nel luglio 1995.

Secondo i dati ufficiali forniti dai singoli governi, l'Olanda è di gran lunga quella che ha investito di più nella ricostruzione della municipalità: "Il totale eccede i 120 milioni di euro", sottolineano brevemente dall'Ambasciata. Per l'esattezza, la cifra complessiva è di 122.686.216,40 euro (quasi 250 milioni di marchi, in valuta locale).

L'ammontare è enorme, soprattutto se si considera che i governi che hanno speso maggiormente nella città, dopo quello olandese, sono gli Stati Uniti e l'Italia, e per entrambi la cifra totale si aggira sui dieci milioni di euro. L'Olanda ha quindi nei fatti speso dieci volte tanto. Considerando che il bilancio annuo del municipio di Srebrenica è di circa 3,5 milioni di euro, gli stanziamenti olandesi basterebbero da soli a finanziarne le spese per i prossimi trentacinque anni.

La ricerca degli scomparsi

Nel dettaglio dei progetti sostenuti dall'Olanda, spiccano soprattutto l'enorme sostegno dato all'International Commission for Missing Persons (la Commissione Internazionale per le Persone Scomparse, che si occupa di identificare i resti umani che tuttora vengono rinvenuti in Bosnia Erzegovina), per quasi 26 milioni di euro; il sostegno in attività di emergenza e di aiuto ai profughi e agli sfollati negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra (dal 1997 al 2001) per circa 22 milioni di euro; infine, occorre menzionare i 30 milioni di euro che sono serviti a finanziare la ricostruzione, in termini di unità abitative e di infrastrutture (soprattutto in collaborazione con le organizzazioni Care International e CRS).

Certo, parlare di aiuti internazionali è sempre delicato, in una città come Srebrenica. Nessuno è mai stato capace di calcolare con sufficiente esattezza quanto denaro sia stato usato nella ricostruzione della città e pertanto, nell'immaginario dell'opinione pubblica, il totale raggiunge dimensioni quasi mitologiche: "Con i soldi che hanno messo qui, se avessero voluto, avrebbero potuto rifare completamente tutta la città in oro" è una frase che ripetono in molti, tra i residenti, i rifugiati e gli stessi responsabili dell'amministrazione comunale.

"Non ci sono dubbi, qui sono stati investiti moltissimi soldi", ammette il sindaco, Čamil Duraković, "ma la gran parte di questi non sono mai arrivati fino a noi". E denuncia: "Chi ha lucrato sulla ricostruzione a Srebrenica si trova soprattutto a Sarajevo, nel governo centrale o in quello della Federazione".

Moltissimo rimane ancora da fare, soprattutto nelle comunità ad est di Srebrenica, verso la Drina e nelle montagne intorno a Skelani. Delle 6.400 case distrutte nella città nel corso della guerra oggi soltanto la metà è stata restaurata, secondo i dati citati da Abdurahman Omić, il responsabile della ricostruzione nella municipalità: "Abbiamo circa 2.700 richieste, tuttora in attesa, di persone che vorrebbero ricostruire la propria abitazione. Ma purtroppo i lavori vanno a rilento e, soprattutto, il sostegno dei donatori si fa sempre più debole".

Veterani e imprenditori

Tra questi donatori, finora, l'Olanda è stata in prima fila. Il motivo è evidente ed è collegato direttamente al ruolo di corresponsabilità nel massacro, col quale le autorità olandesi si trovano a convivere da un ventennio. Negli anni si è sviluppato anche una sorta di meccanismo informale di coordinamento, secondo il quale i rappresentanti olandesi incontrano le organizzazioni delle vittime ogni sei mesi. A volte questo è particolarmente complicato, come ricordavamo nell'ottobre scorso a proposito delle divergenze esistenti sul progetto della seconda fase del memoriale di Potočari, il quale dovrebbe ospitare - oltre alle storie delle vittime e dei sopravvissuti - anche quelle dei veterani del Dutchbat.

In molti, tra i reduci del battaglione schierato a difesa dell'enclave, hanno mantenuto un rapporto con la città, qualcuno ha anche scelto di tornarci a vivere. "Evidentemente c'è un rapporto molto stretto tra il nostro Paese e Srebrenica", riconosce l'olandese Marius De Wilt, "ma questo non mi ha mai creato problemi. Dopotutto, sono passati vent'anni". De Wilt non è un ex militare, ma il proprietario di una piccola impresa locale che produce pallet e dà lavoro a trenta persone, la EKO-M.

"Quando ho rilevato la fabbrica era il 2014, e posso dire che oggi la nostra attività va bene. Srebrenica è un luogo estremamente ricco di risorse, ma credo sia necessario promuoverlo di più all'estero per attirare altri investitori". Spesso i giornali bosniaci si sono occupati di lui, e questo proprio in ragione della sua nazionalità. "Ma davvero", conclude, "sono sciocchezze. Io sono prima di tutto un imprenditore. Do lavoro. Ed è esattamente di questo che la città ha bisogno oggi".


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