Svetla Dimitrova 15 ottobre 2014

Nell'Ue sarebbero allarmanti gli effetti delle leggi sulla diffamazione sulla libertà di stampa. Lo denuncia in un suo studio l'International Press Insitute di Vienna

In Europa vi è quanto mai la necessità di riformare le leggi sulla diffamazione, di rendere le magistrature consapevoli del possibile effetto-censura di un abuso di queste leggi e di formare i giornalisti in modo da far sì che possano esercitare i propri diritti e rispettino determinati standard editoriali.

Sono queste le conclusioni di una recente ricerca realizzata dall'IPI, la storica organizzazione di Vienna che si occupa di libertà di stampa. Oggetto dello studio l'analisi delle leggi sulla diffamazione vigenti nell'Ue e in cinque paesi candidati a divenire parte del blocco dei 28, esclusa l'Albania che non aveva ancora ricevuto lo status di paese candidato al momento dell'avvio della ricerca.

La ricerca si basa su un sondaggio che prevedeva 46 domande focalizzate su svariati aspetti, incluso il background giornalistico degli intervistati; la loro consapevolezza su codice civile e penale relativamente a diffamazione, insulti e blasfemia; conoscenza di strumenti legali a disposizione dei giornalisti. I primi risultati della ricerca, resi pubblici lo scorso luglio, hanno mostrato che circa il 60% dei giornalisti, editori ed altre figure professionali operanti nel mondo dei media che hanno partecipato al sondaggio, hanno riferito che in prima persona, o indirettamente, sono stati coinvolti in procedimenti penali o civili.

“I risultati del nostro sondaggio dimostrano che c'è una giustificata ragione ad essere preoccupati sull'effetto-censura risultante dall'abuso delle leggi che nell'Unione europea si occupano di diffamazione”, afferma IPI nella sua ricerca, citando quattro elementi concreti emersi.

Uno di questi è che l'85% tra chi ha risposto crede che i procedimenti per diffamazione penali o civili “sono comunemente portati avanti per un motivo improprio, come quello di frenare la libertà di espressione o di interferire con il giornalismo”. Una percentuale leggermente inferiore (80%) di giornalisti coinvolti nel sondaggio pensa che quelle leggi abbiano un medio o alto impatto sulla libertà di stampa nel proprio paese, mentre meno della metà degli intervistati ritiene che il procedimento per diffamazione venga trattato in modo equo dai sistemi giudiziari nazionali.

Il watchdog viennese è particolarmente allarmato dal fatto che “il 37% degli intervistati ha detto che i casi di diffamazione portati avanti contro di loro o contro i colleghi hanno causato in loro un cambiamento di comportamento come giornalisti”, e molti hanno spiegato di “essere diventati molto più cauti, in particolare nelle indagini investigative.”

Basandosi sulle risposte alle domande del sondaggio, l'IPI ha anche concluso che i giornalisti hanno bisogno di training sulle leggi per la diffamazione nei propri paesi così da rinforzare la loro capacità di difesa dei propri diritti nell'eventualità che si trovino ad affrontare un procedimento per diffamazione.

Questo sondaggio è stato il secondo di tre documenti sulla diffamazione che l'IPI ha pubblicato nel corso dell'estate: il primo di questi forniva una panoramica sulle leggi di diffamazione nell'Unione europea, mentre il terzo riguarda una panoramica sugli standard internazionali in materia di libertà di espressione e diffamazione.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.