Fonte: Pixabay

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Tra gli italiani d’oltre Adriatico cresce la comunità dei pensionati. Per capire il fenomeno abbiamo intervistato Roberto Laera, imprenditore con decennale esperienza nel paese

27/03/2018 -  Nicola Pedrazzi

Alla pari di altre storie di migrazione, anche il piccolo fenomeno degli italiani d’Albania è soggetto a forti manipolazioni politiche e mediatiche. Per ragioni che abbiamo già discusso, negli ultimi anni la politica albanese e la stampa italiana hanno raccontato una realtà fuori di misura. Il che non significa che la presenza italiana non stia crescendo in maniera rilevante – il secondo danno che le cifre gonfiate ad arte infliggono alla comprensione della realtà è infatti quello di sminuire le cifre reali: i 2.000 italiani che, ad oggi, hanno scelto di vivere in Albania, non sono “pochi”, così sembrano soltanto a chi ha letto e creduto che fossero 20.000.

Ciò chiarito, chi sono questi concittadini che si rifanno una vita oltre Adriatico? A fianco degli studenti che in Italia non hanno superato il test di medicina, degli imprenditori attratti dal basso costo del lavoro, delle ex star televisive che negli ultimi anni hanno raccontato agli italiani il “miracolo albanese” – ricordate Alessio Vinci ad Agon Channel, e Luciano Moggi al Partizani? – oggi un’altra italica categoria ipotizza una seconda vita albanese: quella dei pensionati. Ne abbiamo parlato con Roberto Laera, imprenditore con decennale esperienza nel paese, che di recente ha dato vita a un’associazione dedita all’orientamento degli ultimi arrivati, e in particolare ai pensionati italiani.

Quanti pensionati italiani hanno scelto di vivere in Albania? E a quali difficoltà va incontro chi volesse intraprendere questa strada?

Ad oggi i pensionati italiani non superano le 300 unità. Il maggior numero dei nostri pensionati non vive a Tirana ma a Durazzo, una città dove il costo della vita è più basso, ma soprattutto una città costiera, con il mare e un clima mite. Molti pensionati del nord Italia hanno vissuto tutta la vita al freddo, questa novità li attrae. Si tratta di persone autosufficienti, che non hanno alcun problema di salute; tuttavia in Albania esistono cliniche private che forniscono una copertura completa con un costo irrisorio per chi ha un introito in euro. L’ospedale americano ha anche il pronto soccorso, e stipulando una polizza assicurativa in convenzione del costo di 180 euro all’anno si ha diritto a tutte le visite diagnostiche, senza alcuna limitazione ed un massimale di 5000 euro in caso di ricovero e di operazioni. Soltanto a Tirana di ospedali americani ce ne sono tre, ce n’è poi uno a Durazzo, ne stanno aprendo uno a Valona, piano piano copriranno tutto il paese. Le uniche difficoltà che chi compie questa scelta può incontrare secondo me sono di ordine burocratico: il permesso di soggiorno, ad esempio. In Albania devono richiederlo tutti gli stranieri che permangono 90 giorni all’interno dei 180. Per gli imprenditori è facile, perché avendo un’attività ne hanno diritto, ma per i pensionati è più complicato, perché un reddito da pensione e l’apertura di un conto corrente non sono requisiti sufficienti.

Come hanno ottenuto il permesso i pensionati italiani attualmente residenti?

O hanno comprato casa – in questo caso il permesso viene rilasciato – o hanno dimostrato di avere un’attività lavorativa o di volontariato presso una qualche organizzazione internazionale. Molti poi aggirano l’ostacolo aprendosi una partita IVA; si può anche avere un reddito pari a zero purché si versino i contributi minimi, stiamo parlando di circa una trentina di euro al mese.

Quanto costa il permesso di soggiorno?

Un centinaio di euro, se non sbaglio dura 1 anno la prima volta, 2 anni la seconda e 5 anni dopo il terzo rinnovo. Dopo 5 anni lo si può avere di 10, e dopo 10 anni si può richiedere direttamente la cittadinanza, ammesso che il permesso non sia mai scaduto. Sono costi assolutamente affrontabili, soprattutto se comparati al rischio di chi non sbriga la pratica. Da qualche anno la polizia di frontiera calcola i giorni di permanenza con un sistema computerizzato. Chi in uscita non è in regola rischia multe dagli 80 ai 750 euro. E il multato che non mostra la ricevuta di pagamento non può rientrare nel paese.

Scopriamo così che l’Albania è uno stato come tutti gli altri. Più che un problema mi sembra una buona notizia…

Dal punto di vista della solidità statuale certamente sì. Quello che intendo dire è che allo stesso stato albanese converrebbe assecondare con nuove regole la migrazione dei pensionati italiani e stranieri in generale. Per completezza, devo dire che a disincentivare ci sono altre questioni, legate alla tassazione della pensione. Secondo la legge italiana il pensionato che risiede all’estero dovrebbe ricevere la pensione al lordo delle tasse. Pur essendoci anche con l’Albania degli accordi bilaterali in questo senso, nella maggior parte dei casi la detassazione non avviene. Da un lato il ministero del Welfare albanese pone degli ostacoli – richiede cioè una dichiarazione dell’INPS che certifichi la residenza all’estero del pensionato –, ma a sua volta l’INPS non produce facilmente i documenti necessari. Stando ai racconti dei pensionati con cui mi relaziono, molto è affidato alla disponibilità del singolo funzionario INPS, ma sta di fatto che in Italia la maggior parte degli uffici provinciali non rilascia il necessario. Il risultato è che le pensioni erogate agli italiani che vivono in Albania continuano a essere tassate dallo stato italiano…

Per evitare confusione spieghiamolo: questo problema non ha niente a che vedere con il celebre negoziato, mai partito davvero, sul mutuo riconoscimento delle pensioni tra Italia e Albania.

Esatto, l’accordo cui lei si riferisce ha a che fare con il futuro dei cittadini albanesi che hanno lavorato e contribuito in Italia e con i cittadini italiani che stanno lavorando e contribuendo in Albania. Facciamo l’esempio classico: allo stato attuale delle cose, l’albanese che ha lavorato per una vita intera in Italia e che prima di raggiungere l’età pensionabile è, puta caso, costretto a ritornare in Albania, perde tutti i contributi versati. Se le cose non cambiano lo stesso avverrà per i giovani italiani che oggi cominciano a lavorare e a contribuire in Albania.

Al momento però il numero degli albanesi che ha lavorato in Italia è infinitamente più alto… Questo significa che qualora si raggiunga un accordo sul mutuo riconoscimento, questo sarà più oneroso per le casse dello stato italiano che per quello dello stato albanese. Mi chiedo se sia per questo che quando era ministro del Welfare Erion Veliaj ha scelto di gonfiare i numeri degli italiani in Albania…

Sì, può essere, ma la famigerata cifra dei 20.000 ha dietro più di una spiegazione. Far vedere che sempre più italiani scelgono l’Albania è anche una questione mediatica, serve ad abbattere i pregiudizi nei confronti del paese… Insomma, che ognuno tiri l’acqua al suo mulino è normale, in questo caso per me la brutta figura l’hanno fatta i media italiani, cui è noto che interessano più le storie dei numeri. Noi italiani d’Albania ci conosciamo praticamente tutti: tra iscritti all’Aire e non a Tirana saremo meno di mille. Detto questo, l’urgenza del mutuo riconoscimento previdenziale ha certamente influito sulla circolazione di certe cifre. Nel 2014 Renzi venne a Tirana e si impegnò a portare avanti questo negoziato, ma alla fine non se ne fece nulla. Specifico che si tratta di accordi bilaterali tra stati, su cui l’Europa non c’entra. Paesi come la Germania e il Belgio riconoscono da sempre i contributi degli immigrati italiani.

Torniamo dunque alla mancata detassazione delle pensioni degli italiani d’Albania.

Questo per l’Italia non sarebbe un grande sforzo, e all’Albania converrebbe molto: pensioni di 800/1000 euro sono reddito in circolazione; si parla di persone che fanno la spesa, affittano case, siglano assicurazioni sanitarie, utilizzano i ristoranti. Insomma, è una piccola economia che si attiva. Se, al momento, il fenomeno è ancora esiguo, è anche a causa di questi scogli burocratici: a mio modesto modo di vedere, l’afflusso di pensionati italiani potrebbe essere molto più rilevante se il governo albanese promuovesse l’Albania anche come “buen retiro”, modificando la legge sul permesso di soggiorno e agevolando le pratiche per la detassazione delle pensioni.

Ci può tracciare l’identikit del pensionato medio che sceglie l’Albania?

In maggioranza sono persone del nord: toscani, lombardi, piemontesi, anche emiliani… Probabilmente perché al sud il costo della vita è inferiore, ed esiste un maggiore valore della famiglia. Al nord molti pensionati sono soli… La maggior parte dei pensionati che si incontrano in Albania sono ex artigiani: persone con una pensione bassa, sugli 800 euro, che magari hanno accumulato un gruzzoletto con cui in Albania possono comprare casa e vivere tranquillamente, permettendosi sfizi come andare al ristorante. Può sembrare una sciocchezza, ma se hai lavorato tutta la vita poter mangiare pesce con sette/otto euro è una motivazione forte. Soprattutto se nel tuo paese a mangiar fuori non potresti andarci.

Va bene il pesce, ma con quale umore e con quali sentimenti un settantenne che magari ha vissuto tutta la vita a Firenze, si trasferisce a Durazzo? È vero che c’è il mare, ma la costa è stata distrutta da una scriteriata speculazione edilizia; bisogna essere onesti, stiamo parlando di una delle città meno attraenti dell’Albania.

Guardi, Durazzo non è sicuramente il luogo più bello d’Albania, e tuttavia soddisfa. Conosco pensionati campani che sono cresciuti avendo negli occhi la costiera amalfitana, e che però ci vivono bene. Lo stato d’animo è diverso da quello che si presume. Il settantenne di adesso è giovane. Sono persone attive, molti si danno da fare, si organizzano in gruppi strutturati e con il patrocinio del municipio organizzano incontri ed eventi culturali. Non stiamo parlando di pensionati non autosufficienti che vivono malinconicamente. Stiamo parlando di persone che cominciano una nuova vita.

In diverse interviste uscite di recente  si avverte però un certo risentimento verso l’Italia.

Un po’ anche, sono sincero. Siamo tutti legati al nostro paese. Io che per lavoro porto imprese italiane in Albania, non è che non pensi che se le cose fossero diverse gli imprenditori rimarrebbero in Italia. Un po’ mi dispiace, poi però la vedo dal punto di vista imprenditoriale: avendo l’Albania una bassa tassazione e un basso costo del lavoro è conveniente. Capisco la malinconia di chi ha lasciato il proprio paese, i nipoti, i figli; però capisco anche le ragioni di chi, magari senza molto altro, comincia una nuova vita. Una vita, perché in Italia non sarebbe vita ma sopravvivenza.

Come si adatta un settantenne a una cultura e a una lingua diverse?

Il consiglio che noi diamo sempre a tutti è: prima di trasferirvi, venite, rendetevi conto, capite, viaggiate per più giorni. Bisogna respirare la cultura, il modo di fare. Certamente i giovani e gli imprenditori del sud Italia trovano una cultura più vicina alla loro. L’imprenditore del nord ha più difficoltà a integrarsi, e tuttavia ce ne sono tanti. Nei pensionati fino ad ora non abbiamo mai riscontrato sofferenza, anzi, sono tutti molto grati e contenti dell’accoglienza. Ci ho vissuto tanti anni e posso testimoniarlo: in Albania ci sono dei valori, c’è un rispetto per le persone anziane che noi ormai non abbiamo più. Quindi non ci sono riscontri negativi. Quando un italiano ha un problema in Albania trova tante mani tese.

Mediamente quanto costa una casa a Durazzo? E quanto si paga di affitto?

I nostri pensionati pagano 150 euro di affitto per appartamenti di circa 70 metri quadri. Alloggi di quella metratura in genere a Durazzo costano dai 30.000 a 50.000 euro. Sebbene il mercato immobiliare sia in crisi e i prezzi siano molto bassi, non sono molti quelli che investono nell’acquisto di un immobile. Tra i pensionati italiani in Albania appena il 10% ha comprato casa, il resto è in affitto e per il permesso di soggiorno utilizza gli escamotage che dicevamo. Nuove opportunità si apriranno con la costruzione dell’aeroporto a Valona, una città che dal punto di vista climatico e ambientale è molto più attrattiva. Il progetto è stato approvato dal Parlamento e affidato in modo diretto a un’azienda turca. Dicono che in un paio di anni sarà realizzato.

Come imprenditore, come guarda a questo fenomeno?

Per me come imprenditore i pensionati italiani in Albania sono una realtà nascente e poco organizzata, e in quanto tale con potenzialità e prospettive molto forti. Un progetto cui potremmo lavorare riguarda la costruzione di un vero e proprio villaggio: immagini un unico stabile o complesso edilizio, con servizi centralizzati ventiquattro ore su ventiquattro, che chieda in cambio dei suoi servizi una retta ragionevole. In Tunisia centri simili sono già funzionanti. Di recente il fenomeno si è ridotto per problemi geopolitici, ma per anni la Tunisia ha attratto pensionati da tutta Europa: inglesi, tedeschi, italiani… Certo bisogna superare questi ostacoli rispetto alla tassazione della pensione. Se questa dinamica non si sblocca è difficile promuovere l’Albania come paese in cui andare a invecchiare.

La sua azienda offre da sempre consulenza fiscale e legale alle imprese estere che desiderano investire in Albania. I pensionati che aiutate sul posto sostengono qualche costo?

Allora, bisogna distinguere tra l’azienda e l’associazione. Italia-network è una società di consulenza per le aziende e i lavoratori: i suoi servizi chiaramente si pagano. Di recente, per andare incontro al fenomeno pensionati e più in generale alla crescente migrazione italiana, abbiamo ideato un’associazione che si chiama “Italians in Albania”, tramite cui supportiamo i nuovi arrivati per l’espletamento delle prime pratiche. A titolo gratuito rilasciamo una tessera che ha tutta una serie di convenzioni, forniamo una SIM telefonica albanese con 5 euro di traffico precaricato. Dunque le nostre consulenze si pagano, ma non si pagano i servizi d’accoglienza dell’associazione.

Un’ultima domanda, che forse non la riguarda, ma gliela faccio comunque. Negli ultimi anni la migrazione italiana in Albania è stata raccontata o per sottolineare il decadimento del nostro paese o – nel migliore dei casi – per evidenziare i progressi albanesi. Nell’enfatizzare elementi di verità, questo racconto omette il fatto che da questa promettente “nuova Albania”, i giovani continuano a emigrare a qualsiasi costo: nel 2017, in Francia, la prima comunità di richiedenti asilo è stata albanese, mentre i nostri servizi sociali denunciano da anni il fenomeno dei minori non accompagnati, lasciati in Italia nella speranza di una vita migliore. Anche queste sono storie italo-albanesi, e non credo che nessuna migrazione di pensionati stranieri potrà mai compensare questo saldo migratorio. L’Albania continua a perdere le sue giovani forze.

Sì, anche in questo senso devo dire che Italia e Albania si somigliano… Sa quante volte ai nostri annunci di lavoro per Tirana o Bucarest rispondono giovani italiani, magari con famiglia, disposti a trasferirsi? Li richiamiamo sempre tutti, per capire se hanno capito che il lavoro è in Albania, e loro ci rispondono “sì certo”. Dopodiché è vero che la migrazione albanese non è finita. Conosco io stesso giovani albanesi che nell’estate del 2015, pur di partire, si sono aggregati alla rotta balcanica dei siriani. Ma va anche detto che i gommoni non ci sono più, oggi la migrazione albanese verso la Francia e il nord Europa è principalmente in aereo... Io promuovo l’Albania perché promuovo l’imprenditoria estera in Albania, ma non è che non analizzo i fenomeni, anzi è proprio per questo che li analizzo. Per parte nostra, un racconto più positivo è utile e anche giusto, perché questo paese negli ultimi anni ha fatto passi da gigante. Non si tratta di dipingere un paese che non c’è, ma di raccontarne il lato migliore, per continuare a migliorarlo. Credo che la strada imboccata negli ultimi tempi sia davvero quella giusta. 


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