La Serbia non sostiene il referendum voluto da Milorad Dodik in Republika Srpska sulla Giornata nazionale della RS. Un'analisi

05/09/2016 -  Dragan Janjić Belgrado

Il premier serbo Aleksandar Vučić e il presidente della Repubblica Tomislav Nikolić hanno deciso di non dare il loro appoggio alla decisione della Republika Srpska (RS), una delle due entità costitutive della Bosnia Erzegovina, di tenere un referendum sulla Giornata nazionale della RS. Dopo aver incontrato il presidente della RS Milorad Dodik e altri funzionari dell’entità serba, lo scorso primo settembre a Belgrado, Vučić e Nikolić non si sono rivolti direttamente ai giornalisti ma hanno optato per un comunicato stampa congiunto. In quest'ultimo hanno precisato che, nonostante la contrarietà all'iniziativa, la Serbia continuerà a sostenere l’entità serba e i serbi di Bosnia Erzegovina.

Vučić il giorno stesso, alcune ore più tardi, si è incontrato anche con il membro croato della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, Dragan Čović. Entrambi poi si sono presentati davanti ai giornalisti. Ovviamente il premeir serbo ha risposto a numerose domande inerenti al referendum in RS, attenendosi comunque al tono del comunicato rilasciato insieme a Nikolić. Il fatto stesso che abbia scelto di parlare pubblicamente dopo l’incontro con Čović, e non con Dodik, di per sé è un chiaro segnale rivolto al presidente della RS e una manifestazione pubblica di quanto non gli vada a genio l’insistenza di Dodik sul controverso referendum.

Belgrado probabilmente non ripeterà più ufficialmente questa sua posizione sul referendum e - almeno non pubblicamente - non farà altri passi che possano essere intesi come un’ulteriore pressione su Dodik. Vučić ha scelto la formula politica che gli sembrava la più accettabile: ha fatto sapere a tutti che non è d’accordo sul referendum, incassando così punti politici sul piano internazionale, ma allo stesso tempo, sulla scena locale, prosegue strenuamente a dimostrare che tutto ciò non implica un minor sostegno ai serbi della Bosnia Erzegovina, evitando così le ire dei nazionalisti.

La manovra compiuta dal premier serbo ha fatto in modo che la decisione finale sul referendum, così come la responsabilità della stessa decisione, sia attribuita esclusivamente a Dodik che, sul suo referendum, almeno per quanto riguarda l'ambito regionale, gode esclusivamente del sostegno di qualche partito e movimento ultranazionalista della Serbia, con scarsa influenza. Si tratta di una posizione tutt’altro che invidiabile rispetto alla quale Dodik e gli altri funzionari della RS dovranno nei prossimi giorni riflettere attentamente.

Bruxelles e Washington chiedono alla RS che accetti la parte di competenze del potere centrale di Sarajevo, mentre la RS ribadisce di volere decidere su tutto in modo autonomo. Dodik ha promosso questo referendum sulla Giornata nazionale della RS - dichiarata anticostituzionale dalla Corte costituzionale bosniaca - al fine di dimostrare di avere dalla sua gran parte dei cittadini della Republika Srpska. Sarajevo, dal canto suo, vede nell'iniziativa un ulteriore passo verso la divisione della Bosnia Erzegovina.

Sostegno

Sinora un chiaro ed esplicito sostegno al referendum la RS lo ha ricevuto solo dalla Russia. Lo scorso 30 agosto a Sarajevo si è tenuta una seduta del Peace Implementation Council-PIC (organismo della comunità internazionale che monitora l'implementazione degli Accordi di pace in Bosnia) dopo la quale si è chiesto alla RS in un comunicato stampa di rinunciare al referendum. L’ambasciatore russo si è rifiutato però di sottoscrivere il comunicato ed in modo dimostrativo ha abbandonato la seduta. È stato il modo per far capire chiaramente all’opinione pubblica della RS e della Serbia che Mosca sta con Dodik.

La Russia continua a sfruttare la situazione con lo scopo di impedire che si indebolisca la sua influenza nella regione. L’uscita dimostrativa dell’ambasciatore russo a Sarajevo era soprattutto un chiaro messaggio lanciato al governo serbo per far capire in che direzione Mosca vorrebbe che le cose andassero. Vučić evidentemente il messaggio lo ha ignorato.

Ha buone ragioni ora il premier serbo di ritenere che Bruxelles e Washington siano generalmente soddisfatte del modo in cui sta agendo. È vero che non è andato con la mano pesante su Dodik, cosa che da lui ci si poteva forse aspettare, ma ha preso chiaramente le distanze dal referendum dimostrando di non voler rinunciare affatto alla sua politica filoeuropea. Se alla fine Dodik dovesse decidere di annullare il referendum, la reputazione di Vučić in Occidente aumenterà ulteriormente. Questo è già del resto avvenuto un anno fa, quando Dodik e il governo della RS avevano annunciato un referendum sulla competenza dei tribunali della Bosnia Erzegovina in Republika Srspka, a cui hanno poi rinunciato a seguito di pressioni da parte di Belgrado.

Ostacoli

I principali ostacoli contro i quali Vučić si è scontrato nel suo voler influenzare la RS a cambiare posizione sul referendum, non erano a Banja Luka ma in casa sua. Vučić ha innanzitutto dovuto verificare che il presidente Nikolić appoggiasse la sua posizione, oltre a convincere il suo ministro degli Esteri e leader del Partito socialista della Serbia (SPS), Ivica Dačić, ad ammorbidire la sua retorica populista e fargli comunicare pubblicamente che la questione del referendum va soppesata rispetto all'interesse generale di tutti i serbi della regione, così come rispetto agli interessi della stessa Serbia.

Nikolić rappresenta una sorta di “opposizione interna” a Vučić nel Partito progressista serbo (SNS), mentre Dačić e l’SPS sono partner di coalizione, ma hanno l’ambizione di aumentare la loro influenza. Sia Nikolić che Dačić stanno guardando alle elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi in Serbia il prossimo anno, e ritengono che alzare la retorica nazionalista porterà loro dei vantaggi.

La vicenda ha però dimostrato che l’influenza di Vučić è dominante e inviolabile, tanto che sia Nikolić che Dačić si sono accodati alla sua posizione. Tutti e tre in ogni caso ritengono che il malcontento dell’elettorato nazionalista e dei partiti e gruppi più radicali può essere limitato insistendo sul fatto che in ogni caso la Serbia sostiene la RS e il popolo serbo della Bosnia Erzegovina. Vučić durante la conferenza stampa tenutasi dopo l’incontro con Čović ha continuamente insistito su questa posizione.

Negli ultimi mesi Vučić ha cancellato quella sorta di esclusività di cui godeva Milorad Dodik nelle comunicazioni tra comunità serba di Bosnia e Serbia. Nei contatti diretti è stato incluso ad esempio anche il membro serbo della presidenza tripartita della BiH, concorrente di Dodik, Mladen Ivanić. A Dodik la cosa non è piaciuta affatto, ma non può opporsi a Belgrado ed è stato costretto ad adattarsi alle circostanze. Nei prossimi giorni si vedrà se la mossa di Vučić avrà o meno influenza sulle decisioni della RS.


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