Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il padiglione albanese è un'occasione sprecata. Nonostante sia notevole il contributo che i cittadini, la società e le istituzioni albanesi potevano dare sul tema del cibo. C'è però tempo per recuperare

07/09/2015 -  Rando Devole

Chi ha già visitato l’Expo a Milano sa bene che il Padiglione dell’Albania si trova all’interno del Cluster Bio-Mediterraneo. Nel mondo di Internet basterebbero alcuni click sulle mappe virtuali per individuarlo, tuttavia, la presenza fisica è insostituibile, per palpare l’atmosfera, sentire l’aria che tira, annusare gli odori.

L’Expo pare in alcuni suoi aspetti una Cinecittà postmoderna, un gigante set cinematografico, dove ci si aspetta che i rumori dei ciak scandiscano le scene. Oppure si può paragonare ad un lunapark, di cui rispetta persino i suoi ritmi, di mattina è una cosa, di sera è un’altra.

In questo circo allegro di bandiere e colori, quella albanese la puoi scorgere da lontano, accompagna dalla scritta Albania – Shqipëri. Nello spazio dell’ingresso, a sinistra, vi è una parete a fisarmonica tappezzata di foto della natura e dei cibi albanesi.

Il padiglione albanese

Il padiglione dell’Albania all’Expo è semplice e non molto spazioso. In mezzo alla sala un'installazione: raffigura un mulino. Dietro, su un'alta scala, una ciotola di legno. Siamo in tema, visto che l’Expo è dedicato al cibo, l’energia della vita. Il “mulino” è circondato da schermi che trasmettono immagini varie sulla natura, la cucina, il turismo albanese e altro ancora. Lavorano a circuito chiuso e trasmettono tutto il giorno.

Il “mulino” in mezzo al padiglione sembra però alquanto scarno come installazione. E' troppo stilizzato e concettualizzato. La simbologia dell’armonia religiosa, che gli è stata attribuita, non si individua, oppure non sgorga naturalmente, tranne con uno sforzo sovrainterpretativo. Ma forse è caratteristica dell’arte, che prende forma negli occhi dello spettatore, e quest’ultimo ha i suoi limiti...

Visitatori e personale

Nel padiglione non ci sono visitatori numerosi e in merito alle visite non vengono fornite statistiche. Al piano superiore una piccola sala con un grande schermo, che trasmette ovviamente immagini dall’Albania. E sedie vuote.

Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il personale del padiglione è giovane ed energico, a cominciare dal direttore. Tutti hanno voglia di fare, sebbene le difficoltà organizzative siano tante. Il problema, a quanto pare, è cosa fare, perché le iniziative in programma non sono molte.

Non è così nel resto del Cluster Bio-Mediterraneo, dove c'è tanto movimento. Le iniziative sono varie: concerti, danze, degustazioni, sfilate, interviste, presentazioni, installazioni, opere d’arte, ristoranti… Davvero una Babele divertente.

Eppure sembra che qualcosa manchi. Expo assomiglia ad un'immensa vetrina di prodotti, una specie di supermarket esotico con parco giochi incorporato, o viceversa, dove non risalta molto l’idea del lavoro, oppure delle persone che lavorano per produrre il cibo sul pianeta. Anche se le iniziative positive non mancano, rimane molto da fare per far capire che dietro l’etichetta della conserva vi è il sudore di tante persone.

Mediterraneo

Il Cluster Bio-Mediterraneo, di cui fa parte l’Albania, contiene una serie di padiglioni interessanti. Quello del Montenegro stupisce con le stalattiti di lana che si rispecchiano magicamente in un gigante specchio che riproduce un lago alpino. Il padiglione della Tunisia offre l’idea di un’oasi nel deserto e del bazar arabo, che si arricchisce con la musica tradizionale. Delude le aspettative il padiglione della Grecia, dove oltre alle installazioni artistiche che raffigurano la Terra e l’Acqua, schermi in verticale e in orizzontale e la cortesia delle addette non c’è granché.

Il padiglione della Serbia con una grande pietra di un mulino contornata da prodotti tipici evoca la tradizione del grano e del cibo. L’Algeria ha preparato un padiglione con uno schermo circolare mobile: tecnologia stupefacente accompagnata da un ambiente tradizionale, con oggettistica artistica e un ristorante per varie degustazioni. Invece, il padiglione di Malta richiama l’etimologia del proprio nome (da “miele”). Infatti, è costruito interamente sui motivi dell’alveare delle api con una serie di suoi prodotti.

Occasione sprecata

Le iniziative promosse dal padiglione dell’Albania non sono tante. Ad eccezione di alcune lodevoli - tra cui quella del ristorante albanese “Mrizi i Zanave”, la presentazione del vino locale Kallmet, e qualche altra attività di minore risonanza - non rimane molto da segnalare. Eppure, la richiesta vi sarebbe, perché molti visitatori, in particolare albanesi, si aspettano più presenza e più dinamismo da parte del proprio paese d'origine.

Se dovessimo scremare la rappresentazione del padiglione albanese dalla retorica politica e nazionalistica, sospendere le idee estetiche sull’allestimento, separare l’impegno del personale dal progetto generale, passare al setaccio i complimenti meritevoli dalle critiche pretenziose, il sapore che rimane è quella di una grande chance andata sprecata, poiché non si è saputo sfruttarla. Basta guardare la realtà ed usare la fantasia.

Il padiglione albanese sarebbe dovuto essere la scintilla, il generatore, il fulcro, il pretesto, la finestra, la scena per tutte le iniziative dell’Albania all’Expo. Il padiglione è la vetrina dell’Albania nel boulevard del globo, invece è stata usata mediaticamente, più per un consumo interno che esterno. Iniziative interessanti come quella del vino di Kallmet e qualcun’altra, dovevano essere la regola quotidiana, non l’eccezione. Le difficoltà organizzative e finanziarie - naturalmente veritiere e comprensibili - sono superabili con un po’ di buona volontà.

Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il padiglione albanese all'Expo - foto di Rando Devole

Il padiglione albanese è la dimostrazione che l’Albania non lavora come un unico sistema con obiettivi condivisi. Altrimenti il padiglione si sarebbe trasformato nella destinazione di tutti i protagonisti del cibo e della natura nel paese, che dovevano avviarsi verso l’Expo come in pellegrinaggio. Sarebbe stato il modo migliore per promuovere il brand dell’Albania. Ma ciò richiede un approccio sistemico, così come richiede una rete di attori costruita e collaudata gradualmente nel tempo e in particolare per l’occasione concreta dell’Expo. Il padiglione avrebbe dovuto raccogliere proprio i frutti di un lavoro comune per mostrare al mondo le proprie potenzialità. Le attività sporadiche, anche qualora risultassero di successo, non portano alla primavera dello sviluppo. Nemmeno risolvono molto i post o i cinguettii sugli alberi di Internet.

C'è tempo per recuperare

È vero che non ci si può attendere tutto dallo stato, ma anche questo non deve aspettarsi tutto dai cittadini, perché è necessario uno stimolo reciproco. Il padiglione albanese doveva essere concepito come collettore di tutte le energie positive, all’interno e fuori dal paese, individuali e collettive, al fine di valorizzare l’albanesità dal punto di vista della tradizione alimentare e offrire il proprio contributo originale all’Expo. Lo spazio riservato all’Albania doveva diventare una specie di turbine in una centrale idroelettrica, che sfrutta la forza di un grande bacino di energie, invece di essere una guarnigione dimenticata, con soldati volenterosi e laboriosi, ma pur sempre dimenticata.

Non si pretende molto dicendo che il padiglione albanese avrebbe potuto creare momenti di dibattito e di riflessione culturale, perfino per mettere in forse una concezione consumistica ed edonistica dell’evento, che assomiglia alla sagra di un villaggio globale, ciononostante provinciale, dove temi rilevanti sull’uomo e sul pianeta rimangono nell’ombra.

L’Albania è un piccolo paese, ma ha una grande esperienza da mettere sul piatto, non solo per la sua tradizione culinaria, ma per temi importanti come la mancanza di cibo, la povertà, la solidarietà, la fame, la malnutrizione, lo spreco del cibo, l’energia, l’ambiente, il territorio, la biodiversità, il mare, le ineguaglianze sociali, l’identità collettiva, lo sviluppo agricolo, lo sviluppo sostenibile, le risorse idriche, il lavoro dell’uomo, e così via. Temi del genere potevano sollecitare dibattiti all’estero ma anche dentro l’Albania. I problemi del cibo per questo paese sono ancora recenti in confronto a qualsiasi altro paese d’Europa, alle cui porte bussano oggi persone affamate e sofferenti.

Anche se dall’Albania il padiglione sembra un avamposto distaccato e dimenticato – infatti non se ne parla molto a Tirana – c’è ancora tempo per recuperare qualcosa. Potrebbe risplendere (di luce propria e non riflessa) nei prossimi giorni, il che costituisce un auspicio di tutti, per il bene dell’Albania e degli albanesi. Non è sicuramente impossibile, ma bisogna mobilitarsi, tutti insieme.


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