Giorgio Romagnoni 28 ottobre 2014

Come ogni anno, la commissione europea ha pubblicato i progress report per i paesi, che bussano alla porta dell'Ue. Ecco una breve foto panoramica di Balcani occidentali e Turchia con alcuni commenti del mondo accademico inglese

L'8 ottobre 2014 il commissario uscente per le politiche europee in tema di allargamento, Štefan Füle, ha presentato i Strategy and Progress Reports, documenti che annualmente la commissione europea redige per monitorare la situazione politica ed economica di Albania, Montenegro, Turchia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo e FYROM, tutti paesi che aspirano ad entrare nell'Unione europea.

Nonostante in tema di allargamento in queste settimane regni una certa cautela – il neo presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker ha più volte tenuto a precisare che non vi saranno nuovi allargamenti durante i suoi cinque anni di mandato – il commissario uscente Füle ha rivendicato numerosi successi del suo mandato. In particolare, il commissario ceco ha posto l'accento non solo sui diritti fondamentali e sul rispetto delle minoranze; ma anche su criteri valutativi, come la cooperazione regionale e il dialogo tra le forze politiche interne, condizioni che a suo avviso hanno acquisito sempre più peso all'interno degli ultimi progress reports.

Montenegro

Il Montenegro è seduto al tavolo dei negoziati per l'adesione all'Ue dal giugno 2012. Attualmente il suo governo ha aperto altri dieci capitoli negoziali, inclusi il 23esimo e 24esimo, e il progress report 2014 ha valutato positivamente i progressi a livello politico ed economico compiuti da Milo Đukanović e dal suo entourage. I toni della commissione sono stati però particolarmente critici rispetto alla corruzione, contro cui il Montenegro non sembra combattere con la necessaria urgenza. Gli esperti di Bruxelles bocciano inoltre la lotta al crimine organizzato, i pochi passi avanti compiuti sul fronte delle riforme giudiziarie e una mancata azione punitiva rispetto ai brogli elettorali registratisi alle ultime elezioni municipali. Secondo l'analisi di Kenneth Morrison, reader in Storia Moderna del Sud-Est Europa al De Monfort University di Leicester, forse i montenegrini si attendevano critiche molto più accese, ma ciò non toglie che il cammino verso l'adesione stia diventando sempre più difficile rispetto a quanto fosse prevedibile anche solo due anni e mezzo fa.

Serbia

Il 2014 è stato un anno fondamentale per Belgrado: ha ottenuto infatti la candidatura per diventare un giorno stato membro dell'Ue. Agli occhi di James Ker-Lindsay del LSEE Research on South Eastern-Europe, la situazione è però già evoluta in una nuova fase politica: le elezioni hanno posto al governo Aleksandar Vučić, leader di un partito di centro-destra conservatore con inflessioni ben più autoritarie di quelle del suo predecessore Ivica Dačić. Questo cambio di visione può essere un problema, dato che l'Europa chiederebbe ai serbi estrema coerenza nel proseguire lungo il sentiero intrapreso. Questa pista è profondamente e costantemente segnata dal tipo di relazioni che la Serbia è in grado di intrattenere con il Kosovo: la distensione nei rapporti con Priština e con la missione EULEX dell'Ue sono stati infatti fondamentali nello sbloccare l'apertura dei negoziati per l'adesione. Mancano però ulteriori sforzi nella gestione dei confini comuni con la piccola entità kosovara e non solo: stando agli analisti della commissione, anche le riforme interne dovrebbero essere considerate come priorità per l'esecutivo. In particolare servirebbe che “il governo serbo sviluppasse la sua capacità di comprendere il ruolo delle istituzioni indipendenti in modo da garantire sufficienti risorse per l'espletamento del loro ruolo”. Inoltre Bruxelles vorrebbe incoraggiare lo sviluppo della società civile e la sua partecipazione a meccanismi di co-decisione. Anche a livello di giustizia, il progress report ha delle raccomandazioni da fare a Belgrado: ci vorrebbe maggior impeto nella lotta alla corruzione. Secondo Ker-Lindsay, Vučić si è semplicemente limitato a declamare intenzioni durante la sua campagna elettorale. Purtroppo resta allarmante anche la situazione nel settore della libertà dei media, data la tendenza degli editori ad operare forme di auto-censura per evitare problemi con i poteri forti.

Bosnia Erzegovina

A Sarajevo, l'ennesimo progress report dai toni frustrati è restato in secondo piano rispetto alle elezioni per la presidenza tripartitica tenutesi lo scorso 12 ottobre 2014 dove si è confermata l'élite politica che era già al potere. La politica bosniaca ha dimostrato più volte tutte le sue inefficenze ed ha smorzato le spinte innovative che pur sono arivate dalla società civile. E questo, secondo Will Bartlett della London School of Economics, sta mortificando ormai anche gli osservatori di Bruxelles. In aggiunta a questo, Bartlett segnala i problemi che il report riconduce alla rigidità dei politici della Republika Srpska, ancora decisi a non riconoscere la piena legittimità delle istituzioni statali comuni. Questo causa uno stallo politico insolvibile e aggravato dal forte clientelismo politico esistente anche nella Federazione, l'altra entità che compone lo stato bosniaco. In risposta a questo gravissimo vuoto politico, la commissione ha annunciato tre iniziative: un dialogo strutturale in tema di giustizia; Joint Bosnia, un working group per accelerare l'implementazione del programma europeo di assistenza economica (IPA); e un Forum per prosperità e lavoro, diretta risposta alle proteste viste questi anni e partite dalla società civile. Quest'ultima è prostrata da una disoccupazione al 27%, che tra i più giovani raggiunge il 60%. Agli occhi di Bartlett, uniche note positive del report sono l'accesso a nuovi servizi sociali e sanitari, frutto della cosiddetta “baby revolution” dei manifestanti.

Turchia

La Turchia ha avviato le negoziazioni nove anni fa e, tra i 14 capitoli aperti in sede di negoziazione, solo uno è stato chiuso. A tutto questo si aggiungono le criticità esposte in quest'ultimo report della commissione, con particolare riguardo a tre questioni. Prima di tutto, i problemi con la Repubblica di Cipro risultano ancora irrisolti: la Turchia si rifiuta ancora di estendere a Nicosia una forma di unione doganale nonostante questa sia una delle maggiori cause che dal 2006 hanno rallentato i negoziati per l'adesione. In secondo luogo, la libertà di espressione e l'indipendenza dei media sono state profondamente indebolite dalle leggi su internet, volute da Erdogan. Infine, nel dicembre 2013 vi sono stati gravi scandali di corruzione a livello politico. Secondo Can Karahasandella - London School of Economics - questi problemi politici arrivano a coinvolgere anche lo sviluppo economico, continuamente rallentato dalle incertezze in politica interna ed estera. Come se non bastasse, le elezioni di marzo 2014 e le presidenziali di agosto “si sono svolte senza un adeguato quadro giuridico ed istituzionale per la revisione del budget delle campagne elettorali, per le donazioni e per la mancata trasparenza sui patrimoni dei candidati”.

Macedonia

Dal 2005 anche Skopje sarebbe capitale di uno stato candidato ad entrare nell'Unione Europea, ma finora i negoziati per la sua adesione non sono ancora partiti. Su ogni possibile movimento verso l'Ue pesa infatti il difficile rapporto che la Macedonia vive con alcuni stati membri dell'Ue: su tutti, le vicine di casa Grecia e Bulgaria. La disputa sul nome è infatti un argomento su cui i greci non transigono opponendo puntualmente il veto in sede di Consiglio Europeo e pretendendo l'uso della sigla FYROM per evitare fraintendimenti con una loro omonima regione nel nord della penisola ellenica. Tuttavia se anche si volesse tralasciare questo costante problema, l'analisi del nuovo progress report non risparmia toni critici verso l'operato della Macedonia. In particolare, la Commissione europea sta focalizzando la sua attenzione sull'esame dei requisiti politici necessari al sole macedone per potersi davvero avvicinare alle dodici stelle europee. I motivi che destano maggior preoccupazione ruotano attorno al funzionamento delle istituzioni e alla qualità dello stato di diritto nel paese. Infatti, le riforme degli anni passati sembrano essersi deteriorate a causa della colonizzazione dello stato da parte dei partiti politici. Non è buona nemmeno la valutazione riguardo alla libertà dei media e all'indipendenza delle istituzioni giudiziarie. Ciononostante, i politici macedoni non sembrano aver preso seriamente le implicite minacce della commissione: secondo Cvete Koneska, analista per Centro e Sudest Europa presso il Control Risks Group di Londra, la possibilità di un ulteriore stallo nel processo di adesione non spingerebbe il premier Nikola Gruevski a mettere le riforme come priorità del suo governo. Questo segnala un preoccupante limite dei progress report: per Koneska, essi non sarebbero più in grado di trasmettere una spinta innovativa sulla Macedonia.

Albania

Nel giugno del 2014, l'Albania ha ricevuto lo status di paese candidato. Questa notizia ha fatto diminuire la distanza tra Tirana e l'Europa; ma a pochi mesi dall'evento, il progress report della commissione europea non ha risparmiato una forte criticità sull'Albania. Gli esaminatori di Bruxelles scrivono infatti che ora le buone riforme messe su carta necessitano di una più concreta implementazione. In particolare, la risoluzione consensuale sull'integrazione europea richiede maggior impegno da parte albanese. D'altra parte, le novità legislative in campo giuridico risultano estremamente limitate dalla politicizzazione dei giudici; mentre invece le riforme territoriali e amministrative esigerebbero una maggiore trasparenza a livello di governance locale. Bruxelles ha poi sottolineato che non basta la mera introduzione della figura dell'ombudsman se si vuole evolvere l'Albania nel settore dei diritti umani: questa istituzione deve ricevere fondi adeguati per poter funzionare in maniera efficiente, altrimenti essa non potrà influire positivamente nel processo di adeguamento albanese agli standard europei. Discorso simile è valso per la questione della lotta al crimine organizzato: pur essendoci buone prospettive, al governo di Edi Rama manca ancora una visione strategica, che possa dare una svolta decisiva nella fase attuativa. Da un punto di vista economico, le preoccupazioni dell'Ue sono legate invece agli alti livelli di debito pubblico: un grosso ostacolo per gli investimenti esteri. La raccomandazione dell'Ue è che governo e opposizione avviino una discussione aperta sulle tematiche dell'integrazione europea all'interno delle aule del Parlamento così da coinvolgere anche l'opinione pubblica e la società civile nel processo di adesione.

Kosovo

Secondo l'opinione di Krenar Gashi, ricercatore dell'università di Gent, il progress report sul Kosovo non ha sorpreso nessuno. Da una parte Bruxelles applaude al governo di Priština per i passi avanti fatti verso la Serbia; dall'altro, esprime una forte critica per i persistenti problemi di governance. In particolare, risulta ancora un obbiettivo lontano sia l'indipendenza degli apparati statali sia l'autonomia giudiziaria: la politicizzazione della pubblica amministrazione è quindi uno dei fattori negativi sottolineati con più forza dalla Commissione accompagnata, purtroppo, da evidenti limiti nella lotta contro corruzione e crimine organizzato. Anche i punti positivi vengono segnati da alcune ombre: il dialogo con la Serbia soffre infatti di una mancata concretizzazione; mentre invece la cura con cui sono state organizzate le elezioni di giugno 2014 è stata oscurata dalla grave condizione di stallo post-voto, in cui i gruppi politici si sono dimostrati incapaci di scendere a compromesso per formare un governo. Inoltre, Gashi commenta il lavoro della Commissione rimproverandole di aver trasformato in un successo l'azione di EULEX, l'attuale missione che l'Ue ha in piedi in Kosovo e che sarebbe invece fortemente in difficoltà. Non bisogna comunque dimenticare che alcuni stati membri Ue (Romania, Grecia, Spagna e Slovacchia) continuano a non riconoscere l'indipendenza di Priština creando inevitabilmente un ulteriore ostacolo per il cammino del Kosovo verso l'integrazione europea.