Antonio Campanini 11 maggio 2017

Il diario di Antonio Campanini, che ha partecipato ad alcune delle tappe della Civil March for Aleppo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Partita il 26 dicembre da Berlino, la Civil March for Aleppo continua in questi giorni il suo cammino quotidiano, proponendosi di raggiungere Aleppo dopo avere attraversato Macedonia, Grecia e Turchia.

Lo scorso 6 aprile Antonio Campanini, in rappresentanza del gruppo “Reggio Emilia per Aleppo” ha raggiunto la marcia durante alcune tappe in Serbia. Insieme ad Antonio anche due rappresentanti del gruppo “Emmaus” di Mantova. Di seguito, il suo diario delle giornate in cui la marcia ha attraversato la Serbia.

“Decidiamo insieme di viaggiare di notte per evitare il traffico. A Verona ci fermiamo per unirci al gruppo Emmaus di Villafranca che sta realizzando un progetto di assistenza alimentare ai migranti accampati dietro la stazione di Belgrado.

Al confine tra Slovenia e Croazia cominciano le prime difficoltà: sono le tre di notte e nonostante il poco traffico incontrato, i veicoli che viaggiano in direzione opposta alla nostra devono affrontare quasi due ore di colonna dovute ai controlli accuratissimi per l’entrata nella Fortezza Europa: questa frontiera è la via d’accesso per i migranti che hanno percorso la rotta balcanica, in fuga dalle guerre.

Arriviamo a Belgrado in ritardo e andiamo subito alla stazione dei autobus: gli amici di Mantova di Emmaus devono servire la prima colazione ai migranti che si trovano nei pressi della stazione. Il luogo è pazzesco: la stazione, che io conosco bene dai tempi in cui ho preso parte a dei progetti di cooperazione negli orfanotrofi della città, è un luogo con negozi e ristoranti alla “moda” dove i belgradesi vanno a fare shopping. Ma basta fare due passi sul retro - prima bisogna “pagare!” per entrare nel parcheggio - e ti trovi nell’inferno dei capannoni abbandonati dove “vivono” o meglio “sopravvivono” circa 700 persone arrivate fin qui lungo la rotta balcanica. Sono quasi tutti uomini, molti di loro sono ragazzini di 12-13 anni provenienti da Afghanistan, Pakistan e altre zone colpite da guerre e cambiamenti climatici. Hanno trascorso l’inverno qui in condizioni igienico-sanitarie “disumane”.

Ora la situazione è leggermente migliorata: Medici Senza Frontiere garantisce l’assistenza sanitaria e una rete di ONG internazionali unite nella dicitura Hot food from Idomeni fornisce un pasto caldo al giorno.

Murales nella zona della stazione di Belgrado (Foto: Antonio Campanini)

Stiamo con loro tutta la giornata, molti parlano l’inglese e la sensazione è che abbiano un buon livello culturale. Le loro famiglie hanno investito su di loro, scommettendo per un futuro migliore.

Un episodio che mi colpisce molto si verifica quando vado a prendere un caffè in bar scalcinato nei pressi della stazione. All'interno vedo numerosi ragazzi migranti incollati al cellulare: il quel bar c'è una rete wireless libera, a cui sono tutti connessi per poter comunicare con il loro genitori, lontani migliaia di chilometri. Fra una telefonata e l'altra, mi raccontavano l’importanza del cellulare, per loro fondamentale per mantenere rapporti con amici e parenti. Stiamo parlando di ragazzi di 13-14 anni!

Un po' sconcertati e profondamente colpiti da quello che abbiamo visto, ci avviamo verso l'ostello nel quale pernotteremo. Siamo in pieno centro città, proprio dietro il Parlamento Serbo. Nel giro di poche ore assistiamo a due manifestazioni molto partecipate da giovani studenti. Il motivo? La settimana prima si sono tenute le elezioni presidenziali in Serbia, che hanno consegnato la vittoria al premier uscente Alexander Vučić. Vincitore contestato perchè accusato di brogli, irregolarità rispetto alla regole elettorali e mancata pubblicazione delle spese elettorali.

La mattina ci rechiamo di nuovo alla stazione per servire la colazione ai migranti: dopo i saluti si parte per raggiungere la Civil March vicino la città di Niš, a circa 200 chilometri da Belgrado. Verso sera arriviamo nella cittadina di Trstenik, dove incontriamo Lisa Bosia Mirra, cittadina Svizzera del Canton Ticino Italiano, parlamentare del Partito Socialista Svizzero e coordinatrice di una ONG che dirige in collaborazione con UNHCR diversi campi di accoglienza per migranti lungo la rotta balcanica. Sta marciando da un mese ed è un po' acciaccata, ma è una persona straordinaria!

La mattina seguente ci uniamo finalmente alla Civil March con grande emozione. Queste persone stanno marciando da oltre 2.000 chilometri percorrendo al contrario la rotta balcanica, hanno attraversato luoghi già colpiti da guerre come Croazia e Bosnia e città che furono assediate, come Sarajevo. L’organizzazione è assolutamente democratica e orizzontale, le decisioni vengono prese in assemblea e i compiti distribuiti fra i partecipanti.

La tappa odierna raggiungerà la città di Kruševac, a 30 chilometri circa. Ci sarà una pausa a metà strada per il pranzo che preparerà il gruppo di appoggio che li precederà con un furgone. La Civil March applica le regole non violente della comunicazione e si propone di stimolare il coinvolgimento dal basso di civili che si incontrano per strada, con la distribuzione di volantini e inviti a partecipare alla marcia. In ciascuno dei luoghi attraversati dall'iniziativa, si attivano incontri con realtà locali che si battono per i diritti umani e si raccolgono messaggi di pace da consegnare quando arriveranno ad Aleppo.

I partecipanti alla marcia da Reggio Emilia e Mantova

Nella pausa pranzo ci fermiamo in un piccolo villaggio serbo e ci sistemiamo nella piazza del paese per pranzare. Un ragazzo serbo si avvicina incuriosito e ci fa un sacco di domande. Dopo pochi minuti arriva tutto il paese, tutti ci portano cibo e bevande. Tutto questo mi entusiasma, mi ricorda la Marcia del Sala di Ghandi, la Marcia dei 500 a Sarajevo e quelle in Palestina, nei territori occupati. Questi marciatori stanno camminando per noi, per una Europa senza frontiere e reticolati, per un mondo senza guerre. È vera “diplomazia della pace” che delegittima le diplomazie governative corrotte e venditrici di armi. I partecipanti cambiano continuamente, ogni giorno ci sono arrivi da tutti i paesi europei e partenze di chi ha già percorso la propria tappa. Noi abbiamo incontrato un gruppo di polacchi, tra cui uno dei fondatori di Solidarnosc, francesi, spagnoli, austriaci, svizzeri e tedeschi.

Nel pomeriggio arriviamo nella città di Krusevac, dove ci accoglie un gruppo di ragazzi punk. Ci portano nella loro sala di registrazione, si organizza una cena a cui segue la consegna del materiale che sarà portato ad Aleppo. Da reggio Emilia, io ho portato un album di foto della manifestazione organizzata il 27 dicembre , il giorno dopo quello in cui la Civil March è partita da Berlino. Il gruppo di Mantova consegna un drappo con orme di bambini Italiani da donare alla scuola di Aleppo dove operava il clown Hanas, morto a causa dei bombardamenti.

La serata si conclude discutendo delle difficoltà che la Civil March deve ancora affrontare prima di poter raggiungere l'obiettivo di arrivare ad Aleppo. Il transito in Turchia, un paese che sta vivendo una situazione di pseudo-dittatura, rappresenta una delle sfide principali. I marciatori sono molto determinati a raggiungere l’obiettivo finale, l'entrata ad Aleppo, ma è chiaro che questo deve avvenire in condizioni di sicurezza. Per permetterlo, è necessario un sostegno anche da parte delle istituzioni locali dei territori che saranno attraversati dalla marcia: Consigli Regionali, Provinciali e Comuni, oltre che organizzazioni internazionali come OSCE e UNHCR. È compito anche dei gruppi locali, come il nostro, sostenere e diffondere tramite gli organi di informazione gli obiettivi e il valore della Civil March.”