Manifestazione per il diritto all'aborto (FaH)

Manifestazione per il diritto all'aborto (FaH )

La Rete delle donne della Croazia ha recentemente protestato in centro a Zagabria in favore del diritto all'aborto. Il quotidiano Novosti ha incontrato l'attivista Rada Borić

22/12/2014 -  Mirna Jasić

(Pubblicato originariamente da Novosti il 28 novembre 2014, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)

Lo scorso 28 novembre, in piazza Sv Marka, a Zagabria, sin sono riunite numerose manifestanti allo slogan “Nessun ritorno al passato, vogliamo abortire nella legalità!”. Impugnavano striscioni e appendiabiti con un messaggio chiaro: non abbandonate le donne ad abortire da sole, con gli appendiabiti.

“Quando abbiamo scoperto che alcuni ospedali croati avevano trasformato la clausola di coscienza individuale in clausola di coscienza collettiva, abbiamo inviato un reclamo al ministero della Salute. Abbiamo chiesto quali siano le direttive in merito e come gli obiettori di coscienza esercitano i loro diritti se esiste una formalizzazione delle modalità dell'obiezione di coscienza e, nel caso, in cosa consiste. Inoltre il nostro reclamo insiste sul fatto che non esiste alcuna base legale per instaurare una clausola di coscienza collettiva e che il diritto delle donne all'aborto deve essere garantito”, spiega Rada Borić, della Rete delle donne della Croazia.

Quest'ultima sottolinea inoltre che essendo attualmente in vigore la legge sul diritto di decidere liberamente se avere o meno un figlio, le donne hanno il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza in piena sicurezza all'interno di strutture pubbliche. E che questo non viene di fatto garantito perché in Croazia le donne che vivono nei pressi del confine con la Serbia vanno ad abortire a Novi Sad o Sombor, in Serbia, dove l'intervento è meno costoso, e che quelle che si presentano all'ospedale di Knin vengono inviate a Šibenik, cosa che instaura un'ulteriore discriminazione, di tipo economico.

Statistiche inaffidabili

“Il ministero della Salute viola numerose leggi, tra le quali quella al diritto d'accesso alle informazioni, secondo la quale tutte le strutture dovrebbero disporre di una lista di quelle che praticano l'interruzione di gravidanza. Inoltre ad oggi non esiste alcuna struttura di consulenza sul tema e nessun corso di educazione sessuale mentre sono molti gli obiettori di coscienza che, ad esempio nelle farmacie, si rifiutano di vendere i contraccettivi. Il problema è che il diritto all'obiezione di coscienza è piazzato al di sopra del diritto delle donne a disporre liberamente del loro corpo. Non abbiamo nulla contro l'obiezione di coscienza in quanto tale, che è legata al pacifismo, ma siamo contrari a coloro i quali la rivendicano senza aver firmato un benché minimo contratto, senza che si trovi un sostituto e continuando a ricevere l'intero salario mentre si rifiutano di fare una parte del loro lavoro”, aggiunge Rada Borić.

Inoltre la Rete delle donne della Croazia chiede agli organi competenti che vengano realizzate indagini statistiche sull'aborto in Croazia. “Nella regione Dubrovnik-Neretva, su 800 aborti, 500 sono stati dichiarati legati ad una malformazione dell'embrione e non come conseguenza del volere della paziente. Sarebbe ridicolo interpretare questi dati come conseguenza di aria o acqua inquinate, è molto più probabile si tratti di aborti voluti dalla paziente ma dichiarati come legati ad una malformazione in modo che l'operazione chirurgica venga addebitata alla sicurezza sociale centrale, mentre la paziente dal canto suo ha già pagato”, rivela la Borić.

L'influenza crescente della chiesa

Inoltre la Rete delle donne della Croazia chiede che il prezzo dell'interruzione di gravidanza venga quantomeno uniformato, mentre oggi è diverso a seconda della città in cui viene praticato, se non che il servizio venga fornito gratuitamente.

“Anche nel XXI secolo i diritti delle donne non sono garantiti, in particolare quelli che riguardano la riproduzione e la sessualità. Temiamo che il prossimo governo possa essere molto restrittivo su questo. L'estate scorsa ad esempio, prima di partire per il Parlamento europeo, Ruža Tomašić ha annunciato che la prima misura che adotterà nel caso arrivasse al potere sarà di abolire il diritto all'aborto. Tutto si è mosso, l'anno scorso, attorno all'iniziativa 'In nome della famiglia' ed è iniziato quando hanno chiesto all'opinione pubblica quale sarebbe stato il risultato di un referendum sull'aborto. Si sono resi conto che non avrebbero ottenuto un successo che davano per scontato e quindi si sono ridirezionati sull'introduzione nella costituzione di una definizione di matrimonio come unione tra una donna e un uomo. Noi siamo dell'avviso che la nostra lotta in quanto donne non è che cominciata, essendo chiaro che nella regione e in tutti gli altri paesi post-comunisti non è migliore con l'eccezione della Repubblica ceca. Con il ritorno in forze del tradizionalismo e dell'influenza crescente della Chiesa è errato pensare che il patriarcato si stia indebolendo, ha invece ancora molto peso”, conclude Rada Borić.


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