Silvia Garambois 18 novembre 2019
Querele bavaglio, foto siam.pukkato - Shutterstock.jpg

A Roma il 19 novembre, presso la sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana, si terrà un incontro in cui verrà presentato l'appello lanciato da Articolo21 che ha già raccolto decine di firme, rivolto a senatori e deputati affinché approvino rapidamente una legge contro querele bavaglio e minacce ai giornalisti

Fonte: Articolo 21

“Siamo pronti a tornare in piazza”: i giornalisti sono sempre sotto attacco, il Parlamento non annulla leggi assurdamente punitive e non ne scrive di nuove a favore della libertà di stampa, l’appello di Articolo21 – l’associazione di giornalisti e cittadini per la libera informazione – contro le querele bavaglio è stato rilanciato e ha già decine e decine di firme. E' rivolto a senatori e deputati affinché approvino rapidamente una legge contro querele bavaglio e minacce ai giornalisti.

E martedì 19 novembre verrà presentato a Roma alla Federazione della Stampa (Corso Vittorio Emanuele II, 349, ore 12.00) con un incontro al quale parteciperà anche il viceministro agli Interni Matteo Mauri. Saranno presenti anche i parlamentari Primo Di Nicola, Walter Verini e Francesco Paolo Sisto.

Tra i giornalisti presenti ci saranno: Sigfrido Ranucci che racconterà delle minacce a Report; Mario Di Michele porterà la sua testimonianza dopo l’attentato di pochi giorni fa. Federica Angeli parlerà delle 125 querele bavaglio ricevute, tutte archiviate, senza che i querelanti abbiano pagato pegno. Paolo Borrometi svelerà chi sono i mafiosi che lo insultano dal carcere. Con loro Sandro Ruotolo e Fanpage che presenteranno le nuove inchieste giornalistiche, ed ancora le denunce di Nello Trocchia, di Fabiana Pacella, Angela Caponnetto, Arnaldo Capezzuto, Antonella Napoli, Graziella Di Mambro.

I numeri parlano chiaro. Sessantaquattro giornalisti condannati al carcere. In un anno. In Italia. Non avevano fatto rapine e neppure investito qualcuno con la macchina: avevano scritto articoli sui loro giornali.

Avevano sbagliato, lo hanno detto i giudici, è stata riconosciuta la “diffamazione”. Ma il problema non è il loro errore: il problema è la condanna al carcere. Perché è l’Italia ad essere stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la presenza della pena detentiva per il reato di diffamazione. E il nostro Parlamento non ha mosso paglia… È dal 2001 che alla Camera e al Senato giacciono le proposte di legge per abolire il carcere per i giornalisti, ma vengono sempre accantonate. E anche oggi, tutto tace.

Ora la partita è in mano alla Corte Costituzionale: quest’anno, dopo che un tribunale ha deciso il carcere per un giornalista e per il direttore del giornale “Roma” di Napoli, il tribunale di Salerno ha accolto la tesi di incostituzionalità della pena, perché “anche la sola previsione astratta della possibile irrogazione di una pena detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa comporterebbe una limitazione eccessiva del diritto convenzionalmente e costituzionalmente tutelato della libertà di manifestazione del pensiero e di cronaca del giornalista, incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Ma non si tratta solo del carcere. A frenare la penna di chi fa inchieste, di chi racconta e vuole raccontare la realtà ci sono le querele. “Querele temerarie”, mosse sul nulla, solo per impedire ai giornalisti di continuare a scrivere: 9.039 querele per (presunta) diffamazione, al 70% archiviate, perché non esistevano i presupposti della querela. Servivano solo a impedire ai giornalisti di scrivere ancora. Novemila querele in un anno. Querele bavaglio.

Questi dati sono stati illustrati a un recente convegno al Senato su “L’impunità per le minacce ai giornalisti ” organizzato da “Ossigeno per l’informazione”. Dati che si fermano al 2016, come ha spiegato il segretario generale dell’associazione, Giuseppe Mennella, che ha analizzato le ricerche – anno su anno – dell’Istat. Ebbene, è risultato che dal 2011 al 2016 c’è stata una vera impennata di denunce contro i giornalisti, sono praticamente raddoppiate. E sempre di più sono quelle archiviate. Denunce infondate.

Ma se un giornalista rischia 50mila euro di multa o il carcere fino a sei anni (anche se le condanne effettive oscillano tra un mese e due anni), con quale coraggio si addenterà ancora nei troppi misteri italiani? Con quello, ad esempio, di Marilù Mastrogiovanni, che dalla piccola testata pugliese “Il tacco d’Italia” non molla: “Solo nell’ultima settimana – ha raccontato al convegno – sono stata interrogata tre volte in due giorni, sugli stessi fatti, su richiesta e delega di tre diversi magistrati. In più è arrivata una nuova querela. Su quegli stessi fatti, altre querele e altri magistrati hanno archiviato perché tutto vero. Quell’inchiesta parlava di interessenza tra Sacra Corona Unita-politica-imprenditoria: un’inchiesta in cui citavo tutte le fonti. Fonti documentali, pubbliche. Molte di queste sono atti giudiziari”. Eppure, anziché lavorare, passa le giornate nelle sale d’attesa dei commissariati, aspettando l’interrogatorio…

Negli ultimi mesi, finalmente, tanti impegni. Ma nessun passo avanti. Per questo, ora, è stato rilanciato da Articolo21 l’appello contro le querele bavaglio: a fine agosto – è scritto – “abbiamo pubblicato una richiesta chiara e su varie questioni, sulla quale avremmo valutato l’esecutivo che si stava delineando, senza preconcetti ma anche senza entusiasmo prematuro. Purtroppo, ci vediamo nella situazione di dover ribadire quelle richieste, e le risposte che ci aspettiamo diventano ogni giorno più urgenti, vista la deriva di aggressioni verbali, di tentativi di delegittimare il giornalismo di qualità e mettere il bavaglio ai cronisti che cercano di andare oltre dichiarazioni e dati ufficiali”.

E ancora: “Diamo atto al sottosegretario con delega sull’informazione Martella di aver ribadito ripetutamente la volontà di intervenire, sia per garantire il sostegno economico alle testate indipendenti in difficoltà che per sostenere la difesa del diritto di cronaca con iniziative legislative. Ma non vediamo concreti passi avanti nelle sedi competenti, a cominciare dal Parlamento”.