A fine maggio 2014, 507 milioni di europei sono chiamati alle urne, tra questi anche i cittadini di alcuni paesi che OBC segue. Ma capire i meccanismi delle istituzioni europee non è facile. Un accorato vademecum per orientarsi

27/03/2014 -  Nicola Pedrazzi

"Noi non coalizziamo stati, ma uniamo uomini", aveva scritto Jean Monnet nella sua splendida autobiografia politica. Un’affermazione grandiosa, che racchiude in sé il senso profondo del progetto integrazionista dell’Europa disegnato dai padri fondatori. Una promessa non a caso più citata che praticata in questa difficile Europa economica, inevitabilmente in crisi.

Eppure tra il 22 e il 25 maggio prossimo 507 milioni di cittadini esprimeranno con il loro voto il nuovo Parlamento europeo: la più grande assemblea elettiva al mondo (seconda solo alla Camera del Popolo dell'India), il primo – e al momento unico – parlamento internazionale.

Quando si parla di Europa politica, è inutile negarlo, la confusione regna sovrana. L’opacità dell’informazione europea non deriva solo dalle 24 lingue con cui i politici e i giornalisti dei paesi membri si rivolgono a 28 opinioni pubbliche nazionali, né dalle dimensioni di quest’agorà politico continentale: è la natura stessa di una costruzione storica inedita ad essere sfuggente, ambigua, lontana.

Riflettiamoci: l’Unione europea non è uno stato ma non è un’organizzazione internazionale, non possiede una costituzione formale ma i trattati e le norme che formano il cosiddetto “acquis comunitario” presentano evidenti caratteristiche costituzionali; se, ad oggi, non possiamo descriverla compiutamente né come una confederazione di Stati – i cui governi si riuniscono nel Consiglio – né come un’Unione di popoli – i cui rappresentanti si confrontano in Parlamento – ciò deriva dal fatto che l’Europa politica è, in realtà, un processo ancora in corso: un percorso, un tentativo, un modo creativo di stare insieme, di condividere un destino comune.

L’altezza dei fini non deve certo fornire un alibi a tutti “i deficit” – democratici, politici, economici, strategici, militari – che affliggono questo “compromesso rivoluzionario”. Al contrario, comprendere e denunciare i problemi dell’Unione significa esserne cittadini: protagonisti attivi di un processo costituente in cui (fortunatamente) siamo nati e cresciuti, e dunque anche responsabili dei limiti, delle lacune, delle sconfitte di questo esperimento politico. Se sapremo guardarle sotto questa luce, le prossime elezioni europee acquisiranno tutt’altro significato: non saranno, cioè, una semplice consultazione-sondaggio utile ai partiti nazionali per misurare le loro forze relative.

La democrazia europea, un spazio da occupare

Questo articolo-vademecum serve a orientarsi nel panorama politico transnazionale creato dall’integrazione europea, uno spazio senza dubbio complesso, ma non per questo illogico o inabitabile. Se, per lo meno in Italia, giornali e TV faticano a trattare l’Europa da un punto di vista europeo, grazie «alla rete» – tanto evocata quanto trascurata dagli italiani – disponiamo di buone fonti alternative per partecipare da europei alle prossime elezioni.

Vi segnaliamo tre link, più utili che banali: il sito ufficiale del Parlamento europeo  che in vista del 25 maggio ha attivato una speciale sezione informativa – ma anche, senza vergogna, la voce “Elezioni europee” di wikipedia, la quale riassume in tabelle sintetiche i risultati di tutte le precedenti consultazioni europee ed elenca i partiti e le forze in campo di questa tornata elettorale. Eccellente fonte d’informazione è poi il Glossario europeo messo a disposizione in tutte le lingue dal sito ufficiale dell’Unione europea.

Per rispondere alle domande più frequenti che in questi mesi abbiamo sentito crescere intorno a noi, non abbiamo fatto altro che incrociare – e, all’occorrenza, integrare – le informazioni cui chiunque può accedere attraverso questi link e i siti ad essi collegati. Navigare l’Europa in mare aperto, forti dei propri dubbi e lontani dalle secche dei luoghi comuni sulla crisi è quanto di meglio si possa fare in questo momento. Come recitano i versi di una poesia erroneamente attribuita a Pablo Neruda: "Lentamente muore chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce".

Le FAQ raccolte per strada…

 Il Parlamento europeo per cui votiamo è quello di Bruxelles o di Strasburgo?

Il Parlamento europeo è uno solo, ma ha tre sedi: Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo. Le sessioni plenarie si svolgono una settimana al mese a Strasburgo (emiciclo blu), mentre le riunioni delle commissioni e dei gruppi parlamentari – più eventuali tornate plenarie suppletive – hanno luogo a Bruxelles. (emiciclo giallo legno). Lussemburgo è invece la sede del Segretariato generale del Parlamento europeo. Bruxelles, divenuta capitale europea de facto in virtù della posizione geografica e geopolitica del Belgio, ospita le sedi di tutte le istituzioni europee, eccezion fatta per la Banca Centrale Europea, che si trova in Germania, a Francoforte.

Perché il PE ha due sedi per le sessioni plenarie? Non è uno spreco?

Sì, dal punto di vista economico è più dispendioso. Ma dietro questa realtà apparentemente irrazionale vi sono ragioni storiche rilevanti. La città di Strasburgo, situata in Alsazia, a ovest del fiume Reno su cui corre il confine tra Francia e Germania, è città simbolo della riconciliazione franco-tedesca sui cui si fondò l’Europa.

All’indomani della Seconda guerra mondiale Strasburgo divenne sede dell’Assemblea rappresentativa della Comunità del Carbone e dell’Acciaio (1951), nonché di altre importanti istituzioni internazionali indipendenti dalle Comunità economiche sancite dai Trattati di Roma (1957) – come il Consiglio d’Europa (1949) e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (1959). Nel corso degli anni, per avvicinare la vita parlamentare alle altre istituzioni europee con sede a Bruxelles (in primis Commissione e Consiglio) venne aperta una seconda sede nella capitale belga. Il tema della sede unica del PE è stato posto da diverse voci e parti politiche, ma su ogni eventuale progetto di riforma pesa il veto francese. La deputata del PPE Erminia Mazzoni spiega esaustivamente la situazione in quest’intervista.

Si è già votato per il Parlamento Europeo?

Queste sono le ottave elezioni europee, le prime avvennero nel 1979. Prima di allora una sorta di parlamento europeo esisteva già: era l’Assemblea delle Comunità, che solo a partire dal 1962 prese il nome di “parlamento”. Conformemente all’art. 137 dei Trattati di Roma in essa sedevano «i rappresentanti dei popoli riuniti dalla Comunità», ovvero parlamentari nazionali delegati. I Trattati di Roma assegnavano al PE una funzione consultiva e di controllo politico, ma nessun potere decisionale. Dal 1979 a oggi, il PE ha aumentato di trattato in trattato i suoi poteri, proprio in virtù del fatto che è l’unica istituzione dell’Unione direttamente eletta e legittimata da un demos europeo!

Oggi quali poteri ha il PE?

Il Trattato di Lisbona (art. 14 TUE) attribuisce al PE tre importanti funzioni: discutere e approvare le normative europee (funzione legislativa), discutere e adottare il bilancio dell'UE (funzione di bilancio), controllare le altre istituzioni dell'UE, in particolare la Commissione, per accertarsi che agiscano democraticamente (funzione di controllo politico). La funzione legislativa e quella di bilancio sono esercitate dal PE – la “camera dei popoli” – congiuntamente al Consiglio – la “camera degli Stati”. Come vedremo al punto 10, da quest’anno il PE elegge il Presidente della Commissione.

Quest’anno quando si vota?

Si vota dal 22 al 25 maggio, conformemente alle tradizioni dei singoli paesi. Ogni Stato membro ha la libertà di definire quali e quanti giorni tenere aperti i seggi sul proprio territorio: in Olanda e Regno Unito si voterà giovedì 22 maggio, la Repubblica Ceca e la Francia distribuiranno il voto su due giorni (venerdì e sabato la prima, sabato e domenica la seconda), ma la maggior parte dei paesi membri, Italia inclusa, ha scelto di votare nella sola giornata di domenica 25.

Con quale legge elettorale votiamo alle europee?

Una legge elettorale europea non esiste: ogni stato membro ha la sua. Esistono tuttavia dei criteri comuni che devono essere rispettati: conformemente alla decisione del Consiglio del 2002, tutti gli Stati membri devono ad esempio utilizzare un sistema basato sulla rappresentanza proporzionale. Uno Stato membro può prevedere la fissazione di una soglia minima per l'attribuzione dei seggi, ma questa non può superare il 5%. Alle elezioni europee la maggior parte degli Stati membri costituisce un'unica circoscrizione, solo quattro paesi (Francia, Regno Unito, Irlanda, e Italia) hanno scelto di suddividere il proprio territorio nazionale in circoscrizioni regionali. La legge elettorale italiana suddivide il territorio italiano in cinque circoscrizioni: Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud, Isole; ciascuna circoscrizione elegge un numero di deputati proporzionale al numero di abitanti, con una soglia di sbarramento al 4%. Contrariamente a quanto attualmente avviene per le elezioni nazionali, questa legge contempla il voto di preferenza.

Chi può votare e chi può candidarsi?

Le elezioni europee sono elezioni a suffragio universale e diretto. In tutti gli Stati membri l'età prevista per esercitare il diritto di voto è 18 anni (tranne in Austria, dove è di 16), ma l’età minima per candidarsi varia da paese a paese: nella maggior parte dei paesi è fissata a 18, in molti a 21 (ad esempio nel Regno Unito), in Italia a 25. Ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato – la nozione di residenza varia però da paese a paese. Si noti che in virtù della cittadinanza europea codificata dal Trattato di Lisbona, entrambi questi diritti sono riconosciuti anche per le elezioni comunali. In Italia per presentare una lista alle elezioni europee è necessario raccogliere le firme di almeno 30.000 elettori per ogni singola circoscrizione, tranne nel caso in cui la lista abbia partecipato con un proprio simbolo a precedenti elezioni nazionali o europee, ottenendo almeno un seggio. Le liste vanno depositate presso l'Ufficio elettorale di ciascuna circoscrizione al più tardi 39 giorni prima del voto. Sono inammissibili le liste che non prevedano la presenza di candidati di entrambi i sessi. Va infine ricordato che la carica di deputato al Parlamento europeo è, per delibera europea, incompatibile con qualsiasi altra carica istituzionale, europea o nazionale.

Quanti seggi sono attribuiti all’Italia e agli altri paesi? E con quale criterio?

Secondo il trattato di Lisbona, il numero di deputati europei non può superare le 750 unità, Presidente escluso. Ogni Stato membro gode di un numero di seggi proporzionale alla sua popolazione. La rappresentanza è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia massima di 96 seggi e una minima di 6. Lo stato più popoloso dell’Ue è la Germania, che infatti ha 96 seggi, mentre Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta ne hanno 6. All’Italia sono attribuiti 73 seggi, che saranno ovviamente distribuiti alle forze politiche nazionali in virtù dei risultati elettorali.

Quali e quanti sono i partiti europei?

Più che di partiti europei è corretto parlare di “famiglie politiche europee”. Come abbiamo visto, i candidati al PE si presentano nei vari Stati membri di residenza in partiti o liste nazionali. Una volta eletti, a Bruxelles faranno riferimento alla macro-famiglia politica cui il loro partito ha aderito, indipendentemente dalla loro nazionalità. I due principali raggruppamenti politici in seno al PE, i quali dal 1979 si contendono la maggioranza relativa lungo il tradizionale asse sinistra/destra, sono il Partito Popolare Europeo (PPE) e il Partito Socialista Europeo (PSE). Esistono tuttavia altre importanti famiglie politiche (cui in futuro potranno aggiungersene altre): l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali (ALDE), l’Alleanza dei Conservatori e dei Riformisti (ECR), il Partito della Sinistra Europea (GUE), il Partito Verde Europeo – Alleanza Libera Europea (V-ALE), il Movimento per un’Europa della Libertà e della Democrazia (ELD). Per quanto riguarda l’Italia, aderivano e aderiscono al PPE tutti i partiti di centro-destra (il PDL di un tempo, Forza Italia di ieri e di oggi, UDC, UDEUR e come “osservatori” anche Nuovo Centrodestra e Südtiroler Volkspartei), sono membri del PSE il Partito Democratico e il Partito Socialista Italiano, mentre i Radicali e l’Italia dei Valori afferiscono all’ALDE, la Lega Nord all’ELD e Rifondazione Comunista al GUE. È complessa la posizione di Sinistra Ecologia e Libertà, un partito che al momento è diviso tra il sostegno alla candidatura di Martin Schulz (PSE) a Presidente della Commissione e il supporto alla lista l’Altra Europa con Tsipras, i cui eletti dovrebbero confluire nella GUE. Il Movimento Cinque Stelle non ha invece ancora definito la sua posizione in Europa.

Perché questa volta si parla di “candidati alla Presidenza della Commissione”? Chi sono?

Il Presidente Barroso è al termine del suo (secondo) mandato. I candidati alla Presidenza della Commissione esplicitamente sostenuti da forze politiche europee sono: Jean-Claude Juncker (PPE), Martin Schulz (PSE), Guy Verhofstadt (ALDE), Ska Keller (Verdi), Alexis Tsipras (GUE). La competizione politica cui stiamo assistendo in occasione di questo cambio al vertice è dovuta alla nuova procedura di elezione del Presidente della Commissione prevista dal Trattato di Lisbona, una previsione che è entrata in vigore solo quest’anno e che verrà applicata per la prima volta all’indomani del voto di maggio.

Per comprendere senza equivoci il nuovo campo da gioco disegnato dal Trattato di Lisbona e capire perché questa volta i partiti europei abbiano ritenuto di dover indicare un loro candidato all’esecutivo di Bruxelles, è bene riportare direttamente gli articoli in questione:

 Art. 17 TUE, comma 7: "Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono".

 Art. 17 TUE, comma 8: "La Commissione è responsabile collettivamente dinanzi al parlamento europeo. Il Parlamento europeo può votare una mozione di censura [...]".

Com’è evidente, siamo ben lontani da un rapporto di tipo fiduciario tra PE e governo europeo, e il ruolo del Consiglio (ovvero dei governi) rimane preminente. Tuttavia, per quanto estetica e forse strumentale, la politicizzazione che questi articoli hanno innescato è positiva, soprattutto per la Commissione – l’istituzione europea meno amata proprio in virtù della sua opacità burocratica.

Quali sono le altre “riforme di Lisbona” di cui tutti parlano?

Il trattato di Lisbona nasce dalle ceneri della sconfitta del Trattato costituzionale firmato a Roma nel 2004 – la cui ratifica venne interrotta, un anno dopo, dalle bocciature referendarie in Francia e Olanda. La struttura di questo trattato sembra studiata a tavolino per renderlo illeggibile, ma la sostanza giuridica e lo spirito costituzionale sopravvivono anche in quell’orrendo corpo.

Il Trattato di Lisbona è in vigore dal 1° dicembre 2009, tuttavia buona parte delle sue previsioni istituzionali divengono operative a partire da quest’anno: è il caso della summenzionata procedura di elezione del Presidente della Commissione, ma anche della nuova composizione del Parlamento europeo e del nuovo sistema di votazione a “doppia maggioranza” in seno al Consiglio – il meccanismo, che entrerà a pieno regime solo nel 2017, prevede una nuova maggioranza qualificata composta dal 55% degli Stati che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue.

Novità istituzionali di rilievo, già in vigore dal 2009, sono il Presidente stabile del Consiglio europeo – eletto a maggioranza qualificata dai governi per due anni e mezzo – e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, figura che accumula su di sé anche la carica di Vicepresidente della Commissione.

Sia il Presidente del Consiglio Van Rompuy che l’Alto Rappresentante Catherine Ashton sono alla fine del loro mandato: il primo lascerà a novembre di quest’anno, la seconda terminerà il proprio operato contemporaneamente alla Commissione Barroso. L’esito delle prossime elezioni europee peserà dunque sul ricambio di tutti i vertici istituzionali dell’Ue.

Va poi ricordato che il Trattato di Lisbona lascia aperta un’altra strada potenzialmente rivoluzionaria: cosa accadrebbe se le cariche di Presidente della Commissione – eletto sulla base della composizione del PE – e di Presidente permanente del Consiglio europeo – nominato dai governi – si cumulassero in una sola persona? Sarebbe una notevole (e politicissima) fusione tra comunitario e intergovernativo! Il nuovo trattato non prevede ma nemmeno impedisce uno scenario simile.

Ma se ora esiste un Presidente Stabile, perché ho letto che l’Italia assumerà la Presidenza dell’Ue?

La presidenza a rotazione semestrale, che l’Italia assumerà dal prossimo 1° luglio, non è stata abolita dal Trattato di Lisbona, ma a seguito dell’istituzione di una presidenza stabile per il Consiglio europeo – in cui si riuniscono i Capi di Stato e di governo – essa riguarda unicamente il Consiglio dell’Unione europea – in cui si riuniscono i ministri competenti per materia.

Com’è composto il parlamento uscente? Sono attesi grandi cambiamenti?

Per conoscere la composizione del Parlamento uscente potete cliccare qui. Si può affermare che le elezioni del 2009 vennero vinte dal centro-destra: il solo PPE staccò di più di dieci punti il PSE. Purtroppo, a livello europeo, il vero vincitore fu il non-partito dell’astensione: votò solamente il 43,24% degli aventi diritto, l’affluenza più bassa mai registrata.

Particolarmente sconfortanti furono le cifre registrate in molti neo-membri dell’est; in Romania, entrata nell’Ue giusto due anni prima, l’affluenza si fermò al 27,67%. D’altronde, secondo una ricerca effettuata dallo stesso PE, dal 1979 a oggi la partecipazione alle europee è diminuita in tutti gli stati membri con una media di quasi 19 punti percentuali. Alle prime elezioni europee l’affluenza fu del 63% : una soglia mai toccata in seguito, ma va detto che allora la Cee contava solo nove stati membri. Qualunque sarà la composizione del nuovo Parlamento, per la democrazia europea è fondamentale che questo sia legittimato dal maggior numero possibile di cittadini. Paradossalmente (o forse no) in vista delle prossime elezioni sono proprio i movimenti euroscettici a dimostrare la maggior capacità di mobilitazione presso le opinioni pubbliche nazionali.

Chi sono gli “euroscettici”?

Vengono giornalisticamente etichettati come “euroscettici” quei partiti e movimenti che, contestualmente al paese di provenienza, si proclamano contrari all’integrazione europea in nome della sovranità e della democrazia nazionale. I partiti euroscettici più importanti di cui si prevede una buona affermazione sono il Front National in Francia, il Partij voor de Vrijheid in Olanda, il Freiheitliche Partei in Austria, il Movimento 5 Stelle in Italia, e l’UK Independence Party nel Regno Unito. Quest’ultimo riuscì a superare il Partito Laburista già alle scorse europee; il suo leader, Nigel Paul Farage, è il più noto volto europeo del fronte euroscettico. Una volta eletti, i parlamentari di questi partiti fanno in genere riferimento alla famiglia dell’ELD (Movimento per un’Europa della Libertà e della Democrazia) oppure rimangono tra i non iscritti. È possibile che a seguito delle prossime elezioni i deputati programmaticamente anti-integrazione superino le 25 unità, e possano così formare un nuovo gruppo.

L’Unione mi sembra molto complicata e poco trasparente. Dovrei fidarmi? Come faccio a seguire l’operato del candidato che ho votato?

L’Unione europea è complessa, ma è più trasparente di come viene descritta. Complessità e opacità non sono sinonimi: anche le democrazie nazionali più avanzate sono sistemi complessi e perfettibili, i cittadini non sempre trovano di facile comprensione le regole del comune in cui abitano.

La verità è che nonostante operino ad un livello sovranazionale, al vertice della piramide di cui noi siamo la base, le istituzioni europee sono state fondate sui concetti stessi di apertura e trasparenza. Le due sedi del Parlamento europeo, la Commissione europea, la Corte di Giustizia europea, la Banca centrale europea… sono non a caso palazzi di vetro, c'est-à-dire: guardateci, tutto ciò che avviene qui dentro vi riguarda. Ma al di là della felice simbologia dei materiali, anche da un punto di vista sostanziale il giudizio sul processo decisionale europeo molto spesso è negativo a priori: sono anni che le “grigie, nebulose, e incomprensibili” istituzioni di Bruxelles mettono tutto in rete; è da quando esistono che tutti i cittadini possono visitarle, consultarne i documenti, assistere ai loro lavori. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, sappiate che visitarne le sedi è facilissimo, sia come turisti che in qualità cittadini interessati a una seduta – provare per credere: il metal detector di qualsiasi aeroporto è più selettivo.

Sul sito ufficiale vengono puntualmente calendarizzati i lavori e gli ordini del giorno delle plenarie; dal 2008 le sedute sono trasmesse in diretta streaming da EuroparlTV, con sottotitoli o traduzione simultanea disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Le anagrafiche, i curricula, le attività, le dichiarazioni, i contatti di ogni parlamentare europeo sono disponibili a partire da questa pagina.

Per chi non avesse dimestichezza con il web, ricordiamo che il PE ha aperto degli uffici di informazione sul territorio di tutti gli Stati membri. Non mancano poi i tentativi di rendere più giocosa la partecipazione: in vista delle elezioni è stato chiesto a tutti gli eurodeputati uscenti di votare su 15 tematiche chiave per il futuro dell’Unione; gli esiti di queste votazioni sono raccolte su “Il mio voto 2014, una pagina web che incrocia i voti dei parlamentari con le nostre opinioni: possiamo così scoprire quale eurodeputato è più vicino alle nostre posizioni. Al di là delle elezioni, tenete poi presente che tutti gli atti giuridici dell’Unione – i trattati, le direttive, le sentenze della Corte di Giustizia europea – sono scaricabili in tutte le lingue da EUR-Lex. Conformemente a quanto stabilito dall’art. 228 TFUE del Trattato di Lisbona, le persone fisiche e giuridiche di qualsiasi stato membro possono inoltre ricorrere al Mediatore europeo per denunciare casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni e degli organi dell'Unione Europea. Il Mediatore, eletto dal PE per un’intera legislatura, agisce in completa indipendenza da ogni potere.

Noi, figli rifondatori

In conclusione, essere cittadini europei è possibile. Si tratta, è ovvio, di occupare un nuovo spazio di vita civile e politica, uno spazio che non è facile fare proprio, e che a molti appare ancora lontano.

Ciò è dovuto a diversi e comprensibili fattori. Da un lato vi sono i limiti dell’Unione europea, mancanze di cui dobbiamo essere severi detrattori – in questo senso possiamo dire che un buon euroscettico è il miglior europeista, perché sedersi sulla porzione di democrazia ottenuta equivale a metterla in pericolo. Dall’altro vi sono le responsabilità delle élite e dei media nazionali, i quali tendono a riferirsi all’Europa come ad un super-potere senza luogo da cui ciclicamente piovono richieste di “compiti a casa” – un’espressione orrenda, la cui diffusione è emblematica della percezione distorta che abbiamo del progetto europeo.

La nazionalizzazione della battaglia politica europea è, a ben vedere, la prima lacuna democratica dell’Unione: un problema cui dobbiamo trovare una soluzione. Non piegarsi alle facili logiche nazionali già sperimentate dalla Storia durante il secolo che ci lasciamo alle spalle e non rinunciare a un disegno più ampio e di lungo periodo è il difficile compito che spetta alle nuove generazioni europee: a noi, i figli rifondatori. Buone elezioni a tutti.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto BeEU - 8 Media outlets for 1 Parliament


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