7 agosto 2020
Filo spinato (Berke/Shutterstock )

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, al Ministero dell’Interno e all’Unhcr in risposta alle dichiarazioni contrastanti con i principi di diritto interno ed europeo in tema di libertà e diritti umani fondamentali. Condividiamo una nota riassuntiva della lettera

Fonte: Asgi - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione

In data 24 luglio 2020 il Ministero dell’Interno , tramite  il sottosegretario Variati, ha risposto in Aula, alla Camera dei Deputati, alla interrogazione urgente presentata dall’On. Riccardo Magi sulla situazione delle cosiddette “riammissioni informali” dei cittadini stranieri alla frontiera terrestre italo-slovena. Le risposte fornite dal governo in quella sede sono di eccezionale gravità perché profondamente contrastanti con principi di diritto interno ed europeo in tema di libertà e diritti umani fondamentali. Va ulteriormente sottolineato che la nota risulta in più parti sostanzialmente contraddittoria e totalmente priva di riferimenti a fonti normative o ad interpretazioni giurisprudenziali che ne possano giustificare nel merito la portata.

Prima di analizzare brevemente nel merito le affermazioni contenute nella nota ricordiamo che la riammissione è quell’istituto che prevede il potere statuale di re-inviare una persona intercettata in zona di frontiera con una procedura semplificata nel paese di provenienza qualora non abbia i requisiti per un accesso regolare nel paese di destinazione. La base giuridica di queste azioni va ricercata in accordi bilaterali tra gli stati che possono essere considerati legittimi solo a condizione che le disposizioni non siano in contrasto con quanto previsto dalla normativa europea ed internazionale in tema di circolazione delle persone, diritto alla protezione internazionale e tutela dei diritti fondamentali.

Informalità delle riammissioni

Innanzitutto, il Ministero ha pacificamente confermato che avvengono riammissioni senza provvedimenti formali (vale a dire senza un atto amministrativo prodotto e notificato all’interessato), la qual cosa ovviamente preclude di fatto allo straniero di potersi opporre giudizialmente al provvedimento. Il Ministero ha giustificato tale gravissima modalità operativa facendo genericamente riferimento a “prassi consolidate” delle stesse “speditive procedure” di riammissione. Come già evidenziato nella lettera aperta al Governo (e p.c. ad UNHCR) che ASGI ha inviato in data 5 giugno , tuttora rimasta senza risposta, l’espressione “riammissioni senza formalità” contenuta nell’Accordo bilaterale Italia – Slovenia per la riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996, non può certo essere intesa nel senso che la riammissione possa avvenire senza l’emanazione di un provvedimento amministrativo in quanto è indiscutibile che l’azione posta in essere dalla pubblica sicurezza con l’accompagnamento forzato in Slovenia produce effetti sulla situazione giuridica dei soggetti interessati. Andrà invece correttamente intesa nel senso che le procedure di segnalazione e di coordinamento delle operazioni di riammissione tra le autorità italiane e quelle slovene possono avvenire senza particolari appesantimenti procedurali.

Irrilevanza della domanda di protezione internazionale

Decisamente sconcertante è risultata l’affermazione secondo la quale le riammissioni a carico dei cittadini stranieri vengono applicate anche qualora sia manifestata l’intenzione di chiedere protezione internazionale”. Il diritto alla protezione internazionale rimanda a diritti soggettivi fondamentali e l’accesso alla procedura di asilo e l’individuazione del Paese competente ad esaminare la domanda sono disciplinati dal diritto dell’Unione Europea, in special modo dal Regolamento Dublino III il quale statuisce che “gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito”. L’obbligo, per lo Stato membro, di registrare la domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera va rispettato in ogni circostanza, anche nei casi, nei quali il richiedente abbia varcato irregolarmente la frontiera di uno Stato membro in provenienza da un altro Stato membro. I criteri di competenza che stabiliscono quale paese dovrà esaminare la domanda di asilo sono precisamente indicati nel Regolamento che comunque esclude in modo tassativo che possano trovare applicazione principi e procedure contenute negli Accordi di riammissione inter-statali. 

Successivamente il testo assume toni ambigui e contraddittori rassicurando che “a tutti gli stranieri irregolari rintracciati vengono fornite informazioni, con l’ausilio dell’interprete, sulla possibilità di richiedere protezione internazionale” precisando che viene consegnato a tal fine un apposito opuscolo informativo. Quanto sostenuto non corrisponde alle numerosissime testimonianze raccolte, in Italia e all’estero e, comunque, sarebbe un’attività assolutamente priva di senso considerata l’imminente sorte che spetterebbe anche a chi manifesta la domanda di asilo. Ulteriore conferma di ciò viene ribadita nella nota ministeriale che ripete che “qualora ricorrano i presupposti per la richiesta di riammissione e la stessa venga accolta dalle autorità slovene non si provvede all’invio in Questura per la formalizzazione dell’istanza di protezione”. La manifestazione della volontà di domandare protezione rimane quindi un comportamento privo di alcun effetto giuridico e, di riflesso, di alcun obbligo per le autorità italiane giacché in caso di accoglimento, da parte della Slovenia, della domanda di riammissione “mediante la compilazione e l’invio di un apposito modulo nel quale sono indicati gli elementi a supporto dell’istanza” il cittadino straniero viene riammesso in Slovenia al pari di coloro che non hanno chiesto protezione, quindi come straniero irregolare. La nota inoltre non sostiene affatto che in tale ipotesi lo straniero verrebbe riammesso in Slovenia come richiedente protezione aprendo quindi la strada ai numerosi respingimenti a catena che stanno caratterizzando la sorte di molte persone.

Rischio di respingimenti “a catena”

In relazione a questa pratica, documentata da numerosi rapporti internazionali, il Ministero dell’Interno si limita a rispondere che “Slovenia e Croazia sono membri dell’Unione Europea” e di conseguenza  “essi sono da considerare intrinsecamente Paesi sicuri, sotto il profilo dei diritti umani e delle convenzioni internazionali in materia”. Appare opportuno esprimere forti preoccupazioni sul sistema di asilo sloveno e croato e, soprattutto, sulle possibilità di accesso effettivo alla procedura di asilo. Secondo i dati riportati dall’Eurostat, nei primi quattro mesi del 2020, la Croazia ha registrato 400 domande di protezione internazionale, pari allo 0,3% del totale dell’UE. In Slovenia le domande registrate sono state 490 contro le 6840 domande di asilo registrate in Italia.  Inoltre come già evidenziato nella nota ASGI dell’8 giugno 2020, il diritto degli Stati di respingere o di espellere chi non ha titolo per entrare o rimanere sul territorio nazionale, seppur lecito in quanto espressione del principio di sovranità statale, trova dei precisi limiti in quanto gli Stati hanno non solo l’obbligo di riconoscere, garantire e proteggere i diritti umani delle persone che si trovano sotto la propria giurisdizione, ma anche il dovere  di rispettare i trattati sui diritti umani e di non trasformarli in norme prive di efficacia. Il Governo italiano non può inoltre fingere di ignorare che i migranti riammessi dall’Italia verso la Slovenia e poi dalla Slovenia verso la Croazia vengono successivamente trasferiti coattivamente in Serbia o in Bosnia-Erzegovina, che tali operazioni avvengono senza che alcun provvedimento sia adottato e notificato agli stranieri coinvolti e che migranti siano sottoposti a violenze brutali da parte sia della polizia croata sia di componenti di milizie private. La pratica dei respingimenti a catena è stata recentemente riconosciuta anche dal Tribunale Amministrativo Sloveno che il 16 luglio ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione dal Slovenia alla Croazia e poi dalla Croazia alla Bosnia di un richiedente asilo. Il giudice sloveno ha stabilito che la polizia non ha informato l’interessato del suo diritto a presentare domanda di protezione internazionale, in chiara violazione del diritto nazionale e dell’UE. La riammissione ha anche violato il divieto di espulsione collettiva perché al richiedente non è stato notificato un ordine di allontanamento, né gli è stata fornita l’assistenza legale e linguistica prima della sua riammissione in Croazia. Per quanto riguarda il respingimento a catena, la sentenza ha trovato “rapporti sufficientemente affidabili sui possibili rischi dal punto di vista dell’articolo 3 della CEDU” sia in Croazia, dove il richiedente è stato inizialmente allontanato, sia in Bosnia-Erzegovina, dove è stato successivamente respinto.

Perplessità circa l’efficacia nel contesto descritto di un servizio di assistenza agli stranieri presso i valichi di frontiera

Da ultimo la nota si chiude con la rassicurazione dell’avvio di un servizio di assistenza degli stranieri ai valichi terrestri della provincia di Trieste che dovrà essere avviato dal CIR. Facendo riferimento a quanto esplicitato nelle righe precedenti, (vale a dire alla sostanziale inutilità della domanda di protezione internazionale al fine di prevenire il meccanismo di riammissione) non possono che esprimersi perplessità circa l’efficacia di un servizio simile anche in termini di effettiva possibilità dei cittadini stranieri di accedervi.

Conclusione

In conclusione la nota con la quale il Ministero dell’Interno ha fatto conoscere la propria posizione in merito alle cosiddette riammissioni informali dei cittadini stranieri, anche richiedenti asilo, alla frontiera italo-slovena, rappresenta una rivendicazione ideologica di procedure illegittime attuate in totale sprezzo del diritto interno e del diritto dell’Unione Europa. Pur nella controversa e per molti tratti oscura politica dell’asilo in Italia mai si era giunti a una violazione della legalità così macroscopica e tale da porre alle  istituzioni italiane ed europee dei serissimi interrogativi sulle violazioni dei diritti fondamentali in atto al confine terrestre con la Slovenia. 

In ragione di questa gravissima situazione, ASGI chiede al Governo italiano:

  • di porre fine con immediatezza alle prassi che permettono le riammissioni illegittime alla frontiera italo slovena;
  • di impartire indicazioni precise alle sedi periferiche dell’amministrazione centrale affinché il rispetto del diritto d’asilo ed in particolare  del diritto effettivo di accedere al territorio e  chiedere protezione internazionale sia adeguatamente garantito;
  • di riferire con urgenza di fronte alle Camere sulla situazione che si è venuta a creare al confine orientale fornendo tutti i dati necessari e riferendo specificamente sulle  modalità operative con le quali finora sono state attuate le riammissioni.

e chiede a UNHCR:

  • di assumere un’aperta posizione pubblica sulla nota del Governo italiano in relazione alle riammissioni dei richiedenti protezione internazionale. Per comprensibili ragioni legate al proprio mandato, UNHCR spesso opera attraverso forme di moral suasion che non assumono rilievo pubblico ma  situazioni, come quella oggetto della presente analisi, impongono che l’opinione pubblica, le istituzioni e le associazioni abbiano il pieno  diritto di conoscere la pubblica posizione di UNHCR su fatti così gravi che si svolgono nel territorio dell’Unione Europea;
  • di attuare un effettivo monitoraggio diretto della situazione sul confine orientale che finora è del tutto mancato,  nella consapevolezza che la situazione di illegalità descritta ha già portato al respingimento di centinaia di richiedenti asilo e che fermare tale situazione deve divenire una priorità assoluta da parte dell’agenzia delle nazioni unite preposta a difendere l’esistenza stessa del diritto d’asilo.