
Spaç, Albania - Foto G. Avanza
I lavori di conservazione e restauro all’ex prigione e campo di lavori forzati di Spaç hanno riacceso in Albania il confronto su come viene ricordata la dittatura comunista. Da tempo nel Paese si chiedono politiche e interventi pubblici per la memoria di questo difficile passato
Per punire sospetti oppositori politici e controllare la popolazione attraverso la paura e la deterrenza al dissenso, il regime comunista al potere in Albania dal 1944 al 1991 aveva istituito un sistema di detenzione e "rieducazione" costituito da un imponente numero di prigioni, campi di lavoro forzati, reparti di lavoro temporanei e campi di internamento.
Dal 1968 la cosiddetta "unità di rieducazione 303" venne installata a Spaç, nel comune di Mirdita, in una remota area montuosa nel nord dell’Albania. La collocazione isolata, che assicurava la separazione dei prigionieri dal resto della popolazione, era stata scelta per via dei giacimenti di rame e pirite presenti nella zona, alla cui estrazione i detenuti erano costretti a lavorare in lunghi turni e condizioni disumane.
Si stima che fino ai primi anni ’80 nel campo fossero reclusi tra i 900 e i 1.200 prigionieri politici alla volta, unicamente uomini. Dal 1984 il regime iniziò a utilizzare Spaç anche per ospitare detenuti comuni, fino alla chiusura della prigione dopo il rilascio dei prigionieri politici nel dicembre del 1990 e dei detenuti comuni nel 1991.
Spaç si è affermato come uno dei luoghi più simbolici della sofferenza e delle violazioni dei diritti umani causate dalla dittatura comunista in Albania, ma resta anche nella memoria nazionale come luogo di resistenza alla repressione del regime. È qui infatti che si registrò uno dei pochi episodi di rivolta collettiva nei decenni di regime, la Rivolta di Spaç del 1973, duramente repressa.
Il valore testimoniale del sito è stato confermato dal riconoscimento di Spaç come Monumento Culturale, avvenuto nel 2007 da parte di quello che oggi è il Ministero per l’Economia, la Cultura e l’Innovazione.
Pur essendo l’unica tra le strutture detentive create o utilizzate dal regime comunista a beneficiare di questo status, l’ex prigione è rimasta in stato di abbandono dal momento della chiusura.
Numerosi elementi del complesso – il filo spinato di recinzione, il cancello d'ingresso, le torri di avvistamento – sono stati rubati. Le gallerie di accesso alla miniera sono collassate, alcuni edifici del campo sono crollati, mentre altri restano in piedi in condizioni precarie.
Diversi fattori hanno contribuito all'inazione delle istituzioni pubbliche nei confronti di Spaç, almeno fino a oggi. La forte instabilità politica, economica e sociale degli anni ‘90, culminata nel periodo di anarchia del 1997, ha imposto altre priorità alle fragili istituzioni albanesi nel primo decennio di transizione post-dittatura.
Altra questione significativa è stata l’incertezza legata alla proprietà degli immobili e dei terreni una volta cessato il socialismo di Stato. Non meno determinante è stata, tuttavia, la riluttanza dei governi di varia appartenenza politica ad affrontare apertamente il passato comunista.
Pur con alcune eccezioni, permane una certa difficoltà nel promuovere iniziative di memoria svincolate da logiche partitiche, così come nel sostenere politiche di tutela dell’eredità materiale della dittatura che rispondano ai bisogni educativi e commemorativi espressi da una parte della popolazione.
Nonostante questo, non si sono mai fermati gli appelli alla salvaguardia di Spaç da parte di ex-prigionieri politici, del Comune di Mirdita, di organizzazioni della società civile e istituzioni pubbliche autonome, che hanno anche portato avanti attività di commemorazione, educazione e riflessione attorno a Spaç, spesso organizzando eventi in loco e visite guidate.
Alcune organizzazioni indipendenti hanno sostenuto negli anni spese per la guardiania del sito, lo sfalcio dell’erba e una piccola manutenzione dei sentieri, ma anche interventi di emergenza per la stabilizzazione degli edifici a pericolo di crollo, realizzati nel 2018.
Nel dicembre del 2024 l’Istituto Nazionale del Patrimonio Culturale, afferente al Ministero dell’Economia, della Cultura e dell’Innovazione, si è attivato per realizzare i primi interventi finanziati con fondi pubblici a Spaç, definiti di “conservazione-restauro”.
Il progetto redatto prevede la riparazione delle pareti di alcuni edifici, l’installazione di cancelli metallici, ringhiere e corrimano, la ricostruzione di una torre di osservazione, e opere di stuccatura, intonacatura e tinteggiatura.
Avviato a maggio 2025, il cantiere affidato a una ditta esterna parrebbe essere stato però sospeso – almeno momentaneamente – a causa delle proteste sorte riguardo all’impatto che gli interventi avrebbero sull’autenticità del sito.
A causare la reazione pubblica sono state alcune immagini dei primi interventi realizzati, immagini inizialmente circolate online e poi oggetto di un post pubblicato sui social da un attivista albanese, ricondiviso decine di volte. Nel giro di pochi giorni, il crescendo di attenzione ha portato la questione sulla stampa nazionale e internazionale, e nelle televisioni.
Le richieste di un gruppo di cittadini e organizzazioni sono state riassunte in una petizione disponibile online , indirizzata al Ministero per l’Economia, la Cultura e l’Innovazione e all’Istituto Nazionale del Patrimonio Culturale per chiedere di “fermare gli interventi incontrollati che danneggiano l'autenticità della prigione di Spaç”.
Secondo quanto riportato nel testo della petizione, gli interventi effettuati finora a Spaç rischiano di deformare la memoria collettiva, cancellando le tracce del tempo sulle rovine degli edifici e ricostruendo porzioni del sito in un modo che non è fedele né alle testimonianze offerte dagli ex-prigionieri politici – che in questi giorni hanno partecipato numerosi alle contestazioni – né dal materiale d’archivio disponibile.
L’approccio con cui vengono condotti i lavori seguirebbe, sempre secondo i firmatari della petizione, una logica estetica che attenua la possibilità di percepire Spaç come luogo di dolore e sofferenza, vero e proprio documento di una vicenda storica.
Stando alle dichiarazioni rilasciate da alcuni membri del gruppo informale, è stata avanzata la preoccupazione che questo tipo di interventi sia stato concepito con il solo scopo di preparare l’ex-prigione ad ospitare il set cinematografico di un film sulla Rivolta di Spaç del 1973 annunciato dal regista albanese Namik Ajazi .
Nel corso di un incontro pubblico organizzato in un centro culturale di Tirana il 3 giugno 2025 con gli attivisti e in successive dichiarazioni stampa , il regista avrebbe confermato l’intenzione di realizzare il film, smentendo però il timore che gli interventi in corso possano compromettere l’autenticità del sito, e dichiarando anzi che essi sarebbero coerenti con l’intento di creare un museo a Spaç.
A propria volta, il gruppo di protesta ha affermato di non avere nulla da contestare alla realizzazione del film, e che le richieste riguardano l’approccio degli interventi di conservazione, che chiedono venga rimesso in discussione in un processo di consultazione pubblica e trasparente.
Dopo alcuni giorni di attesa, il Ministero dell’Economia, della Cultura e dell’Innovazione albanese ha pubblicato il 6 giugno sul proprio profilo Facebook una dichiarazione di risposta alle proteste dai toni molto coloriti.
La comunicazione ribadisce la sinergia tra gli interventi conservativi e il progetto cinematografico e difende l’approccio implementato, segnalando che gli interventi sono stati concepiti attentamente per “conservare e arricchire la memoria storica”, integrando e armonizzando tecniche scenografiche e opere di restauro.
Sabato 7 giugno un gruppo di cittadini guidato da alcuni ex prigionieri politici si è recato a Spaç per verificare lo stato degli interventi in corso. Ciò che risulta inedito rispetto ad analoghe situazioni di protesta avvenute nel passato è che una considerevole parte di coloro che si sono attivati per opporsi al cantiere è formata da giovani della generazione nata a cavallo della caduta del regime o negli anni successivi, tra cui numerosi professionisti e attivisti del mondo della cultura.
Appare evidente che questo vivo dibattito sull’approccio da adottare nella conservazione di Spaç accenda i riflettori su scelte simboliche e politiche più ampie, legate a come in Albania si trasmette la memoria del periodo della dittatura comunista. Che implicazioni può avere il ricostruire sul rispetto della verità storica?
Questa occasione appare preziosa per avviare un confronto pubblico su questioni che troppo raramente emergono nel dibattito nazionale: il modo in cui si costruisce la memoria collettiva, chi ha voce nel definirla e quali spazi e strumenti siano ritenuti legittimi per raccontare un passato ancora irrisolto.
L’ex prigione e campo di lavori forzati di Spaç sta già cambiando volto: il suo destino – e la sua futura rilevanza nella coscienza collettiva – dipenderanno inevitabilmente dalla qualità e dall’esito di questo confronto.
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